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MEDICINA, FISICA QUANTISTICA, PSICOLOGIA E ASTROLOGIA
     a cura di Chiara Inesia Sampaolesi
 
MEDICINA, FISICA QUANTISTICA, PSICOLOGIA E ASTROLOGIA
Con il termine “Medicina” si intende un qualsiasi atto intenzionale che intenda prevenire, lenire e curare una condizione psicofisica che il soggetto sente contrapposta rispetto al proprio benessere. La Medicina, infatti, è quella scienza che si occupa di diagnosticare e curare le malattie e di studiare le modalità per prevenirle o, per lo meno, limitare il loro diffondersi.
La scienza medica fino ad oggi ha fatto passi da giganti in materia tecnologica ed interventistica, realizzando procedure diagnostiche e terapeutiche ad altissima precisione e specificità, che agiscono con sempre minore invasività e compromissione del paziente.
Ma ciò che rimane, dal mio punto di vista, ancora un po’ troppo carente nell’ambito medico scientifico è la “materia umana”, è proprio lo studio dell’essere umano nel senso di comprensione e gestione dell’individuo in quanto tale, di singolo e unico e non solo come appartenente ad una determinata categoria patologica.
Questo accade poiché la tendenza medica scientifica è di andare verso sempre più ristretti e specifici ambiti di ricerca, che indagano parti sempre più microscopiche e settoriali, perdendo troppo spesso la visione dell’insieme, tanto che si stanno formando sempre più numerose ultraspecializzazioni a discapito proprio del paziente e della sua interezza e unicità.
Ci sono, comunque, dei piccoli movimenti in questa direzione. Anche la scienza medica, per certi versi, infatti, si sta rendendo conto dell’importanza di considerare l’essere umano in relazione anche ad altri fattori che non siano esclusivamente quelli fisici.
Si dà più attenzione di una volta, infatti, alle patologie psicosomatiche, a certe diversità anche caratteriali nei soggetti che soffrono di una stessa patologia e che possono manifestare la patologia in modo diverso o in gradi diversi e si incominciano a presentare sempre più frequentemente studi scientifici che dimostrano la stretta correlazione tra aspetti emozionali, psicologici e malattia.
Un recentissimo studio effettuato in Inghilterra e pubblicato l’8 Ottobre 2007 sull’Archive of Internal Medicine (Arch Intern Med. 2007;167:1951-1957) ha proprio evidenziato un aumento statisticamente significativo di infarto del miocardio in soggetti con difficili relazioni affettive: eliminando altri fattori di rischio quali obesità, fumo, alcool e storia familiare la percentuale di sviluppare un attacco miocardio sono rimaste più alte del 23%.
Dunque non si può più ormai ignorare quanto i fattori psico-emozionali influenzino e determinino il nostro stato di salute.
Ma se da una parte c’è una certa apertura all’aspetto psico-emozionale collegato alla malattia vi è ancora una notevole chiusura, da parte della medicina ufficiale, rispetto alle medicine non convenzionali che fanno, invece, di questi aspetti la radice dei propri metodi.
Tutto ciò, a mio avviso, oltre che a questioni di gestione di potere, è ricollegabile ad una certa ignoranza da parte del settore medico convenzionale rispetto alle modalità di azione di dette medicine, che a differenza dei principi della ormai vecchia fisica meccanicistica newtoniana sulla quale si fonda gran parte della medicina convenzionale, si basano invece tutte sui principi della contemporanea fisica quantistica.
E’ curioso constatare come i medici convenzionali si rifiutino ancora di vedere e approvare certi fenomeni, quando poi la maggior parte delle più moderne tecniche diagnostiche e terapeutiche che essi stessi utilizzano si basano, per lo più, proprio su detti principi (vedi il laser, il microscopio elettronico, la risonanza magnetica nucleare, ecc.).
La carenza di attenzione all’aspetto umano ed individuale del paziente, ancora presente nella stragrande maggioranza degli ambiti della medicina convenzionale, lo trovo riconducibile in particolar modo all’ignoranza o all’indifferenza rispetto alla vera natura dell’uomo stesso quale individuo costituito da anima, mente e corpo, inscindibilmente connessi l’uno all’altro.
Tutte le medicine non convenzionali si definiscono, invece, olistiche, nel senso che trattano l’uomo nella sua interezza.
Il dottor Corrado Bornoroni, Direttore dell’Istituto Superiore di Medicina Olistica e di Ecologia dell’Università di Urbino riguardo al concetto di olismo ha scritto che:

