giovedì 18 aprile 2024
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    GLI ARTICOLI DI ERIDANOSCHOOL
- Astrologia e dintorni

METAFORA O ARCHETIPO? LA NATURA DEL SIMBOLO ASTROLOGICO
     a cura di Gerry Goddard
 
Metafora o archetipo? La natura del Simbolo astrologico
Introduzione
L'argomento di questo saggio è un particolare dibattito che si è sollevato in campo astrologico in relazione alla natura ultima dei principi astrologici.

In svariate opere, Richard Tarnas ha dettagliatamente spiegato il punto di vista archetipico dei principi astrologici - una complessa prospettiva mitologica, platonica ed junghiana sulla natura degli archetipi, concepita all'interno di un contesto filosofico che abbraccia il pensiero neoplatonico, il Perennialismo e componenti totalmente idealistiche.

Sull'altro fronte della diatriba, partendo da un punto di vista postmoderno, esistenzialista, linguistico e quasi naturalistico, Michael Harding - nel suo Hymns to the Ancient Gods - crea una minuziosa critica alla concezione archetipica (compresa la posizione di Tarnas) sostenendo che i simboli astrologici possono essere adeguatamente spiegati senza bisogno di ricorrere a concetti metafisici o trascendentali.
Harding sostiene che il concetto di 'archetipo' inteso in senso platonico è insostenibile sul piano logico, mentre il concetto junghiano non può ragionevolmente essere messo in correlazione ai pianeti, e propone la propria teoria di uno Zodiaco basilare inteso in senso moderno e scientifico ed una visione (in parte influenzata dal concetto di risonanza morfica di Sheldrake) delle Leggi di Natura come abitudini nate dall'apprendimento piuttosto che verità atemporali trascendenti o principi creativi.

Quando Michael Harding contesta il concetto di archetipi planetari così come li intende Richard Tarnas, si cimenta in quel che probabilmente è il problema filosofico principale in campo astrologico; e non si tratta di una diatriba tra modelli mentali dominanti in conflitto tra di loro come il punto di vista positivistico e scientifico cartesiano/newtoniano in contrasto ad un modo di vedere sistemico, olistico e postmoderno, ma di uno scontro concettuale fondamentale che scaturisce all'interno delle prospettive paradigmatiche postmoderne: un dibattito che si riflette nella sfera delle nuove frontiere della Filosofia e della Psicologia transpersonale, e che ha in enorme impatto sui fondamenti dell'Astrologia e sul suo eclettico mix di concetti neoplatonici ed junghiani.

Al centro della contesa si pone il modo in cui la nostra nuova Astrologia paradigmatica si rivela quando fornisce interpretazioni, olistica in un cosmo ancora naturalistico laddove i significati astrologici non sono altro che metafore linguistiche tessute nel tempo e grazie all'esperienza, oppure ci rivela un cosmo neoplatonico immutabile nel quale un mazzetto di principi trascendentali modellano teleologicamente un percorso evoluzionistico dell'umana consapevolezza.


I fondamenti astrologici ed il nuovo paradigma
Sembra che quel che - in fase iniziale - è stato definito niovo paradigma dell'Astrologia sia sorto dal necessario caos evolutivamente creativo e dal relativismo della psiche postmoderna, una condizione priva di coerenza, di coesione e di accordo, ancora ampiamente pervasa da quel che intende rifiutare, vale a dire il modernismo meccanicistico, atomistico, positivistico ed oggettivistico.

Dato che costruisce un fondamentale accordo in un mondo in cui sembra che l'accordo sia sempre più difficile da ottenere, la caratteristica fondamentale del pensiero postmoderno è che il modo in cui realmente è il mondo sia inconoscibile, in quanto è del tutto condizionato dalle modalità con cui noi giungiamo a conoscerlo! I vecchi venerati metodi di studio empirico del mondo oggettivo e perfino la relativamente recente fenomenologia (cioè la descrizione - apparentemente senza pregiudizi - del flusso di esperienza precedente all'astrazione ed all'oggettivificazione) sono ora diventati i bersagli del pensiero ermeneutico che è inevitabilmente interpretativo e che è frutto evidente delle relazioni che gli esseri umani stabiliscono sempre con ciò di cui si occupano.

Così noi - passo dopo passo - stiamo giungendo a pensare ed ad agire sulla base di questo nuovo paradigma mentale, cioè il dogma del fatto che ciò che viene conosciuto è sempre ed inevitabilmente il prodotto di una sinergia tra il conoscitore e quel che osserva, ed è sempre in funzione del modo di percepire e del punto di vista del conoscitore tanto quanto dell'oggettiva essenza o esistenza esaminate.

Questa cosmologia - o epistemologia - postmoderna, frutto dell'interscambio tra conoscitore e quel che osserva e dunque di carattere cosiddetto partecipatorio (Tarnas 1991, 433-440. Berman 1981, 136-142), che ha abbattuto le rigide frontiere della mente e del pensiero, non è semplicemente la conclusione tratta da una singola e specifica corrente di pensiero filosofico, ma al contrario costituisce l'inevitabile conclusione a cui sono giunte tutte le serie branche della conoscenza - Scienza compresa - nei loro sviluppi nell'arco del XX secolo.

Abolendo il tradizionale dualismo soggetto/oggetto - o mente/argomento - che per così tanto tempo ci ha plagiato, ora possiamo discernere due correnti di pensiero fondamentali, l'una in conflitto con l'altra, che scaturiscono dal paradigma postmoderno:
Un relativismo linguistico e culturale ed un vero e proprio soggettivismo.
Questo orientamento propugna, in spirito radicalmente democratico, l'infinita diversità e l'assoluta pluralità dell'esistenza vista attraverso la storia, la dominante culturale ed il linguaggio, il che rende impossibile stabilire un qualsiasi denominatore comune, qualsiasi dominante, qualsiasi criterio definitivo di Verità e di Valore. La sua posizione filosofica è dunque un pragmatismo razionale ed infinitamente aperto.


Un perennialismo tradizionalmente e storicamente trascendente - anche se necessariamente espresso in modi definiti dalla storia e dalla cultura del momento.
Pur accettando la pluralità e la libertà, questo orientamento propugna l'unità sottostante ad ogni diversità: qui si vede uno schema mentale teleologico che si basa su un cosmo ordinato da un unico significato, nel quale la mente è una componente inerente ed emergente oltre la vita e l'oggetto di osservazione, potenzialmente sottoposta - a suo modo - ad un Ordine Superiore spiritualmente integrato ed ad un transpersonale fine ultimo Omega.
Molti di noi saranno d'accordo sul fatto che l'Astrologia, insieme alla scienza postmoderna ed alla psicologia transpersonale, rappresenta un argomento fondamentale contro il vecchio paradigma cartesiano/newtoniano, meccanicistico ed atomistico (per un'eccellente trattazione di ciò si veda Glenn Perry, 1997 & 1997a); ma - malgrado ciò - non esiste ancora un vero e proprio accordo sulla precisa natura del nuovo modello paradigmatico della realtà che l'Astrologia rivela, o che ci richiede di accettare al fine di riuscire a dare un'adeguata spiegazione ai suoi principi.

