ERIDANO SCHOOL - Astrologia e dintorni
jasasara
a cura di Alessandro Taticek
Inserito il su Eridano School - Astrologia e dintorni
 

La vecchia vestita di chiari colori sedeva su di una pietra, ai piedi di quella che un tempo era stata la parete di una casa, alle pendici del monte Ida. Gli Achei avevano saccheggiato e dato alle fiamme cinque città. Erano venuti, si erano presi quel che volevano, se n'erano andati lasciandosi dietro morti e ceneri fumanti. Non molti anni dopo avevano fatto ritorno e si erano impadroniti dell'isola. Si erano messi a ricostruire quel che avevano distrutto, ma niente più sarebbe tornato come prima. In molti avevano preso il mare abbandonando Creta, fuggendo dal Labirinto per cercare via mare una nuova terra, mentre chi era rimasto era diventato schiavo degli Achei.
La parete sotto alla quale sedeva la vecchia mostrava sulla superficie un ancor nitido affresco raffigurante l'immortalata scena di una tauromachia. Un bianco toro dalle maestosa corna protese verso la snella danzatrice dalla luminosa pelle, il baldo atleta dalla pelle scura che si era appena lanciato dalle corna del sacro animale per atterrargli con le mani sul dorso e che ora era intento, gambe all'aria, a sfruttarne il movimento per piroettarsi acrobaticamente nel salto finale sulla terra color ocra, dove una seconda ragazza dalla pelle non meno luminosa e non meno danzante della prima era a braccia tese nella sua direzione, pronta ad accoglierlo con armonico stile.
Quell'affrescata parete era tutto ciò che restava della casa in cui la vecchia aveva vissuto per oltre vent'anni. Ormai non vi abitava più da molto tempo, ma ci tornava volentieri. E allora sedeva, lo sguardo rivolto verso l'azzurro mare che da lassù si scorgeva come fosse lontano. E ricordava di quando pure lei, da giovane, aveva danzato con i tori, e aveva ricevuto la ghirlanda dalla Portatrice di Chiavi; e della prima cerimonia alla quale aveva partecipato, a otto anni, allorché tutti gli abitanti di Creta erano salpati per circumnavigare l'isola, con le centinaia e le centinaia di navi dalle bianche vele che sembravano l'ondeggìo di migliaia di ali di gabbiani in movimento; e ricordava i canti che erano stati fatti quella volta, canti magici di protezione che venivano eseguiti nelle giornate sacre, con le navi che percorrendo il perimetro dell'intera isola formavano un anello difensivo. Creta non aveva mura, né mai ve n'era stato bisogno. Gli abitanti dell'antica stirpe celebravano nell'arte e nei giochi l'amore per la vita, erano gli eredi e i depositari di una civiltà progredita e pacifica in cui era naturale che i due sessi fossero in equilibrio.
“Noi non abbiamo mai dovuto ricorrere alle guerre:” rammentò la vecchia come parlasse fra sé. “Per cinquecento anni ci siamo astenuti dal prendervi parte. Ma lo sapevi tu che se offri benedizioni agli altri anziché entrare in conflitto, porta anche bene per i commerci? Vedevi le nostre navi andare per gli scambi con Cipro e Micene, la Siria e l'Anatolia, l'Egitto, la Mesopotamia. Da Karkemish, Aleppo, Ugarit, Menfi, Tebe, da Babilonia e persino dalla nordica Iperborea le nostre navi facevano ritorno, con l'aiuto delle divinità del mare che sempre ci sono state amiche.” Si tacque. Era perfettamente consapevole di non essere da sola. “Hai mai visto i delfini giocare? Eravamo come loro, che con l'intelligenza del cuore manifestano la solidarietà, la gioia, la creatività e il divertimento. I delfini ti parlano e ridono con te e ti aiutano se sei in difficoltà anche se sei differente da loro, fanno presto amicizia con molti altri animali, sono evoluti. Noi mantenemmo rapporti d'amicizia con altri popoli, progredimmo andando al di là della conflittualità e del bisogno di prevalere. Sapevamo ridurre e sublimare l'aggressività grazie ad una vita sessuale libera, equilibrata. Uomini e donne avevano pari dignità e ciò che si guadagnava dai commerci veniva diviso in parti uguali fra tutti i rappresentanti della comunità.” Abbassò la voce, riducendola a sussurro, mentre un'ombra tremula compariva nella sua visuale. Si trattava di un uomo che risaliva il sentiero. “E poi sono arrivati loro.” seguitò la vecchia. “Sono venuti a dirci che c'era bisogno di un Wanax che governasse l'isola con giustizia. La Portatrice di Chiavi avrebbe potuto mantenere il suo ruolo di sacerdotessa, come no, ma le decisioni sul governo sarebbero spettate al Wanax Minosse, perché Minosse aveva appositamente ricevuto le leggi da Zeus, nella grotta del monte Ida, capirai...” Si distrasse a fissare la sagoma che risalendo il pendìo sarebbe giunta sino a lei entro breve. Non aveva più la vista di una lince e le ci volle un po' per dedurre che si trattava di un giovane straniero e che per giunta non era solo, bensì seguito a una certa distanza da altri tre o quattro individui che camminavano più lentamente e parlavano fra loro.