“Lo stesso eminente fisico David Bohm sostiene che il tutto non viene definito dalle singole parti, ma che l’esistenza stessa delle singole parti potrebbe essere definita dal tutto.
Tale concezione sistemica, che considera il mondo in termini di rapporti ed integrazioni e che si contrappone alla visione meccanicistica della biologia e della medicina contemporanee, si fonda sui principi basilari dell’organizzazione dei sistemi naturali. Ogni sistema rappresenta una totalità integrata la cui struttura specifica deriva dall’interazione e dall’interdipendenza delle sue parti. Le proprietà sistemiche vanno distrutte quando si scompone un sistema nei suoi elementi basilari. Anche se gli organismi viventi si comportano, in parte, come macchine, e quindi la conoscenza degli aspetti cellulari e molecolari della loro struttura biologica è estremamente importante, in realtà ciò non significa che tali organismi siano macchine. Basti pensare all’eclatante differenza tra macchine ed organismi che consiste nel fatto che le macchine vengono costruite, mentre gli organismi crescono. Tutti i sistemi viventi devono essere compresi ed analizzati in funzione di processi che riflettano l’organizzazione dinamica del sistema.
Così afferma il Capra nel suo libro ‘Il punto di svolta’: ‘Il pensiero sistemico è un pensiero di processo; la forma viene associata al processo, l’interrelazione all’interazione, e gli opposti vengono unificati attraverso l’oscillazione.’ Anche se si analizzano le singole parti di un sistema, la natura del tutto è sempre diversa dalla semplice somma delle sue parti; le proprietà di un sistema si distruggono quando il sistema stesso viene scomposto nei suoi elementi fondamentali. L’indagine riduzionistica ed analitica può diventare pericolosa quando viene assunta come una spiegazione incontrovertibile; le cellule, come tutti gli organismi viventi, devono essere comprese in funzione di processi dinamici di autorganizzazione. Riduzionismo ed olismo, analisi e sintesi, sono approcci complementari per la corretta comprensione della realtà.”

Considerando l’essere umano nella sua totalità le medicine non convenzionali prestano, dunque, molta attenzione anche all’aspetto spirituale. Il termine “spirituale”, però, può confondere le idee, perché quando si parla di spirituale spesso ci si ricollega a dogmatismi religiosi rimanendo sviati, poiché se si è credenti troppo spesso c’è una fiducia acritica al dogma, mentre se non ci si crede allora non se ne considera l’idea.
Il mio concetto di spirituale riguarda il senso della vita, il senso dell’esistenza, che certo è soggettivo in tutti noi, poiché in certi termini non oggettivabile, ma che credo sia un aspetto che i medici non si possono permettere di non considerare.
Anche se ognuno di noi ha le proprie caratteristiche e attitudini, personalmente credo che per un medico che si occupa della salute delle persone ed è a contatto così stretto con l’umanità, con la sofferenza, con la vita e con la morte, sia imprescindibile il passaggio ad una certa visione interiore.
Non a caso nella storia della medicina i primi medici erano sacerdoti, non a caso molti illustri medici del passato erano anche filosofi.
E’ anche vero che affrontare queste tematiche chiede dei movimenti di consapevolezza che talvolta, per comodità (nonostante il persistere della sofferenza) si preferisce non vedere, perché la nostra paura di scoprire qualcosa di diverso ed incerto ci fa tremare e per tante persone è sempre meglio il certo, anche se doloroso, dell’incerto.
Ma quando si è a contatto così stretto con l’essere umano è inevitabile, dal mio punto di vista, la presa in visione di qualcosa di più del semplice corpo, è inevitabile porsi domande al perché della sofferenza, al perché della morte e provare a dare una personale interpretazione al senso della vita.
Questa è la ricerca profonda dell’essere umano, questo è quello che caratterizza l’uomo da ché esiste e con tutte le componenti dell’essere dobbiamo rapportarci e non solo con alcune di esso.
Personalmente attribuisco molta importanza al percorso di crescita ed evoluzione di ogni singolo individuo e, dunque, così come la vita mi ha aiutato a comprendere, è inconcepibile per me pensare di scollegare la patologia dall’aspetto psicologico-emozionale e dal percorso evolutivo che la nostra anima, il nostro Sé superiore, ha in serbo per noi.
Ma se il corpo, in quanto fisico, è dimostrabile grazie all’osservazione e se la connessione con la mente lo è, almeno in parte, per l’evidenza dei fenomeni neurofisiologici cerebrali, certo indimostrabile, per la medicina convenzionale, è la presenza dell’anima.
Sorprendentemente i nuovi fondamenti della fisica quantistica ci dimostrano invece che anche certi fattori che sembravano un tempo mere visioni o interpretazioni religiose o esoteriche, possono venire comprese e studiate.
E per addentrarci nello specifico, uno dei principi fondamentali della fisica quantistica è il principio di Indeterminazione di Heisenberg (fisico tedesco deceduto nel 1976, Premio Nobel per la Fisica nel 1932, considerato uno dei fondatori della meccanica quantistica) secondo il quale è impossibile determinare esattamente e nello stesso istante sia la posizione che la velocità di una particella. La posizione di una particella la si può determinare guardandola, ma guardandola con un potente microscopio significa colpirla con una particella di luce, un fotone e dato che la luce si comporta come una particella, essa modificherà inevitabilmente la quantità di moto della particella sotto osservazione. Dunque, secondo Heisenberg, anche solo osservandola la si cambia; il disturbo sarà imprevedibile e incontrollabile, dato che non c’è modo di sapere o di controllare in anticipo l’angolo esatto con cui il quanto di luce verrà diffuso nella lente. Ottenere una determinazione esatta della posizione richiede l’uso di luce ad onde corte, la quale trasferisce all’elettrone una quantità di moto grande ma imprevedibile ed incontrollabile, invece per ottenere una determinazione precisa della quantità di moto occorrono quanti di luce con una bassissima quantità di moto (e dunque ad onde lunghe), il che comporta un angolo di diffrazione largo, dunque, una cattiva definizione della posizione. Quindi, quanto più esattamente si determina la posizione di una particella, tanto meno esattamente si può sapere la velocità, e viceversa.
Scrive Heisenberg alla fine di una sua pubblicazione del 1927, nella quale trattava dell’indeterminazione quantistica:

“Non possiamo sapere, per una questione di principio, tutti i dettagli del presente.”

Questo principio ci dimostra, dunque, che la verità

“può solo essere immaginata e considerata in termini di probabilità, perché quello che osserviamo non è la verità ma il risultato dell’interazione tra un fenomeno e l’osservazione del fenomeno stesso che non può non modificarlo. Sappiamo che una delle condizioni fondamentali affinché un fenomeno sia scientificamente accettabile è che sia osservabile; l’osservabilità è considerata la ‘prova’ della sua esistenza. Ma se tutto ciò che è scientificamente accettabile è frutto di osservazioni e queste modificano quello che si sta osservando, allora non è possibile, e non lo sarà mai, conoscere la verità attraverso l’osservazione!” (Fabio Marchesi, La fisica dell’Anima).

Un altro principio cardine della fisica quantistica, rivelato dagli esperimenti di Aspect, è il fenomeno di non-località.
Alain Aspect (fisico francese nato ad Agen nel 1947, Direttore di Ricerca al CNRS - Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica -, Professore all'Istituto Politecnico, Membro dell’Accademia delle Scienze e Medaglia d’Oro del CNRS nel 2005 per le sue ricerche nel settore dell’ottica quantistica e della fisica atomica) agli inizi degli anni ’80 a Parigi con i suoi colleghi stabilì che quella che Einstein aveva definito “azione fantasma a distanza” è in effetti una realtà del mondo quantistico.

“Si è trattato della prova diretta, sperimentale, del fatto che la realtà quantistica non obbedisce alle stesse leggi del comune buonsenso che invece si applicano nella realtà quotidiana, così come la sperimentiamo noi umani. Il seme di quello che poi sarebbe diventato l’esperimento di Aspect era stato posto nel 1935, allorché Einstein e due suoi collaboratori pubblicarono una ricerca che metteva in luce una delle caratteristiche apparentemente paradossali della meccanica quantistica (esperimento EPR). All’epoca venne presentato come un ‘esperimento concettuale’ inteso a dimostrare l’assurdità della fisica quantistica ponendo una contraddizione logica; in realtà, nessuno chiedeva che l’esperimento venisse realmente eseguito. Ma nel 1952 David Bohm propose una variazione sul tema EPR (un altro esperimento concettuale) che riguardava il comportamento dei fotoni e nel 1964 John Bell dimostrò che la variazione sul tema EPR di Bohm poteva, in linea di principio, mettere le basi per un autentico esperimento. A quell’epoca, in realtà, neppure lo stesso Bell riteneva che quell’esperimento potesse davvero essere eseguito. Ma gli sperimentatori accettarono quasi subito la sfida. Nel giro di vent’anni diversi gruppi erano arrivato vicini all’esecuzione delle misurazioni richieste con la precisione richiesta; è comunemente accettato che sia stato proprio il risultato ottenuto dall’équipe di Aspect, pubblicato nel 1982, a sancire definitivamente che Einstein (e con lui il comune buonsenso) dovevano arrendersi alla realtà del mondo quantistico e alla non-località delle sue regole.” (John Gribbin, Q come Quanto).