Insieme alla prospettiva sistematica generale ed ai concetti della nuova scienza - con il loro trasformato modo di vedere la Natura - esiste una forte pulsione ideologica che ci spinge decisamente a porre l'Astrologia in un contesto intensamente evolutivo, trasformativo o spirituale: il polo perennialista della dialettica postmoderna, vale a dire:
dimostrazioni concrete offerte da alcune cosmologie spirituali di matrice orientale, con le loro tecniche di trasformazione sperimentalmente documentate (ad esempio i livelli superiori di Yoga, Vedanta, vipassana e Zen Buddista o zazen)


la psicologia umanistica junghiana con la sua miscela di evento e valutazione dell'evento

la psicologia teorica transpersonale (Grof, Wilber, Washburn, Walsh) con i suoi livelli di coscienza alterati e trascendenti

alcuni elementi di natura parapsicologica, come le esperienze OBE e NDE

e - naturalmente ad un posto che non è affatto l'ultimo - l'Astrologia stessa.
Il vero scopo dell'Astrologia ed il suo principale intento non sono affatto quelli di motivare scientificamente una corrispondenza tra situazioni planetarie ed eventi, condizioni o caratteristiche terrene: il suo scopo è la deduzione del significato simbolico di ogni corrispondenza presa in esame, nell'intento di costruire una conoscenza reale, e non semplicemente un'accozzaglia casuale frutto della propria inventività (per quanto anche questo sia parte integrante del processo epistemologico).
Quel che è particolarmente notevole e filosoficamente significativo dell'Astrologia è il fatto che il suo simbolismo venga coordinato in una mappa spazio/temporale e non genericamente proiettato nel mondo fisico a puro livello intellettuale, cioè senza agganci materiali di riferimento.

Se con il termine simbolo intendiamo alludere a qualcosa di più che un semplice nome o un segno, a qualcosa di più di un'invenzione soggettiva (condizionata sia sul piano culturale che su quello linguistico), allora è inevitabile il presupposto che la realtà sia un insieme costituito da molti livelli, che vanno ben oltre il semplice livello sensoriale/empirico.
Il simbolo è il nostro modo di comprendere qualcosa di impercettibile e purtuttavia reale che si trova oltre noi stessi e ci pervade (fa un livello più alto oppure più profondo, a seconda della metafora che preferiamo usare per spiegarlo).

A quanto pare, tutti sono d'accordo sul fatto che questi simboli funzionano, il che fa sì che l'Astrologia rappresenti una tecnica di autoconoscenza e di autotrasformazione, un processo ampiamente interattivo ed intensamente dialogico.

La pratica dell'Astrologia presuppone che i significati astrologici siano in qualche modo trascendenti: con tali significati ci descrive chi siamo, o meglio, ci descrive chi siamo grazie alla nostra consapevole collaborazione con i significati simbolici; il che significa che tali significati simbolici non sono pure e semplici nostre invenzioni proiettate sulla realtà fisica concepita in termini di geometria astrologica.
In altre parole, affinché l'Astrologia sia una pratica legittima e significativa, tali simboli devono in qualche modo orientarci verso un livello superiore in senso evolutivo o sviluppativo della realtà (anche se si tratta di un evoluzionismo secondo il modo in cui lo concepiscono le ampie vedute di Teilhard de Chardin o di Aurobindo più che il pensiero neo-darwinista).

La maggiore sfida contemporanea in campo intellettuale è rappresentata dall'impegno a conseguire una genuina integrazione della sfera umana di valori e di significati alla sfera della scienza fisica postmoderna: diversi come sono, dei modelli quali la grande sintesi di Ken Wilber, la prospettiva di Michael Washburn e la mappa transpersonale dell'inconscio di Stanislav Grof sono i contributi maggiori, di importanza centrale, a questo processo.

Alla fondamentale domanda "è la realtà una struttura a molti livelli da interpretarsi in modo evolutivo e tale da poter essere spiegata solo ed esclusivamente attraverso principi che contengono ma vanno oltre le leggi di Natura?", la risposta che io vorrei dare è sì.

Ma se così è, allora si pone la seguente domanda, altrettanto fondamentale: "come si possono spiegare in modo adeguato le strutture della coscienza e del suo mondo, all'interno di questo contesto perenne o neoplatonica?
Qui troviamo numeroso punti di accordo ed altrettanti di disaccordo tra Tarnas/Grof, Michael Washburn, Ken Wilber, gli entusiasti della nuova scienza/misticismo (Fritjof Capra, Renee Weber) e svariati altri punti di vista postmoderni, olistici, ecosistemici ed ecofemministi, che intrecciano un complesso di argomentazioni empiriche e teoretiche che la nuova Astrologia paradigmatica deve essere disponibile ad assumersi: come in ogni campo del sapere, i fantasmi della filosofia vengono a tenerci svegli e non possono essere messi a tacere.

Ma la domanda più importante per i fondamenti dell'Astrologia rimane pur sempre quella che chiede se attualmente le configurazioni astrologiche costituiscano i principi formativi universali di questo grande processo, cioè se quel che chiamiamo simboli astrologici possano essere adeguatamente spiegati in termini naturalistici come fattori specifici tra i numerosi altri fattori che costituiscono il complesso processo cosmico.

L'Astrologia ha la funzione di un ponte tra la dimensione oggettiva empirica e la componente esperienziale soggettiva, e svolge questa funzione grazie ai suoi simboli, ai suoi significati, si suoi valori, alle sue finalità ed alle sue metafore. Dunque, l'Astrologia rappresenta il collegamento tra la dimensione fisica e quella mentale, tra la biosfera e la noosfera, e così facendo ha la possibilità di offrire un immenso contributo al più ampio e generalizzato dibattito sul nuovo paradigma.
Come tale - e solo come tale - l'Astrologia può incorporare le posizioni basilari di Grof, Wilber ed altri, e diventa il candidato preferenziale per un nuovo modello di consapevolezza, più adeguato all'attuale percezione della realtà. Proprio come la meditazione è una tecnica di trasformazione, la chiave esperienziale ad una condizione mistica transpersonale, l'Astrologia può diventare la chiave della comprensione intuitiva concettualizzabile ed intellettualizzabile, la spiegazione del modo in cui si muove il cosmo in evoluzione o - nel modo in cui lo spiegherebbe Richard Tarnas - potrebbe costituire "un cosmico viale unitario per una nuova visione del mondo" (1990, 5)

Anche se il campo dell'Astrologia sembra soffrire delle medesime diversità relativistiche che tormentano in generale la cultura contemporanea, Io sono dell'opinione che la sua essenza perenne abbia la possibilità di contribuire a fare ordine nel caos, e possa suggerire le soluzioni ad alcuni dei più acuti dilemmi persistenti nella cultura postmoderna.

