ERIDANO SCHOOL - Astrologia e dintorni
 
Terzo millennio: astrologia sì, astrologia no.
a cura di Fassio Lidia
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Cari amici,

è paradossale che in un’epoca in cui ci si fa scudo della libertà vi siano crociate contro l’Astrologia tendenti a dimostrare a tutti i costi la sua non validità. Le motivazioni per cui le “associazioni scientifiche” o chi per esse, dietro la bandiera della “scienza”, si permettono di liquidare una disciplina plurimillenaria bollandola come “baggianata senza alcun fondamento” in quanto “non scientifica” e, pertanto, roba per superstiziosi, sono abbastanza oscure ed incomprensibili.
Spesso resto colpita da tanto accanimento, tanto da pensare che, dietro a queste prese di posizione arroganti, vi sia qualcosa di più di quanto non venga detto. Ciò che mi fa specie è il fatto che nessuna di queste persone si sia fermata a domandarsi perché l’Astrologia, dopo 5 mila anni di storia, ancora suscita ed ottiene così tanta attenzione: forse, chi si dichiara “studioso”, dovrebbe per prima cosa “osservare con curiosità” il fenomeno che desidera capire, invece di combatterlo a priori in modo emotivo, senza averlo studiato.

Perché nessuno si sofferma a pensare al fatto che più la scienza ci propone asetticità, tecnologie, e spiegazioni razionali - spesso solo illusoriamente coperte da “misurabilità” - più l’uomo si sente perduto, senza risposte e, soprattutto, privo di strumenti sicuri ed efficaci che possano alleviare il dolore della sua anima?

La presunta scientificità ci ha regalato un mondo in cui si cerca di risolvere tutto attraverso un protocollo diagnostico, un farmaco contenente un principio attivo o un neurotrasmettitore la cui carenza o eccesso è responsabile di qualche squilibrio mentale; ovunque si sta diffondendo l’idea che saranno le neuroscienze a risolvere tutti i mali dell’umanità, in particolare quelli della “psiche”, che, tuttavia, è qualcosa di ben diverso dai neuroni e dai neurotrasmettitori. Perché, nell’epoca più scientifica in assoluto, si confonde l’Anima con la macchina biochimica chiamata cervello?

Nei miei corsi e seminari mi trovo spesso a mettere in evidenza come anche la “psicologia” si sia avviata sempre più sulla strada della snaturalizzazione della sua anima e delle sue radici più nobili pur di avvicinarsi alla scientificità, e tutto questo per non soffrire di senso di inferiorità di fronte al cosiddetto “rigore accademico”; infatti, pur di poter reggere il confronto con la scienza, si è buttata nella statistica pura, e per essere “credibile” sostiene solamente ciò che è quantificabile e provabile.

Ci dimentichiamo troppo spesso che la parola “PSICHE” in greco significa “ANIMA o SOFFIO VITALE”, e pertanto non ha nulla a che fare con la mente e con il cervello, e ancor meno coi neuroni e i dendriti ma, piuttosto, ci rammenta che essa è espressione di qualcosa che resta indefinibile, almeno per la scienza.

Oggi l’Anima sembra non trovare casa da nessuna parte e siccome l’uomo moderno non può occuparsi di qualcosa che sfugge alla logica delle classificazioni, allora bisogna arrivare a travisarne il senso, parlando della complessità dell’uomo come se derivasse dai problemi del suo cervello, e tutto questo per non farci cogliere dal “dubbio”. Così, se ci convinciamo che l’ANIMA è una mera invenzione del pensiero mitico, radicato in un’epoca pre-logica e pre-razionale, allora possiamo senza difficoltà pensare che tutto ciò che attiene ad essa sia superstizione o quantomeno qualcosa che ha a che fare con la spiritualità che, per ovvi motivi, si cataloga in una fascia diversa dalla tangibilità della materia in cui tutto, o quasi tutto, è misurabile, quantificabile, provabile.

Questo modo di pensare non solo non mi piace ma lo considero assurdo e limitato in quanto tenta di eliminare qualcosa che oggi più che mai risulta scomodo da trattare; e siccome l’uomo moderno vuole “certezze”, allora bisogna mandare al confino – quando non al macero – tutto ciò che non rientra nei parametri accettati dalla scienza.

Sappiamo bene che la parola “razionalità”, così tanto raccomandata dalla scienza, indica parzialità, il che significa che è attraverso ad una visione limitata che si cerca di comprendere qualcosa che invece è universale e che, dunque, per definizione, sfugge al dettagliato controllo degli esami scientifici.