Il fenomeno più vistoso di non-località quantistica è rappresentato dall’entanglement.
L’entanglement è un fenomeno quantistico che coinvolge due o più particelle generate da uno stesso processo o che si siano trovate in interazione reciproca per un certo periodo. Queste particelle generate dallo stesso processo, quali ad esempio due fotoni derivati dallo stesso atomo, rimangono in qualche modo legate indissolubilmente (entangled), nel senso che quello che accade a una di esse si ripercuote immediatamente anche sull’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa. Ad esempio se ad uno dei fotoni generati dallo stesso atomo, una volta separato e allontanato dall’altro fotone, viene modificato lo spin, cioè il senso di rotazione, istantaneamente e indipendentemente dalla distanza che li separa, anche l’altro fotone cambia spin, violando tra l’altro la legge della relatività di Einstein, secondo la quale nulla può viaggiare più veloce della luce.
Dunque

“l’entanglement fa a pezzi tutte quelle concezioni della realtà che ci siamo costruiti sulla base della nostra abituale esperienza sensoriale. Queste nozioni di realtà si sono così fortemente consolidate nella nostra psiche che anche il maggior scienziato del XX secolo, Albert Einstein, si è lasciato fuorviare da queste nozioni di senso comune, tanto da ritenere che la meccanica quantistica fosse una teoria ‘incompleta’, a causa della sua incompatibilità con elementi che credeva fossero parte della realtà. Einstein era convinto che un evento che accade in un punto non possa mai essere correlato in modo diretto e istantaneo con un evento che accade in un punto distante. Per capire, o anche semplicemente per accettare l’entanglement e gli altri fenomeni quantistici ad esso associati, dobbiamo innanzitutto ammettere che le nostre concezioni della realtà nell’universo sono inadeguate. L’entanglement ci insegna che la nostra esperienza quotidiana non ci fornisce la capacità di capire la natura di ciò che accade nel micromondo, mondo di cui non possiamo avere esperienza diretta». (Amir D. Aczel, Entanglement. Il più grande mistero della fisica).

La meccanica quantistica sconvolge anche i modelli interpretativi dei processi cognitivi, nel 1994 infatti, il famoso fisico dell’Università di Oxford R. Penrose nel suo libro “Le ombre della mente” rifacendosi ad alcune pionieristiche ricerche dell’anestesiologo S. Hameroff e del neurofisiologo B. Libet

“ipotizzò che i processi cerebrali come la coscienza o la consapevolezza dovessero essere direttamente collegati al fenomeno fisico noto col nome di ‘coerenza quantistica’. La coerenza quantistica è quel processo fisico per cui un gran numero di particelle agisce coralmente assumendo le caratteristiche e le qualità di una unica macro-entità, consentendo il verificarsi di fenomeni quali l’emissione Laser o la Superconduttività. Le caratteristiche peculiari della coerenza quantistica sono essenzialmente due: l’evoluzione dei suoi processi dinamici secondo una logica non deterministica (non esprimibile cioè attraverso semplici meccanismi di causa ed effetto o ‘razionalizzabili’) e l’estensione immediata e globale del fenomeno quantistico a tutti gli enti che partecipano al processo coerente. Tali caratteristiche ben si adattano al controllo dei processi mentali come gli ‘stati emozionali’ (per loro natura non razionalizzabili) o ‘l’unicità dei processi cognitivi’. Per quanto concerne quest’ultimo aspetto delle caratteristiche della mente, recenti studi di neurobiologia hanno dimostrato la non veridicità delle ipotesi secondo cui si avrebbe nel cervello una localizzazione ben definita delle funzioni deputate alla coscienza o al controllo dell’attività sensitiva. Tali funzioni andrebbero invece attribuite al cervello nel suo insieme, il quale, attraverso una fitta rete di sistemi interconnessi, controllerebbe ogni attività. ….” (Tiziano Cantalupi).

Il concetto più rivoluzionario alla base della meccanica quantistica, rimane comunque la teoria della relatività di Einstein (E = mc2), che sancisce l’uguaglianza tra energia e materia per cui tutto ciò che è materia e che “vibra” al quadrato della velocità della luce è uguale ad energia e, dunque, che l’energia non è nient’altro che “materia velocissima”.
Da questi presupposti si svilupparono tutte le successive leggi che sanciscono che la materia e l’energia sono strettamente connesse e che le particelle subatomiche non hanno significato come realtà isolate ma solo in quanto interconnesse, sostiene Niels Bohr infatti:

“le particelle materiali isolate sono astrazioni, poiché le loro proprietà sono definibili ed osservabili solo mediante la loro interazione con altri sistemi”.