Penso infatti che ogni tentativo di interferire sul modello perennialista dell'Astrologia debba per prima cosa rispondere alla tagliente critica di Harding, che sostiene che i simboli astrologici possano di fatto essere spiegati, e che il loro significato psicologico possa essere chiarito senza la necessità di ricorrere a principi metafisici o trascendenti.

Ma andiamo per ordine, e vediamo per prima cosa la posizione di Richard Tarnas.

Il punto di vista di Richard Tarnas
Nel suo saggio intitolato "The Western Mind at the Threshold" [La mente occidentale sulla soglia], Richard Tarnas analizza le moderne prese di posizione come quella di ispirazione batesoniana del duplice legame, in cui si delinea la prigione cosmologica, ontologica ed epistemologica che si incarna rispettivamente nelle posizioni di Copernico, Cartesio e Kant, per i quali il distacco mentale dell'uomo dal centro del cosmo, il senso di distinzione e di separazione tra la dimensione umana e quella impersonale del mondo inanimato e naturalmente l'impossibilità assoluta di comprendere il cosmo, intrecciati insieme, costituiscono l'essenza del dilemma contemporaneo.

Dal punto di vista di Tarnas, qualsiasi strategia tesa a costruire un nuovo modo di pensare deve tenere conto di queste tre condizioni, ed "è solo l'Astrologia che può fornire il genere di dimostrazioni adatto a suggerire che tutte e tre queste componenti del moderno imbarazzo intellettuale possono essere trascese.
Se le correlazioni astrologiche sono reali, allora l'intera struttura del pensiero copernicano, cartesiano e kantiano - che sono alla base del nostro modo di percepire il mondo - sono minate alle fondamenta" (1990, 5).

Ciò avviene in tre modi:
In primo luogo, in risposta a Copernico, esistono delle correlazioni che suggeriscono che l'universo è modellato in maniera tale da corrispondere - sia nello spazio che nel tempo - alla specie umana, incentrata su questa Terra, e che a sua volta si incentra nei singoli esseri umani...


In risposta a Cartesio, si può dire che le coincidenze astrologiche suggeriscono che l'universo fisico è modellato secondo certi principi formali o archetipici che non sono meramente meccanicistici ma sino profondamente personali e significativi in termini umani [...] e che dunque il mondo non è un semplice meccanismo inanimato ma ha un'anima, quella che è stata definita anima mundi...


In risposta a Kant, si può dire che queste coincidenze astrologiche suggeriscono che in realtà l'universo può realmente essere comprensibile per la mente umana, dal momento che i principi che operano nell'universo stesso sono tali da essere direttamente ed intimamente familiari all'essere umana: intendo dire che i principi secondo i quali l'universo funziona sono archetipi di valore contemporaneamente oggettivo e soggettivo, che allo stesso tempo muovono non soltanto l'esperienza umana ma anche i cicli planetari.
Come ha detto Platone, le categorie della mente umana sono le stesse categorie della mente universale, e le due menti sono intimamente collegate.
(pp. 4-5)
Nella sua intellettualizzata quanto visionaria storia, The Passion of the Western Mind, - [La passione della mente occidentale] - Tarnas spiega dettagliatamente la posizione filosofica che sottende alle sue affermazioni: tale posizione è frutto di un'epistemologia partecipativa, dal momento che "l'inspiegabile Verità della Natura emerge solamente grazie alla partecipazione attiva della mente umana (...) La Verità del cosmo si manifesta attraverso la mente umana (1991, 434).
È tale Verità - più della mente umana - che riflette e produce concetti che rappresentano una realtà esterna o che impongono il loro ordine al cosmo.
In altre parole, in questo caso Tarnas si ricollega all'Idealismo Assoluto di Schelling e di Hegel ed al Romanticismo spiritualistico di Schiller, Coleridge, Emerson e Steiner:
La nuova concezione riconosce senza dubbi la validità dell'acume critico del pensiero kantiano, laddove Kant specifica che qualsiasi conoscenza umana del mondo è determinata per molti versi da principi soggettivi; ma invece di considerare tali principi come appartenenti alla singola soggettività i ciascun individuo - e dunque privi di radici in relazione alla Conoscenza umana - questa concezione partecipatoria sostiene che tali principi soggettivi sono di fatto espressione della specifica qualità del cosmo nella sua essenza, laddove la mente umana altro non è che l'organo di cui si serve il cosmo nel suo processo di auto-rivelazione.
(...)
È soltanto quando la mente umana produce attivamente - traendoli dall'interno di se stessa - il massimo di quel che può creare un'immaginazione disciplinata, e dunque è solo quando impregna l'osservazione empirica di significati archetipici, è solo allora che emerge la più profonda realtà del cosmo
(...)
La mente umana non può ottenere ciò da sola, non può rispecchiare in quattro e quattr'otto una realtà oggettiva presente nel cosmo; accade piuttosto che la Verità del cosmo realizzi la propria esistenza quando si trova a nascere nella mente umana,
(....)
Come ha spiegato Hegel, l'evoluzione della conoscenza umana non è altro che l'evoluzione dell'auto-rappresentazione del cosmo.
(p. 433-435)
Questi principi archetipici non possono avere luogo esclusivamente all'interno della psiche - come Jung ha tentato di dimostrare nel suo periodo centrale, o kantiano. Al contrario - secondo l'opinione di Tarnas - fu in seguito che Jung rinunciò a quella convinzione e giunse ad adottare la definizione di archetipi come autonomi modelli di significato che strutturano e sono inerenti tanto alla psiche quanto al fatto, e dunque in effetti dissolvono la dicotomia tra soggetto ed oggetto.
Da questo punto di vista, gli archetipi sono molto più misteriosi delle precedenti categorie - molto più ambigui nella loro condizione ontologica - meno facilmente riconducibili ad una dimensione specifica, più simili all'originaria concezione platonica e neoplatonica di archetipo. (1991, 425. Jung 1973, 1959.)

Più che il concetto canonicamente rigoroso di archetipo in psicologia, qua abbiamo un modo di considerare gli archetipi di gran lunga più trascendentale, che travalica sia la coscienza sia il mondo, sia la psiche sia il cosmo: è un concetto su cui Tarnas poggia tutta la sua formulazione del suo evoluzionismo idealistico o perenniale, un modo di pensare che filosoficamente tenta di dare risposta sia ai dilemmi moderni sia a quelli postmoderni e che trova la propria dimostrazione nella realtà della coincidenza astrologica.