Quella odierna è l’epoca delle “passioni tristi”, recita il titolo del bellissimo libro di Miguel Benasayag e Gérard Schmit, e infatti si festeggia la scoperta di un nuovo “gene” che sicuramente è il responsabile della crescita dei baffi, ma si fa fatica a prendere in considerazione che un bambino è già vitale anche quando viene concepito in quanto la sua Anima è già portatrice di “informazioni totali” che poi daranno vita a quella “forma specifica”.
Oggi siamo abituati a pensare che la FORMA sia la cosa più importante, dimenticandoci che nessuna forma può nascere senza un’idea che l’abbia prima concepita né senza un potenziale che ne contempli prima la possibilità. Oggi ci fermiamo ad ammirare la forma di un fiore; lo analizziamo nel dettaglio fino a vederne i suoi organi riproduttivi, la linfa che scorre nello stelo, e invece dovremmo restare ammaliati di fronte alla domanda “perché vive quel fiore? Che cosa è che lo fa vivere”?.

Siamo così fermi a comprendere la MANIFESTAZIONE delle cose che ci dimentichiamo che, affinché essa appaia e diventi visibile, sono necessari dei processi precedenti che derivano da un’intenzione che a sua volta genererà un’idea organizzata che solo allora verrà colta dalla mente che la trasformerà in progetto realizzabile materialmente.

Ebbene, tutto questo passaggio si svolge tra l’ANIMA - portatrice di tutto il potenziale e delle informazioni necessarie – e la FORMA che lo manifesterà.

Ciò che spesso sfugge è il motivo per cui l’uomo - che ha raggiunto avanzatissime specializzazioni, tecnologie e sperimentazioni e che padroneggia o presume di padroneggiare la materia – si trova a fare i conti sempre più spesso con la perdita di sé stesso, con l’infelicità che lo consuma e con la mancanza di direzione e di significato: eppure tutto questo sembra un controsenso perché l’uomo oggi appare in grado di avere tutto; il progresso infatti gli consente di avere moltissimo, di muoversi sempre più velocemente, di sperimentare e di gratificarsi con milioni di cose a portata di mano; ciononostante è pieno di problemi, è alienato da sé stesso, non crede in nulla e, cosa ancora più paradossale, è depresso e contrariamente a quanto dice la scienza scopre che questa malattia non deriva solamente dai propri neurotrasmettitori, ma porta con sé qualcosa di più profondo che non può essere risolto con i ricaptatori di serotonina o altri sofisticati ritrovati della chimica moderna, poiché, anche quando questi migliorano l’umore, qualcosa resta malato. La CURA infatti non risiede nel farmaco ma in una “relazione”, in una “comprensione empatica”, in qualcosa che vada a stimolare l’ANIMA fino a farle ritrovare motivazione e senso.

Si scopre così che l’uomo guarisce dai suoi mali quando riesce a comprenderli per cui, improvvisamente, tutto comincia ad avere un senso; senso nella vita e senso nella sua anima.
Ma come può l’uomo trovare un senso se è abituato a vedere sé stesso come laboratorio in cui avvengono solamente processi chimici? Come può collegare questo alla sua delusione e alla sua insoddisfazione, al buco nero che avverte risucchiare il suo cuore giorno dopo giorno?
E quando va dal medico, chi trova? Spesso un essere umano che a sua volta ha smarrito il senso della vita e della sua vocazione, probabilmente anche lui depresso, sicuramente asettico, può accadere che non lo guardi neppure negli occhi; un professionista che vede in lui un “caso” da risolvere provando varie terapie, tutte fedeli al protocollo che rappresenta il suo personale “ancoraggio”. Magari questo medico si è dimenticato da tempo che il suo “paziente” – la persona che ha di fronte – è prima di tutto un uomo che ha motivazioni, emozioni, pensieri e sentimenti; che vive dentro a una realtà sociale, familiare e individuale che forse non corrisponde alle sue esigenze; oggi il medico non sa come vive il suo paziente, cosa lo aspetta a casa; non sa cosa lo disturba nella sua sfera emotiva e non sa neppure quante potenzialità possiede e se e come le utilizza.
Oggi il medico non “sa ascoltare” perché questo appare superfluo, richiede del tempo e quindi se ne può fare a meno.

La scienza, e chi la sostiene condannando ciò che non capisce, non si chiede “cosa sta cercando” una persona quando va da un astrologo. Non si pone la domanda, eppure qualcuno nella storia sosteneva che “la domanda giusta è fondamentale perché contiene anche la risposta”.