La meccanica quantistica rivela, dunque, una fondamentale unità dell’universo in cui non si può scomporre il mondo in unità minime dotate di esistenza indipendente; addentrandosi, infatti, nella materia, non si riscontra nessun “mattone fondamentale”, bensì una rete complessa di relazioni tra le varie parti del tutto. Nella fisica moderna l’universo appare, quindi, come un tutto dinamico.
Con questi presupposti mi chiedo, allora, come si possa ancora rimanere ciechi davanti a tanta evidenza e come la scienza medica ufficiale possa tuttora screditare le medicine non convenzionali, quali omeopatia, medicina tradizionale cinese, medicina ayurvedica, floriterapia, cromoterapia, musicoterapica, aromaterapia, ecc., che basano la loro azione sui fondamenti della fisica quantistica oltre che, ovviamente, sui principi dell’elettromagnetismo.
La stessa sorte attualmente tocca anche all’astrologia, considerata dalla comunità scientifica una pseudoscienza o peggio ancora un’arte divinatoria.
L’astrologia ha origini molto antiche, sembra risalga ai tempi dell’antica Mesopotamia Babilonese (2000 a.C. secondo alcuni, 3000 a.C. secondo altri). Proprio tra le rovine di Ninevak, in Mesopotania, sono state trovate delle tavolette che mostrano come l’astrologia abbia conosciuto un periodo di grande splendore già nel VII secolo a.C.. Esse riassumono conoscenze molto antiche, risalenti fino all’epoca del re assiro Sargon il Vecchio, quando i sapienti di corte avevano scoperto delle coincidenze fra determinate configurazioni planetarie e il diffondersi di alcune malattie.
Tutte le più importanti civiltà antiche hanno dedicato grande attenzione all’osservazione dei fenomeni celesti e sviluppato una propria astrologia; ricordiamo l’astrologia Vedica dell’India, l’astrologia cinese, quella del popolo Maya e degli antichi Egizi.
Del resto fin dalla più remota antichità è nota la correlazione dell’attività lunare con le acque, ad esempio con le maree e se teniamo conto che il corpo umano è costituito dal 70% di acqua, possiamo ragionevolmente pensare che ci possa anche essere una certa correlazione tra l’attività lunare e il corpo umano, o meglio con i suoi umori, intendendo con questo l’accezione specifica del termine, quale quella di tutti i liquidi esistenti in un organismo animale.
Fino all’avvento del pensiero Galileiano si può dire che l’astrologia è stata strettamente correlata all’astronomia, lo stesso Galileo Galilei e altri suoi contemporanei erano astrologi, non era insolito, infatti, per questi scienziati fornire consulenze astrologiche ai potenti signori dai quali spesso dipendevano.
Ma la correlazione più antica dell’astrologia è proprio con la medicina.
I sacerdoti-astronomi Caldei, antichi saggi della Mesopotamia del XIV secolo a.C., considerati i padri dell’astrologia, furono i primi ad associare medicina e astrologia. Anche in Grecia, dove l’astrologia ebbe una notevole importanza, grandi studiosi e filosofi, quali Eraclito, Empedocle e Pitagora si occuparono di cercare la logica e l’armonia celata nei rapporti tra uomo e cosmo; lo stesso Ippocrate (460-377 a.C.), padre della medicina occidentale, seppe equilibrare in questa scienza la teoria e l’osservazione; egli riteneva l’esame astrologico fondamentale nel definire una diagnosi e sosteneva che:

“Chi ignora l’astrologia non deve essere considerato un medico, ma un idiota”.

Il medico e farmacologo Galeno, personaggio influente dell’antica Roma, introdusse la medicina astrologica come pratica importante, sostenendo che:

“Lo stato del cielo, la stagione dell’anno, la regione o il paese in cui ci si trova devono essere tenute presenti quando si fa una diagnosi e si stabilisce una terapia”

e mise addirittura a punto un sistema per predire il decorso e l’esito di una malattia per mezzo di dati astronomici.
Nello stesso periodo anche il grande matematico, astronomo e astrologo Tolomeo, insegnando alla scuola d’Alessandria, sosteneva che per diagnosticare e trattare ogni malattia bisognasse tenere conto della carta del cielo, della stagione e del luogo. E’ suo il Tetrabiblos, fondamentale trattato, considerato la Bibbia dell’astrologia, base delle conoscenze moderne.
Un altro interessante collegamento tra medicina e astrologia ci viene grazie al poeta latino Marco Manilio (I sec. a.C. - I sec. d.C.) che formulò la teoria dell’uomo zodiacale, associando ogni parte anatomica del corpo umano a un segno dello zodiaco, in modo che gli oroscopi così tracciati indicavano le condizioni di salute e le abitudini personali dell’individuo.
Anche Paracelso (grande medico, alchimista, filosofo e astrologo del rinascimento italiano) riteneva che il macrocosmo degli astri fosse riflesso nel microcosmo dell’uomo e che il medico dovrebbe anche essere astrologo e conoscere il cielo, poiché i pianeti e le stelle agiscono invisibilmente sull’essere umano. Egli, fece bruciare pubblicamente dai suoi studenti i testi di Galeno ed Avicenna, bollandoli come ignoranti in materia medica e nella prima metà del XVI secolo riteneva che:

“come infatti attraverso uno specchio ci si può osservare con cura punto per punto, lo stesso modo il medico deve conoscere l’uomo con precisione, ricavando la propria scienza dallo specchio dei quattro elementi e rappresentandosi il microcosmo nella sua interezza [..] l’uomo è dunque un’immagine in uno specchio, un riflesso dei quattro elementi e la scomparsa dei quattro elementi comporta la scomparsa dell’uomo. Ora, il riflesso di ciò che è esterno si fissa nello specchio e permette l’esistenza dell’immagine interiore: la filosofia quindi non è che scienza e sapere totale circa le cose che conferiscono allo specchio la sua luce. Come in uno specchio nessuno può conoscere la propria natura e penetrare ciò che egli è (poiché egli è nello specchio nient'altro che una morta immagine), così l’uomo non è nulla in sé stesso e non contiene in sé nient'altro che ciò che gli deriva dalla conoscenza esteriore e di cui egli è l’immagine nello specchio.”