Tarnas - nel suo modello archetipico evoluzionista - si riallaccia al pensiero di un suo collega, lo psicologo transpersonale, ricercatore e teorico Stanislav Grof (1985), che descrive il fluire della storia umana come una sequenza archetipica che riflette i livelli e le strutture profondamente insite nell'Inconscio (matrici perinatali) del processo della nascita.
Ecco come Tarnas (1991) si esprime sul processo archetipico implicito nella posizione di Grof:
...la sequenza archetipica che governa i fenomeni perinatali, a partire dall'utero attraverso il passaggio nel canale natale, viene sperimentato soprattutto come un intensissimo scambio dialettico - che parte da una iniziale condizione di unità indifferenziata e si evolve in una situazione problematica, conflittuale, contraddittoria, animata da un'intensissima sensazione di separazione, dalla percezione della dualità e dell'alienazione; da qui si evolve in una condizione di completo annullamento che a sua volta si evolve in un'inattesa percezione di redenzione liberatoria che supera in intensità e sostituisce la sensazione di alienazione - ripristinando l'unità iniziale ma ad un nuovo livello, che mantiene la consapevolezza di quanto è stato sperimentato durante l'intero tragitto.
(...)
In termini psicologici, si tratta di un'esperienza di movimento da una iniziale condizione di indifferenziata coscienza pre-egoica ad una condizione di crescente individuazione e separazione tra il sé ed il mondo, che parimenti aumenta la sensazione di alienazione. Infine si sperimenta la sensazione della morte dell'ego, seguita da una rinascita psicologica; spesso ciò si associa in modo complesso all'esperienza biografica dell'uscire dalla protezione rappresentata dalla fanciullezza per passare attraverso la laboriosa condizione della vita e le dolorose contrazioni dell'età fino al momento in cui si incontra la morte.
(p. 429-430)
Tale processo deve realmente essere archetipico, dal momento che - sia secondo Tarnas che secondo Grof - le matrici perinatali in sé e per sé non possono essere completamente afferrate nei loro termini più semplicemente bio-psicologico o linearmente causali.
Il ripetere l'esperienza delle matrici perinatali (attraverso l'LSD o le tecniche respiratorie olotropiche) ci riconduce attraverso entrambe le condizioni - pre-egoica e trans-egoica - procurandoci non solo una guarigione sul piano terapeutico, ma anche una potenziale comprensione della condizione umana, su un piano mistico ma anche tale da riflettere prospetticamente la più ampia traiettoria della storia umana.

Rivivere il processo della nascita non è semplicemente un regresso ad una condizione biologica primordiale: rappresenta anche l'evocazione di una realtà multidimensionale che collega il personale al transpersonale, l'individuale al collettivo, il materiale al trascendente. Rappresenta insomma un'interpenetrazione pluridimensionale del fisico, del mentale e dello spirituale. Dunque l'archetipico (junghiano) rappresenta - nel modo di vedere di Grof - una matrice creativa per tutti i livelli descritti dalla filosofia perenniale, non solamente per quelli che sembrano immediatamente necessari alla descrizione dei fenomeni al livello fisico o biologico (Grof 1985, 90).

Il fatto è che questa matrice viene sistematicamente mappata dalle strutture profonde della mente, empiricamente identificate da Grof come strutture che chiaramente necessitano - per poterlo fare - di una interpretazione archetipica. Infatti, "...in un primo momento la mia attenzione si era concentrata su modelli archetipici preordinati che possano manifestarsi a molti livelli diversi di realtà ed in modi molto diversi.
Non vedo infatti alcun motivo per cui si possa conferire, sul piano psichico, una posizione privilegiata agli eventi del mondo materiale in generale, ed a quelli appartenenti al regno della Biologia in particolare. Più che tentare di spiegare certi determinati archetipi attraverso le dimensioni fisiologiche ed emotive della nascita, io sono ora propenso a pensare che la dinamica archetipica abbia un ruolo fondamentale nella creazione stessa dell'esperienza della nascita"
(Grof, 1996, 35).

Quel che è particolarmente significativo dal nostro punto di vista astrologico è che sia Tarnas che Grof hanno stabilito empiricamente delle connessioni tra i transiti dei pianeti esterni e le esperienze specifiche associate di volta in volta alla matrice archetipica: cioè sostengono che Nettuno abbia a che fare con la prima condizione intrauterina, Saturno con le contrazioni espulsive, Plutone con il canale uterino ed Urano con il principio stesso di separazione rappresentato dalla nascita.

Perciò vediamo che tutte le dimensioni transpersonali identificate da Grof sono collegate sia archetipicamente sia fisiologicamente alla dimensione planetaria (si veda Grof/Tarnas, 1990).

Nel suo notissimo Prometheus the Awakener [Prometeo, colui che risveglia], Tarnas ci offre una spiegazione più dettagliata delle corrispondenze archetipiche del pianeta Urano ai soggetti prometeici ed agli eventi storici o alle ere cronologiche che mostrano qualità prometeiche.
Anche se il proposito della sua dimostrazione era esplicitamente quello di dimostrare che il principio uraniano è incentrato in modo migliore nel mito di Prometeo che in quello del dio greco Ouranos, viene dimostrata anche la natura della corrispondenza astrologica in sé e per sé; vale a dire che tale corrispondenza è un fatto reale - non una corrispondenza descrivibile a parole tra azione del pianeta ed azione terrena (non importa quanto sistemica, a-causale o secondo il nuovo paradigma mentale questa possa essere), ma come corrispondenza di un fatto planetario a determinate categorie di eventi terreni solamente in virtù del fatto che la medesima storia mitologica si manifesta a livello di significato in entrambi i fatti (quello planetario e quello terreno). Per svariati motivi, ciò non può essere arbitrario, meramente soggettivo o frutto di una proiezione mentale.

Contrariamente al pensiero di Michael Harding - che esamineremo nel prossimo paragrafo - desidero sottolineare che l'opera di Tarnas (ed in particolare il suo più recente scritto, composto in collaborazione con Grof) dimostra che le configurazioni planetarie sono indicatori spazio-temporali della realtà di certi principi trascendentali universali che agiscono da un livello superiore rispetto alla coscienza del mondo.


La critica di Harding
Premetto che un ampio uso delle citazioni viene fatto allo scopo di aiutare il lettore privo di familiarità nei confronti del pensiero di Michael Harding. Tutte le citazioni sono tratte da Hymns to the Ancient Gods [Inno alle antiche divinità], e sono numerate per consentirne l'identificazione.

Michael Harding attacca da diversi fronti la nozione di archetipo sopra esposta. Oltre alla confutazione della nozione platonica trascendente di archetipo, mette anche sotto esame i concetti junghiani di sincronicità e di archetipo e critica il modo in cui l'Astrologia ne fa uso.