Chi segue questo tipo di scienza fa qualcosa di molto più sbrigativo: bolla tutti gli astrologi come beceri mercanti, abili sfruttatori della buona fede altrui, pronti a rovesciare assurdità senza fondamento in cambio di qualche euro elargito da persone stupide e impreparate che, per questo, si affidano a gente che imbonisce senza alcun scrupolo.

È così che sono nate delle associazioni di persone che, con con molta presunzione, ritengono di dover “difendere” l’incauto cercatore, di doverlo proteggere, come fosse un bimbo, dal “plagio e dalla manipolazione”.
Ma non sembra un po’ troppo riduttivo tutto ciò? Ci sono milioni di persone in tutto il mondo che ogni anno vanno dall’astrologo e l’unica risposta che la scienza riesce a dare è che ci sono “milioni di stupidi”?

È interessante la teoria di Jung secondo cui “ognuno è sempre parte del problema che vuole risolvere”. E allora, dove sta il vero problema?
Forse scienza e medicina non riescono più a curare? Eppure curano tantissimo, non c’è modo di non uscire da uno studio medico carichi di pillole; mai come in questi ultimi 50 anni la farmacologia ha fatto faville, e allora, perché non chiedersi perché tutto ciò non funziona? Perché le persone si ammalano nonostante ciò? E non ci si chiede se prima di ammalarsi nel corpo non ci si sia ammalati da qualche altra parte?

Forse il punto vero è qui. Cosa trova chi si rivolge all’astrologia?

E’ vero, esiste astrologia e astrologia, così come esiste astrologo e astrologo, ma allora, dobbiamo anche dire che tutte le categorie hanno lo stesso problema. Non tutti sono uguali, in quanto non tutti operano guidati da una vocazione interna che dovrebbe spingere a cercare cosa c’è che non va all’interno dell’“uomo”, più che all’interno del singolo organo.

L’astrologia, e in particolar modo quella umanistica, si occupa invece “totalmente” dell’uomo, anzi, dell’Anima dell’uomo, poiché possiede uno strumento che è espressione di unità e che rivela dove sono le frammentazioni di questa unità e dove si annidano le radici di un malessere molto più grande che origina dal senso di separazione da qualcosa di più grande, qualcosa che è esso stesso principio vitale e senso.

L’astrologia si interessa all’uomo da sempre e non ha mai perduto il contatto con esso; l’astrologo umanista ascolta l’uomo, lo riconosce, intuisce le sue potenzialità e questo non perché abbia poteri magici ma semplicemente perché si serve di uno strumento valido ed efficace, qualcosa lasciatagli in eredità da qualcuno che di “uomini” si intendeva e di essi aveva comprensione e rispetto.

Tutto questo però viene puntualmente trascurato dallo scienziato che, siccome non può occuparsi di astrologia, magari provando ad avvicinarsi ad essa in modo da studiarla e conoscerla prima di giudicarla, la considera un’accozzaglia di spazzatura per di più antica e quindi, carica di folcloristiche superstizioni, valide solo per sprovveduti e incauti fruitori.

Una cosa è certa: l’astrologia genera una sorta di paura in quanto più la si bandisce e più, come la fenice, rinasce più viva e interessante che mai.
Non solo, l’astrologia sembra ribellarsi, o meglio infischiarsene, di tutto ciò che viene detto a suo discredito, e lo fa in barba a tutti quelli che la combattono e la deridono, annoverando tra le sue fila i grandi personaggi che l’hanno coltivata e che continuano a farlo.
L’astrologia non si conforma, non si lascia mettere il guinzaglio e non si piega ai dettami della scienza che la vorrebbe ingabbiare nella statistica in modo da poterla catalogare e giudicare.
Tutto questo accade perché non è materia SCIENTIFICA bensì materia UMANISTICA e, come tale, non assoggettabile alle leggi considerate valide dalla scienza.
L’astrologia, insieme alla filosofia, alla (vera) psicologia, alla teologia, all’antropologia e a quant’altro si occupi dell’uomo nella sua totalità, si inoltra all’interno dell’uomo, lo accoglie e consente di comprenderlo meglio, ma non lo cataloga poiché lo vede nella sua totalità.

Questa è la vera ragione per cui si dovrebbe smettere di parlare della presunta scientificità dell’astrologia, in quanto questa disciplina non è alla scienza che deve appartenere ma alle discipline che da sempre si sono interessate all’uomo, al suo temperamento, alle sue qualità e ai suoi difetti.
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