Inizialmente l’astrologia era certamente più focalizzata sul riconoscere predizioni e influenze astrali sulle persone o sugli avvenimenti, che su una corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, così come possiamo intenderla oggi grazie anche alle scoperte del campo quantico; dunque, si è dovuto attendere l’avvento dell’astrologia umanistica negli anni ‘60 perché gli astrologi cominciassero a pensare seriamente alla carta del cielo in termini di crescita e trasformazione psicologica personale.
L’astrologia tradizionale, infatti, maggiormente focalizzata sugli eventi esterni trattava l’individuo quale

“vittima potenziale di un universo indifferente sul quale egli aveva un controllo minimo se non nullo. Di conseguenza, gli astrologi erano fin troppo compiacenti nel fornire ciò che veniva loro richiesto dal pubblico: predizioni, consigli, avvertimenti e soluzioni semplicistiche a quelli che oggi noi ravvisiamo essere complessi problemi di tipo psicologico.” (Glen Perry, Ph. D.)

Fu Carl Jung, medico psichiatra svizzero, fondatore della psicanalisi, il primo a riconoscere il grande potenziale dell’astrologia, vista come strumento per esplorare le profondità della psiche umana e, dunque, come specchio attraverso il quale riflettersi e conoscersi così come già anticipato secoli addietro da Paracelso.
Nella sua lettera a Freud del 1911 scrive, infatti:

“... Di sera sono molto impegnato con l’astrologia. Sto facendo dei calcoli oroscopici per rintracciarvi il grado di verità psicologica. Fino adesso ci sono alcune cose strane che a Lei sicuramente devono sembrar incredibili.”

E nella lettera ad Oswall del 1928 sostiene che:

“L’astrologia non è semplicemente una superstizione ma contiene certi dati di fatto psicologici (come anche la teosofia) che non sono di poca importanza. L’astrologia in verità non ha niente a che fare con gli astri, ma è la psicologia millenaria (5000 anni) dell’antichità e del medioevo. Purtroppo in questa lettera non posso fornire prove o spiegazioni. ... Ma in tutti quei campi strani c’è qualcosa che vale la pena di conoscere e che oggigiorno il razionalismo velocemente ha messo da parte. Questo “qualcosa” è la psicologia proiettata. ...”.

E ancora nella lettera del 1947 a Raman, famoso astrologo indiano, scrisse:

“ ... Nelle diagnosi psicologiche difficili faccio spesso fare un oroscopo per acquistare un altro, nuovo punto di vista. In molti casi i dati astrologici contenevano una spiegazione per certi fatti che altrimenti non avrei capito. Da tali esperienze dedussi che l’astrologia è di particolare interesse per lo psicologo. Si basa su un fatto dell’esperienza psichica che chiamiamo “proiezioni”, cioè sono per così dire contenuti psichici che troviamo nelle costellazioni degli astri. Originariamente nacque così l’idea che questi contenuti venivano dagli astri, mentre sono semplicemente in un rapporto sincronistico ...”.

Dane Rudhyar (Parigi 1895 – San Francisco 1985), pioniere della moderna astrologia transpersonale, fu il primo ad integrare l’astrologia con la psicologia umanistica (avviatasi nel 1951 con il libro “La terapia centrata sul cliente” Di Rogers), fondata su un nuovo concetto di salute nel quale l’individuo sano è colui che giunge alla propria autorealizzazione, al pieno sviluppo delle proprie potenzialità, colui che diventa ciò che è e non il semplice adattato. Secondo Rudhyar, infatti, la carta del cielo poteva essere utilizzata come uno strumento per rilevare il complesso mondo interiore che gli umanisti stavano cominciando ad esplorare.