Per quanto lodato dal punto di vista della sua rigorosa documentazione, il concetto di Prometeo di Richard Tarnas viene criticato in quanto frutto di una prospettiva archetipica, che Harding giudica del tutto inutile e non necessario a spiegare la questione.
Harding ci offre dunque una prospettiva molto diversa della natura del simbolismo astrologico, che necessita di essere dimostrato senza che per farlo si debba postulare l'esistenza degli archetipi.

Analogamente alle critiche sollevate al concetto di archetipo come sopra inteso, la posizione di Harding è altrettanto aggressiva contro il modo in cui l'Astrologia si è appropriata del concetto junghiano di sincronicità. in quanto si dice che tale connessione non causale agisca "al di fuori dello spazio e del tempo, trascenda tutte le frontiere fisiche e sia inafferrabile da tutte le attualmente note leggi della fisica" (p. 25).

Citando dati raccolti da Gauquelin, Harding presenta il caso in cui l'effetto dipende realmente da una connessione spazio-temporale (per la stringente dimostrazione del fatto che gli effetti indicati da Gauquelin sono soggetti alla velocità della luce e dunque hanno una causa fisica, si veda il paragrafo pp. 35-36).
Allo stato attuale del suo pensiero, Harding sostiene che Jung ha sviluppato l'idea di sincronicità allo scopo di spiegare effetti sincronici che sarebbero meglio spiegabili dall'Astrologia stessa! Infatti "i fenomeni astrologici non si possono spiegare con la sincronicità, dal momento che questo è un concetto troppo limitato: (....) la sincronicità viene definita come un qualcosa che funziona in modo casuale e sporadico, inaccessibile da comprendersi con qualsiasi forma di osservazione concreta: questo è di fatto il contrario della pratica e delle premesse teoriche astrologiche" (p. 34).

Di fatto - se è vero il contrario - non è chiaro esattamente quel che Harding intende sostenendo che sia proprio l'Astrologia quel che può spiegare meglio questi eventi senza ricorrere alla sincronicità, anche se è vero che Harding sfonda un po' una porta aperta quando dimostra che l'Astrologia si serve quasi sempre a sproposito del concetto di sincronicità.

Nell'intento di identificare fattori fisici nelle correlazioni astrologiche, Harding non affronta il modo in cui la correlazione tra eventi planetari ed eventi terreni possa fornire una spiegazione della correlazione tra condizioni mentali ed eventi fisici legati gli uni agli altri da una relazione causale a livello terrestre, dal momento che dà per scontato che tutte le condizioni mentali, i significati, i valori etc. siano riconducibili a fondamentali condizioni fisiche definibili grazie alla connessione tra un astro ed un evento terreno, il che è esattamente quel che potrebbe essere dimostrato da una ricerca condotta con metodi statistici.
Sembrerebbe dunque davvero che qualsiasi tipo di fenomeno possa essere identificabile e riconoscibile grazie al metodo Gauquelin (ed ai metodi statistici in generale) in modo tale da poter essere realmente riconducibili a concreti fattori fisici, ed in particolare ad un fattore genetico bio-fisico che potrebbe spiegare le differenze fra colui che sa a malapena gestire una situazione e colui che invece sa affrontarla al meglio .

Ma il fatto che certe determinate caratteristiche psicologiche, certi tratti caratteriali e certi comportamenti siano strettamente interdipendenti da altrettante componenti bio-fisiche non implica affatto che tutto si possa spiegare a questo livello. Infatti l'Astrologia sarebbe veramente campata in aria se non riuscissimo a dimostrare una connessione concreta e materiale ad un qualche livello, dal momento che perfino i più sottili livelli di consapevolezza (ed in particolare quelli raggiungibili con lo yoga e lo stato di trance) hanno concomitanti aspetti materiali (per esempio le strutture sottili del cervello ed i processi più raffinati sul piano biologico)!
Tuttavia la spiegazione fornita da Harding in relazione a quel che sia la adeguata causa degli effetti astrologici rimane incompleta.

Poi Harding struttura un attacco veramente formidabile alla nozione di archetipo, e specialmente al fatto che debba essere inteso necessariamente come infinito ed infinitamente divisibile .
come sostiene in modo ironico,
Q.1) La Morte è un archetipo. La Nascita è un archetipo, e sono archetipi anche l'unione sessuale, il matrimonio, il complesso di Edipo, la competitività tra fratelli, l'avanzare dell'età, la perdita di un genitore, la ricerca di Dio, l'andar via da casa, il desiderio di concepire, il diventare madre, il perdere un figlio, la crisi di identità.....
Dietro ciascuna di queste condizioni (...) si accumulano frotte di Buone Madri, Madri Cattive, Madri parzialmente inutili, Grandi Prostitute, Giovani Vergini, Vampire Tentatrici, Streghe, Vecchi Saggi, Giovinezze Eterne, Tricksters, Vecchi inetti e gente che - strada facendo - s'imbatte prima o poi nella Creatura con la Falce...
(p. 45)
il che lo porta a concludere che "se qualsiasi cosa può essere virtualmente concepita sotto forma di archetipo, in un modo o nell'altro - ed è esattamente quel che alcuni fanno - allora non esiste nulla di particolare o di specifico in tutta l'intera teoria degli archetipi, dall'inizio alla fine.
Per usare il modo di esprimersi di Karl Popper, l'archetipo è qualcosa di infalsificabile, ma non può neanche esserne dimostrata l'esistenza" (p 47).

Senza dubbio, se ciò che noi definiamo archetipo altro non è se non un principio umano di carattere universale, allora è ovvio che si tratti di un concetto abbastanza inadeguato; a meno che non si possano definire con minuziosa chiarezza - come fa Grof - alcuni determinati principi fondamentali o strutture basilari che organizzino analogicamente questi concetti in dimensioni multiple della realtà.

Ciò non ostante, io penso che Harding ci renda un grande servigio nel decostruire la sincronicità e gli archetipi junghiani, non nella loro definitiva formulazione psicologica (Jung 1959,1973) ma nell'uso improprio che ne fa l'Astrologia per spiegare se stessa.
Purtroppo Harding non procede fino alla decostruzione della nozione metafisica dei principi archetipici astrologici.