“Oh, ma a chi possono importare le chiacchiere di una vecchia jasasara?” chiese, una frase che venne captata come un borbottìo subliminale dal viandante in avvicinamento, cioè dal sottoscritto. La prima cosa a cui feci caso fu che, pur da seduta, la vegliarda era più alta della media, né la cosa mi sorprese, visto che c'erano ancora i giganti a quell'epoca e uno di essi, Asterio, era vissuto a Cnosso prima di Minosse. La seconda fu che nonostante l'età indossava un abito dai colori vivaci, con maniche corte e una gonna a campana che si apriva all'altezza dell'ombelico lasciando esposti i seni.
“Perdona, veneranda madre” le dissi “se ti distolgo per pochi attimi dal tuo riposo. Sai tu forse indicarmi la strada per la casa di Latreo figlio di Licasto?”
Fece seguito un indescrivibile silenzio durante il quale mi fissò dapprima in mezzo alla fronte, poi prese a scandagliare con gli occhi semichiusi la zona del mio plesso solare e quella dei genitali, infine risollevò lo sguardo in direzione della mia gola e disse: “A te non importa sapere dov'è la casa di Latreo figlio di Licasto.”
Provai una via di mezzo fra l'imbarazzo, la perplessità e il bisogno di giustificarmi mentre dicevo: “No, cioè sì, è vero, a me personalmente di sapere dove sta Latreo in verità non m'importa, ma ho dato la mia parola che sarei stato presente al suo banchetto, veneranda madre. Vedi, sono un aedo.”
Ebbi l'impressione che qualcosa di virente e vivace fosse allora guizzato negli occhi color mare della vecchia e che l'ombra di un sorriso, o forse un sogghigno, venisse a increspare le molteplici rughe di quell'antico volto incorniciato dalla chioma ancora folta di sottili e serici fili d'argento. Fu in quel momento che, udendo arrivare i miei compagni, aggiunse con voce più alta che Latreo abitava più in basso e che avremmo dovuto girare a destra subito dopo l'ultimo crocicchio anziché andare avanti sin lassù come degli stolti. La ringraziammo e tornammo sui nostri passi. Lei però sapeva che l'aedo stava cercando risposte e che non avrebbe potuto mancare di farle almeno un'altra visita, come in effetti accadde poco tempo dopo.

Minosse aveva diviso l'isola in tre lotti: quello di Cnosso, sul versante nord, ove aveva la reggia; Festo e dintorni nella parte sud era il secondo lotto, ch'egli aveva assegnato al fratello Radamanto, mentre il terzo si delineava a centroriente nell'area di Malia ed era spettato a Sarpedone, almeno finché questi non era dovuto partire per l'Asia. Il Wanax Minosse stabilì che per legge divina le cerimonie sacre non si sarebbero più svolte nelle grotte ma bensì nel palazzo di Cnosso. E per un certo tempo le offerte votive una volta custodite dai Cureti nella grotta del divino infante rimasero dov'erano, almeno finché qualcuno non commise un furto. Venne infatti trafugato un cane d'oro, giocattolo di Zeus bambino, che era in grado di fare diversi movimenti e persino abbaiava.
Minosse emulò le gesta del padre suo Zeus in campo amoroso giacendosi con Androgenea, madre di Asterio II, e con la Ninfa Paria, da cui provennero quelli di Paro. V'era tuttavia una dea cretese che non intendeva cedere alle sue bramosie: Britomarti, figlia di Latona.