“Nel 1969 fondò il Comitato Internazionale per l’Astrologia Umanistica e dichiarò che l’astrologia era, o doveva essere, soprattutto una tecnica per la comprensione della natura umana. Denunciò il determinismo implicito nell’astrologia previsionale e si concentrò invece sulle potenzialità dell’astrologia quale linguaggio simbolico. Invece di considerare i pianeti quali trasmettitori di influssi fisici, Rudhyar li considerò quali simboli di funzioni umane. L’astrologia, considerata come linguaggio psicologico e strumento diagnostico, poteva servire da guida all’integrazione e trasformazione della personalità. L’approccio di Rudhyar era ‘incentrato sulla persona’ nel senso che ciascuna carta del cielo era unica; l’oroscopo rappresentava l’insieme delle potenzialità dell’individuo, in cui nessun pianeta era ‘buono’ o ‘cattivo’, ma piuttosto ciascun elemento andava considerato parte di un tutto organico. Gli eventi non venivano interpretati come fatti isolati, con effetti fortunati o sfortunati, bensì come specifiche manifestazioni di fasi di cicli di sviluppo aventi uno scopo ben preciso; un evento traeva il proprio significato dalla fase che rappresentava nel quadro di un dato ciclo planetario e contribuiva ad un processo di crescita in atto che conduceva inesorabilmente verso l’autorealizzazione. “ (Glenn Perry, Ph. D.)

Furono poi in particolare gli astrologi quali Ziporah Dobyns, Richard Idemon, Stephen Arroyo e Robert Hand a portare avanti negli anni ‘70 l’astrologia umanistica.
Liz Green, astrologa umanista contemporanea, nonché psicologa psicoanalista junghiana, sostiene che:

“l’astrologia è un sistema simbolico. È una lente che utilizza un genere particolare di immagini o modelli simbolici, per dare un senso a modelli di vita più profondi che sarebbe, altrimenti, difficile comprendere a livello intellettuale.”

Il principio, dunque, su cui si basa l’astrologia umanistica è quello espresso in sintesi dalla massima che Ermete Trismegisto, sovrano sacerdote egizio assurto a dignità divina, avrebbe scolpito sulla famosa Tavola di Smeraldo:

“Ciò che è in alto è come ciò che è in basso e ciò che è in basso è come ciò che è in alto; mediante queste cose si compiono i miracoli di una sola cosa”.

Potremmo, dunque, dedurre da ciò che il macrocosmo è lo specchio del microcosmo e viceversa, così come ogni singola cellula del corpo contiene nel DNA tutte le informazioni della persona.
L’astrologia umanistica è, dunque, un trasduttore simbolico dell’aspetto psico-emozionale della persona e poiché, come già precedentemente illustrato, le condizioni e le reazioni psico-emozionali influenzano e determinano il nostro stato di salute, l’astrologia umanistica si inserisce quale perfetto anello di collegamento tra medicina e psicologia.
Il problema che persiste, però, è la mancanza di consapevolezza o di coscienza umanistica e psicologica da parte di una certa classe medica, che impedisce, come già sopra esposto, di considerare l’uomo in tutte le sue parti e di trattarlo, di conseguenza, come tale.
In questo modo il medico rimane ancora considerato il guaritore a cui è delegato tutto il potere, sottraendo all’individuo la responsabilità del proprio stato di salute. Proprio per questo le malattie croniche sono sempre più in aumento.
Bisognerebbe rendersi conto che c’è qualcosa di molto più profondo dietro alla manifestazione di una malattia e se, in parte, non è il compito del “medico classico” occuparsi di altro che non sia il corpo, sarebbe molto importante un’attività collaborativa con altre figure che prendono in considerazione questi aspetti e che possono aiutare il paziente verso una maggiore comprensione di sé, delle correlazioni psico-emozionali della propria patologia e delle proprie dinamiche mentali disfunzionali che gli impediscono la guarigione.
Non si può più frammentare l’essere umano e pensare che la vera guarigione possa avvenire agendo dall’esterno solo su una parte di esso, il fisico o la mente, con farmaci, chirurgia o altre tecniche terapeutiche.
Come si può pensare di aiutare una persona a guarire se non se ne comprendono anche le dinamiche sottostanti, se non si indaga l’ambiente familiare nel quale è cresciuto, l’ambiente sociale, l’istruzione, la cultura, i rapporti interpersonali, le sofferenze emozionali, ecc.?
Eppure tutti noi ci siamo passati, tutti noi abbiamo sentito sulla nostra pelle il terrore per le urla dei nostri genitori o le paure per degli atti da parte di compagni di scuola bulli e cattivi, tutti noi soffriamo profondamente per la perdita di una persona amata oppure ci stressiamo tantissimo a fare un lavoro che non ci piace. Come possiamo pensare, dunque, che tutto ciò non centri con il nostro stato di salute fisica attuale?
Molto spesso mi sembra che il vissuto di ogni singola persona debba annullarsi nel momento in cui ci si rapporta alla “scienza” e che, a parte ciò che non è oggettivabile e “osservabile scientificamente”, nulla sia vero; questo è quello che ho percepito in tanti anni di università. Ecco come si mette a tacere l’individualità del singolo e ci si uniforma alla massa inconsapevole e “addormentata”.
Non ci si può sorprendere, dunque, se poi c’è una ristrettezza di vedute in certi ambiti, poiché certe direzioni implicano una visione più spirituale della vita, che ci vede qua come partecipanti attivi del nostro destino e della nostra realtà e ci consente di prenderci finalmente anche la responsabilità di noi stessi e del nostro stato di salute psico-fisica, senza più delegare potere all’esterno, rendendoci conto che, proprio per quelle stesse leggi su cui si basa la fisica quantistica, ciò che ci attiriamo all’esterno con fenomeni, avvenimenti e malattie, non è nient’altro che lo specchio di qualcosa già presente in noi stessi, che ha necessità di essere compreso, elaborato ed integrato nella nostra essenza più profonda per portarci alla nostra evoluzione e alla nostra piena realizzazione.
Ma questo l’università di medicina ancora non lo insegna e solo la vita può essere, per ora, maestra di saggezza.
Purtroppo, però, molte persone anche davanti a segnali evidenti di costanti sofferenze e insoddisfazioni rimangono sorde e cieche e si chiudono nella campana sicura dei dogmi e dell’apparente “scienza certa” e non colgono la preziosa occasione di esplorare dimensioni diverse.
Mi rendo conto, comunque, come ciò non sia per niente facile. Non è per tutti forse addentrarsi in un percorso profondo di conoscenza di sé, in cui ci si deve mettere in gioco in tutto e per tutto, scardinando certezze e sicurezze, per riacquistarne delle nuove, più autentiche e salde passando per quella trasformazione interiore che spesso può venire vissuta come una vera e propria morte per la rinascita e che, quindi, come tale può apparire terribile e devastante. Anche perché, vivendo in una società che spesso emargina i diversi e che troppo frequentemente non riconosce le peculiarità del singolo, ma che più facilmente obbliga ad uniformarsi a stereotipi comuni per non sentirsi rifiutati e allontanati dal gruppo, siamo sempre più proiettati all’esterno che all’interno e, dunque, più facilmente portati a uniformarci agli standard collettivi che a comprendere ed ascoltare le nostre voci interiori.
Dal mio punto di vista, però, solo grazie ad un profondo cammino di conoscenza di noi stessi possiamo comprendere quei livelli che tanta medicina non convenzionale così come l’astrologia umanistica affrontano, volti al raggiungimento del vero benessere della persona, che non può che passare attraverso una profonda consapevolezza di sé, delle proprie attitudini, capacità ed unicità, che ci permetteranno di realizzarci quali unici individui che siamo e, dunque, di portare il nostro meglio al mondo.
Non a caso Socrate sosteneva che:

“Felicità è fare quello per cui siamo stati programmati di fare”

e, dunque, se non conosciamo e ascoltiamo noi stessi, non potremo mai realizzare ciò che ci compete e saremo, quindi, infelici, condizione quest’ultima che ci condurrà inevitabilmente alla malattia.
Ogni situazione vissuta e percepita negativamente, infatti, si trasforma in un’emozione negativa, in un blocco energetico e fisico che se persiste si trasforma poi nel tempo in malattia, come segno della deviazione del percorso di conoscenza e realizzazione di se stessi, come disarmonia delle varie parti costituenti il nostro essere.
La medicina, dunque, dovrebbe tenere ben presente queste correlazioni inscindibili tra mente, corpo e anima, dovrebbe dedicare più tempo all’ascolto del paziente, dovrebbe saper correlare ai sintomi fisici i disagi emozionali e psichici e dovrebbe, quindi, proporre una corretta rieducazione fisica, psicologica e spirituale per aiutare ogni paziente nella scoperta e comprensione di sé e nella realizzazione della propria unicità.
E’ in questo contesto che dovrebbero inserirsi sia l’astrologia che la psicologia.
L’astrologia psicologica ed umanistica, infatti, ci consente con notevole precisione di individuare tematiche e dinamiche psico-emozionali molto importanti per l’individuo, permettendo allo psicologo di riconoscere quest’ultime in un tempo molto più breve di quello tradizionale e di poter mirare in maniera ancora più specifica il proprio intervento per il riequilibrio psico-mentale e, dunque, emozionale della persona.
E’ per questo, a mio avviso, che le figure del medico, dello psicologo e dell’astrologo dovrebbero lavorare in collaborazione e integrazione, perché è un peccato che per una certa presunzione, ignoranza e mancanza di consapevolezza non si possano utilizzare degli strumenti così efficaci e profondi per l’aiuto e la guida verso la guarigione dell’individuo.
Erich Fromm sosteneva che:

“Il compito principale nella vita di un uomo è quello di dare alla luce se stesso”.

In concordanza con questo, personalmente credo che, se non realizzeremo questo compito avremo commesso il peccato più grande.
La parola peccato deriva proprio dal latino peccus che significa “difettoso nel piede”. Il difetto nel piede conduce all’errore nel movimento deambulatorio e, quindi, all’errore nel viaggio della vita.

Chiara Sampaolesi è Medico chirurgo, diplomata in omeopatia. Svolge la sua professione a Rimini.
 

 
 
 
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