Citando la nota collaborazione di Jung con il Nazismo, Harding attacca poi le distorsioni razziste contenute nel concetto di archetipo, distorsioni che ritiene per altro scaturite dall'idea stessa.
"Se accettiamo il modello di Jolande Jacobi di una infinità di archetipi ordinati gerarchicamente - che si potrebbe anche intendere come una evidente proiezione della classe sociale e delle strutture storiche dominanti - allora l'intero sistema comincia ad apparire sotto una luce particolarmente sospetta (p. 58),

Il tentativo di Harding di confutare la nozione junghiana scagliando un'accusa ad hominem contro la collaborazione offerta da Jung alle ideologie totalitarie potrebbe essere confutata anche soltanto con la citazione del comportamento analogo tenuto da una delle autorità intellettuali a cui Harding fa maggiormente riferimento, cioè Heidegger.
il fatto che concetti come archetipo, gerarchia, superEgo etc. possano essere distorti - e lo siano di fatto stati - dalla classe politica umana (e purtroppo spesso anche con la collaborazione dei loro creatori) non discredita di per sé la logica o il valore di tali concetti, se solo riusciamo a mantenere la dovuta cautela quando si tratta di farne uso.

A proposito degli archetipi intesi nel modo in cui li intende Tarnas, Harding scrive:
Q.2) Non ci sono dubbi sul fatto che tali aspetti uraniani - quali quelli descritti da Tarnas - siano correlati ad uno specifico approccio nei confronti della vita, cioè il tipo di approccio che potremmo a buona ragione definire prometeico: (...t) coloro che seguono un modello del genere sembrano realmente comportarsi traducendo in pratica quel determinato principio.
(...)
Ma quel che vediamo è realmente l'espressione di un archetipo? Esistono prove determinanti che si ha a che fare con qualcosa di simile ad una copia cianografica, o ad un modello organizzato in cui gli aspetti uraniani trovano la loro manifestazione nella vita dei soggetti toccati da tale astro?
(...)
Se siamo di fronte a carte astrali simili con modelli simili, allora questi modelli si dovrebbero manifestare in modo simile, esattamente a causa della loro somiglianza.
(...)
Se si verifica una composizione simile di energie, dovremmo attenderci di conseguenza un risultato simile: questo è quel che vediamo accadere e questo sembra essere quel che l'eccellente elaborato di Richard Tarnas ha rivelato.
È interessante sottolineare che né Tarnas né la sua opera risultano sminuiti se eliminiamo completamente il concetto di archetipo da ogni suo testo: (...) Riconoscere che i modelli possono sostanzialmente ricrearsi per conto proprio anche fuori della sfera istintuale umana, della quale sono parti componenti, significa riconoscere che l'idea che una forza archetipica sostanzialmente statica si trovi oltre l'evento è superflua.
( ...)
C'è una vera e propria ironia nel fatto che la reale ripetizione dei fatti astrologici abbia creato la necessità di ricorrere ad un concetto tratto dalla Psicologia - quale gli archetipi che, prima di ogni altra cosa, dovrebbero a loro volta essere dimostrati - per motivare tali similitudini, accessibili a qualsiasi osservatore.
(pp73-74)
Queste confutazioni di carattere generale contro il platonismo ed il neo-platonismo so possono trovare più chiaramente espresse nel seguente passo:
Q.3) ...nell'esprimere o nel mettere in pratica un qualche archetipo pre-esistente non diventiamo altro che qualcosa di diverso da quel che realmente siamo.
(p 60)
O anche:
Q.4) Dal punto di vista fenomenologico, il Neo-platonismo compie una errata divisione tra il mondo delle Idee pure e la monotona realtà quotidiana in cui viviamo noi tutti.
In realtà, tutte le teorie che postulano una dimensione superiore che si contrappone ad un mondo inferiore presentano il rischio di lacerare molti esseri umani in una perenne dicotomia: in questa perenne lacerazione tra oggettivo e soggettivo - che costituisce la base della maggior parte delle posizioni filosofiche occidentali - si viene a creare un modo distorto di vedere il senso dell'esistenza umana, un modo che aliena gli aspetti visibili dell'esistenza stessa in favore delle componenti invisibili, interiori, spirituali o più alti.
Tali componenti superiori sono spesso relegati ad una dimensione eterna, il che implica di fatto che l'essere umano sperimenti qualcosa che è ben diverso da quel che l'individuo stesso è.
(...)
Come accade con il concetto di archetipo, la rimozione della centralità dell'essenza di un qualcosa allo scopo di farne slittare il significato ultimo verso qualcosa che va oltre o è superiore all'essere umano è - in ultima analisi - un processo disumanizzante.
(p. 78)
E sullo stesso tenore, ma da un punto di vista heideggeriano:
Q.5) La Verità non corrisponde mai a qualcos'altro, non è mai lo specchio di qualcos'altro, non è una velata imitazione di qualche Idea posta all'esterno del mondo umano; è quel che è contenuto dalla natura e dall'esperienza medesima dell'essere.
(....)
Come accade con il concetto di archetipo, il concetto platonico delle Idee sembra non far altro che allontanarci dalla natura centrale del nostro essere, senza fornire materialmente alcuna aggiunta vera e propria di significato esistenziale alla nostra consapevolezza.
(p.82)
Nel rigettare dunque la necessità di una spiegazione archetipica, Harding presenta il proprio modo di vedere alternativo:
Q.6) Se qualcosa si verifica una volta, e poi ancora, e poi di nuovo, in tutti gli angoli del mondo ed in qualsiasi periodo della storia, ciò non è affatto la dimostrazione che il fenomeno sperimentato o osservato derivi dall'intrusione di un archetipo esterno. Non è affatto la prova che esista un'energia immaginaria, separata dalla cosa stessa, che si trova oltre la cosa stessa e che è il simbolo o la rappresentazione superiore della cosa stessa: è la cosa stessa.
È il modo in cui la cosa si esprime. si manifesta: è il modo in cui la cosa medesima è realmente.
(...)
Dal punto di vista astrologico, avere modelli planetari simili dovrebbe predisporre i soggetti ad azioni o ad esperienze simili, ma non perché tali esperienze possano costellare un archetipo eterno, quanto piuttosto perché i modelli planetari rappresentano simbolicamente il modo in cui ciascun singolo individuo si muove per conseguire il proprio specifico obiettivo; un obiettivo che ad altri accade di condividere.