“Britomarti, la Signora degli Animali e dea della caccia rincorreva il suo sposo e il suo sposo era Zagreo” disse la vegliarda. “Ma quando cambiarono i tempi, fu Minosse a inseguire Britomarti. Lei tuttavia era molto più allenata di lui e presto lo distanziò, celandosi alla vista in un boschetto di querce. Per nove mesi Minosse seguitò a cercarla e ogni volta che la trovava lei gli sfuggiva di nuovo. Puoi ben capire che stress per quella povera figliola? Alla fine, Britomarti era talmente disperata che si gettò in mare. E di certo sarebbe affogata se due pescatori non l'avessero tratta in salvo. La portarono ad Egina, isola dell'Attica, che certo conosci. E lì lei, poco dopo, scomparve.” Fece una breve pausa. La scomparsa di Britomarti coincideva forse con l'arrivo di Artemide sull'Olimpo, a sua volta cacciatrice e amante delle selve, non più paredra di Zagreo ma patrona delle lesbiche?
“Cos'altro secondo te potrebbe ancora voler sapere?” Spesso la vegliarda parlava ad un invisibile e misterioso interlocutore che a quanto pare dimorava sotto la pietra e le suggeriva consigli; in alcune occasioni si rivolgeva tanto a me quanto a lui alternativamente e dopo le prime volte vi avevo fatto
l'abitudine. Quella matriarca si era rivelata un'autentica miniera di informazioni sui tempi antichi e

negli ultimi tre mesi ero passato spesso a trovarla. Non mi volle dire quale fosse il suo nome, per
cui mi rivolgevo a lei come Jasasara, un termine che letteralmente voleva dire Sacra Regina ma che veniva impiegato nella società matriarcale anche per indicare la padrona di casa. Alcune parole della lingua cretese erano presenti con pronuncia simile anche nel mio dialetto di provenienza, lo ionico-attico, come per esempio Ida Mater, Madre Ida, analogo ad un più diffuso Da Mater che in Attica diventava De Meter, ossia Demetra.
“Giusto, quasi mi dimenticavo di Thera. Ah, non ero però ancor neonata quando accadde la catastrofe, almeno tre secoli fa, per cui gli so dire solo ciò che ho udito da altri. Un sacerdote fu colto da emulazione nei confronti del dio Crono e brandì un coltello sacrificale su di un giovane da immolare, ma immediatamente il possente Poseiadaon colpì l'isola di Thera, facendola esplodere. Il tremendo boato si udì a Creta e poco dopo arrivò la prima onda anomala, che distrusse buona parte delle navi allagando Cnosso. Ecco, tutto quello che so è che Poseiadaon non ha mai avuto una personalità tranquilla e che è facile a montare in collera.” Volse il verde sguardo verso di me. “Su questo è tutto quello che posso dirti, figlio.”
“Te ne rendo grazie, madre.” dissi. “E' meglio ch'io non abbia altre domande, ché ai quesiti che ci si fa spesso si ottengono risposte che sollevano altri quesiti cosicché si rischia di smarrirsi in un contorto dedalo, quasi come se si stessero percorrendo i valichi e le valli e gli innumerevoli corridoi a spirale che il monte Ida e la labirintica reggia di Cnosso presentano. Farò sì che ciò che da te ho appreso venga trasmesso, Jasasara. Io devo purtroppo partire, ché la mia nave lascia il molo fra tre giorni. Ma conto di ritornare.”
“Lo so.”
Dovevo rientrare ad Atene per delle questioni personali che mai entrarono nelle conversazioni con l'anziana sacerdotessa. Ci salutammo con una benedizione ed un solenne abbraccio. Non stetti via molto, ad Atene non era cambiato niente in quei mesi in cui ero stato via, forse ero cambiato io.
Quando fui però di nuovo a Creta, a risalire il pendìo di lunghe e lisce rocce sino ad arrivare, dopo le scale e aver girato a sinistra, al luogo in cui era stata la casa di Jasasara, con l'affrescata parete su di un lato ed il pietrone su cui stava seduta dall'altro, lei non era più.


 
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