(pp. 75-77)
Il chiarimento offerto da Harding sul modo in cui ciò accade si aggancia al concetto di memoria arcaica dell'Inconscio di Freud più che alle posizioni di Jung, a cui unisce una serie di spunti tratti da idee naturalistiche in chiave postmoderna (la teoria del caos, l'eterna ciclicità, il valore dell'ipertesto, i campi morfogenetici di Sheldrake) ed una ancora poco chiara teoria degli istinti planetari.
In modo abbastanza ragionevole, si sostiene la nozione freudiana di sviluppo individuale - che riflette o ripercorre il generale sviluppo storico - ove "una ciclica ripetizione di esempi spiegabili attraverso i processi cronologici" ed una memoria latente di tali eventi storici, che si conserva dentro di noi, sono concetti estremamente più confacenti all'AStrologia ed al momento assai più adatti a spiegare le coincidenze astrologiche.
Di conseguenza Harding conclude:
Q.7) Se Freud ha ragione, allora queste sensazioni, eventi, sentimenti e coincidenze non sono affatto simboliche in natura, non sono espressione di poteri psichici eterni o di mitici animali: sono reali. Sono tutte cose che accadono realmente, in qualche tempo, in un determinato giorno, in uno specifico luogo.
(p.96)
Perciò,
Q.8) Gli individui che esprimono istanze simili in situazioni decisamente diverse possono fare così perché stanno attivando un'esperienza inconscia comune, più che un'energia ipoteticamente archetipica: (...) il bambino vive progressivamente storia rappresentata nel tema astrologico perché questa storia è impressa in lui dal suo essere parte del cosmo: è come se un tema natale individuale fosse il riflesso di uno Zodiaco primordiale (questo è il concetto del tempo storico secondo Harding) che sopravvive portando impressa la memoria di tutto ciò che in qualsiasi luogo ed in qualsiasi tempo è stato mappato, e che viene continuamente modificato dai processi della vita (p107).
(...)
Ciò è valido tanto per i cambiamenti del passato quanto per le possibilità del futuro. La dimensione individuale e la dimensione collettiva sono entrambe attive nel processo evolutivo, e sono i loro sforzi congiunti che ridisegnano ininterrottamente i confini delle loro potenzialità .
Di fatto noi siamo inseriti in un ciclo azione-retroazione con l'universo: tale ciclo è metto in atto da quel che facciamo. Così modifichiamo il nostro destino e parimenti non possiamo sostituire ma tutt'al più affiancare il destino di tutti coloro che si trovano intorno a noi.
(p. 109)
Il presupposto che l correlazioni astrologiche si possano spiegare più esaurientemente come retroazioni tratte dall'esperienza storica piuttosto che come corrispondenze del medesimo archetipo lascia aperta la questione del modo in cui le energie planetarie si colleghino alle dette retroazioni ed alla memoria storica e del modo in cui esse agiscano in modo tale da caratterizzare o costellare determinate classi di esperienza piuttosto che altre classi.
Harding parla del collegamento retroazione-pianeta in termini di istinti, numero ed anche con il vago ma finalizzato termine di principi.'
Q.9) Riconoscere il fatto che tali principi si ricreino ininterrottamente al di fuori delle loro parti componenti istintuali, significa riconoscere che l'idea di una forza archetipica statica posta al di sopra degli eventi è inutile.
(p.74)
(...)
Si può pensare che i pianeti stessi si possano vedere come simboli delle energie istintuali, e che dunque queste energie agiscano all'interno di noi tutti. In un certo senso le energie planetarie ci legano o ci connettono ad esperienze ed a sensazioni appropriate alla loro specifica natura, e noi partecipiamo della loro espressione simbolica.
(...)
Da un lato noi abbiamo la natura, il principio o la percezione istintiva dei pianeti e dall'altro abbiamo il valore numerico che(...) descrive la fase esatta o lo stato della loro dinamica in quel momento (p.100).
Si può anche pensare che il rapporto numerico agisca in modo neo-platonico (...) o magari si può pensare che rappresenti un aspetto della cosa stessa: (...) di fatto è il rapporto numerico quel che sembrerebbe costituire il processo primario dell'Astrologia.
(...)
Il rapporto numerico soggiace a tutti i processi astrologici; in breve, è il rapporto numerico quel che ci mostra come le cose funzionano.
(p.101)
Ma in che modo i pianeti fanno ciò, e specificamente in modo diverso a seconda di ogni natura planetaria?
Ecco come questa idea del rapporto numerico viene chiarita in senso naturalistico:
Q.10) Il rapporto numerico non è in risonanza ad una primordiale idea di archetipo, cioè ad un qualcosa che si trova dietro o oltre la cosa espressa: è all'interno della cosa espressa medesima, traducendo quel che l'archetipo è al di fuori del mondo in un qualcosa che è dentro il mondo, inerente al mondo ed al processo della cosa stessa (p.63).
(,,,)
Quando si compone un gran numero di toni armonici in modo che risuonino insieme, come del caso in cui vengano sommati tutti i cicli planetari, le loro ondulazioni interattive tenderanno a produrre modelli specifici che affioreranno alla superficie del confuso amalgama di tutte le loro individuali frequenze mescolate; noi lo sperimentiamo spesso (...) ascoltando il rumore caotico del traffico cittadino nel quale - da un amalgama di rumori discordanti, separati e completamente dissociati l'uno dall'altro - di sottofondo emerge un pulsare regolare, un modello sonoro che sembra essere pianificato e ripetitivo, ma di fatto manifesta una propria regolarità solo ed esclusivamente grazie ad un'involontaria collaborazione di diverse frequenze sonore; e non c'è nessuno al di sopra, al di sotto a dietro il risultato che lo orchestra affinché noi lo percepiamo in quel modo.
(p64)
Questa idea è sviluppata anche più avanti, citando l'esempio dei frattali, nei quali "qualsiasi connessione con il concetto di archetipo si sbriciola completamente", e nei quali quel che sembra raffigurato "non è affatto un principio primario informativo, ma un modo un cui è possibile vedere la vita che esplode oltre i limiti del processo stesso, agendo in modo incontrollato e selvaggio al di fuori del processo originario" (p.67)

Having ha dunque stabilito un modello alternativo (a quanto pare molto intriso di naturalismo) al modello archetipico,
Il suo pensiero si conclude in questo modo:
Q.11) Alcune specifiche posizioni spirituali o metafisiche concernenti la natura ultima di un qualsiasi principio soggiacente non sono altro che opinioni strettamente personali. Secondo il mio modo di vedere, invece, ci rapportiamo al modo in cui alcune specifiche immagini di valore collettivo affiorino all'a superficie dell'amalgama collettivo, ed a quel che tali immagini possono rappresentare.
(p. 101)
Così - se ho ben compreso, la metafisica e la religione sono relegate alla sfera del puramente soggettivo e delle preferenze individuali, e noi tutti dobbiamo porci in riferimento ad una dimensione collettiva in cui si trova la descrizione non trascendentale e fenomenologica degli eventi.
Ma se è vero che Harding si sta al momento impegnando, insieme ad altri pensatori, nel tentativo di confutare logicamente la nozione di trascendente, allora qui cade in contraddizione.

Da una parte, la critica di Harding rappresenta un attacco filosofico al perennialismo in ogni sua forma. Ma le dimostrazioni e gli argomenti fondamentali con cui si controbattono i concetti perennialistici giungono da altri campi, diversi dall'Astrologia - e la stessa Astrologia è diversa dall'Astronomia: giungono cioè dall'interconnessione culturale (noosfera) e dal sistema planetario inteso in senso olistico, il che può anche non aver niente a che fare con l'Astrologia in senso stretto, non è l'Astrologia vera e propria.
Noi non possiamo impedirci di metterci in relazione - dal momento che questa è la natura del contatto planetario con cui ci mettiamo in relazione - con qualcosa che va oltre il contatto planetario stesso, perché è proprio quel che va oltre il contatto planetario in sé e per sé che costituisce la natura evolutiva dell'Astrologia: oltre alla ricorrenza statistica applicata alla ricorrenza astrologica, quel che noi mettiamo in campo è intriso di perennialismo, perché l'Astrologia è una forma di pensiero organizzata su molti livelli!
Se Harding riduce l'Astrologia ad una struttura mentale composta da un solo livello, allora questo tipo di Astrologia può benissimo fare a meno del concetto di archetipo - a parte il fatto che in realtà non è così, dal momento che anche Harding usa lo stesso complesso di significati e le stesse metafore che usa qualsiasi altro Astrologo, per quanto apparentemente sembra usarli come niente più che una proiezione soggettiva sovrapposta alle reali eredità storica o psicologica.

La conclusione che si potrebbe tracciare in seguito all'esame del pensiero di Harding è dunque:
Che l'Astrologia in sé e per sé non offre prove a sostegno dell'esistenza di archetipi trascendenti, dal momento che le correlazioni astrologiche si possono spiegare senza ricorrere a principi metafisici


che, anche a prescindere dalle possibili considerazioni astrologiche, un'adeguata spiegazione della "realtà" non necessita il supporto di principi metafisici.


che le categorie dell'Astrologia non possono essere archetipiche perché la loro spiegazione non si trova negli archetipi ma nei fatti, dal momento che il vero significato ultimo è incomprensibile o incoerente, a meno che non si esprima in termini puramente descrittivi e tematici.
Non ostante il fatto che queste argomentazioni non impattano direttamente contro il concetto perennialista di archetiipo (il che implicitamente comporta che gli archetipi sono reali) quanto sul come e sul se i principi astrologici possano essere adeguatamente spiegati come principi metafisici che costituiscono e danno forma al grande processo evolutivo, Harding sottolinea alcuni punti importanti, dei quali è indispensabile tenere conto nella formulazione del pensiero astrologico.


La spiegazione del significato archetipico - in risposta ad Harding
L'attacco di Harding contro il concetto platonico di trascendente universale solleva alcune legittime e persistenti questioni. Tuttavia il problema degli universali - trattato da Platone, Aristotele e dai nominalisti e, in epoca contemporanea, da Wittgenstein - non può essere liquidato tanto semplicisticamente, in un modo o nell'altro.

La principale divergenza che si nota tra Harding e le posizioni platoniche e neoplatoniche e che queste sanciscono una totale dicotomia tra la superiore realtà trascendente inferiori modalità in cui il nostro mondo si manifesta come nulla più che un mero riflesso della realtà superiore ed in tutto condizionato da essa.
Il nostro mondo - dal punto di vista esistenziale e fenomenologico che Harding abbraccia - è il solo mondo reale, mentre quello trascendente non è null'altro che un postulato non necessario.
Pertanto - così come Platone esprime l'idea di cavallo ad un livello ontologico superiore rispetto a quello dei singoli specifici cavalli - lo stesso Platone incappa in un errore [perché i singoli specifici cavalli sono realmente esistenti, come si può praticamente dimostrare, mentre l'esistenza dell'Idea del cavallo ad un livello ontologico superiore non può essere dimostrata in alcun modo, e quindi - fino a prova contraria - è puramente ipotetica, non reale], ed è questo tipo di inattendibile formulazione che Harding prende come esempio specifico del modo di vedere gli archetipi classici paradigmatici (p.60).

Alla luce dei più recenti principi paradigmatici del polo unitario da cui scaturisce la polarità molteplicità-unione, questo è realmente un errore sul piano logico.
Ma il punto di vista nominalistico secondo il quale il particolare è reale e l'universale non è altro che un'astrazione, un mero concetto basato sul riconoscimento degli elementi in comune e delle affinità sussistenti tra diversi gruppi di fenomeni, si rivela parimenti falso. Sia il particolare che l'universale sono parimenti reali ed hanno pari valore concettuale.

Si può formulare un perennialismo veramente adeguato (secondo Smith, Schumacher, Gebser, Wilber) laddove l'interscambio tra unità e pluralità, tra universale e particolare non divida il superiore dall'inferiore ma si svolga a ciascun livello della Grande Catena Olarchica dell'Esistenza.
Per esempio, la categoria tavolo ed i singoli diversi tavoli identificabili appartengono al livello fisico/sensoriale mediato dal livello mentale/concettuale (cioè, l'idea universale/particolare non sorge a livelli mentali differenziati se si considerano in modo evolutivo, ma il tavolo e questi tavoli sorgono quando la mente opera in ogni caso a livello sensoriale/fisico).
Per fare un altro esempio, La Giustizia è un concetto che si colloca nella parte più alta della sfera del mentale-razionale-sociale, rispetto alla parte in cui si collocano i singoli e particolari atti di giustizia. Ma un'ontologia multilevello ha bisogno di principi metafisici e non solamente leggi scientifiche per descrivere e spiegare la natura ed i rapporti dei livelli.

Al momento la critica di Harding agli archetipi junghiani in quel che riguarda la loro necessariamente infinita divisibilità e la loro conseguente sconcertante correlazione al mondo dei particolari si applica con altrettanta validità al concetto platonico: in entrambi i casi siamo di fronte al problema dell'applicazione della dicotomia dei mondi (quello concettuale e quello concreto) dal momento che non è affatto chiaro ove uno finisca e l'altro inizi; di conseguenza, Harding può ironicamente dire che qualsiasi cosa - niente escluso - può essere un archetipo (si veda qui sopra il punto Q.1).

Tuttavia questo non confuta i principi formativi che sono simultaneamente sia trascendenti sia immanenti, se noi li intendiamo come manifestantisi nello spazio-tempo macrocosmico (a livello del sistema solare) a ciascuno dei livelli ontologici di realtà (vale a dire lo spirito, l'anima, la mente e la materia).

Come abbiamo visto (nelle precedenti citazioni Q.3, Q.4, e Q.5), Harding sostiene che poggiare sul modello mentale che prevede gli archetipi ci impedisce di essere realmente noi stessi, implicando che il superiore necessariamente modella l'inferiore, che il livello visibile e sperimentabile viene alienato a vantaggio di quello invisibile e non sottoponibile a sperimentazione e delle componenti esterne ipoteticamente superiori, che l'individuo rappresenta in qualche modo l'espressione di qualcosa di diverso da quel che realmente è, e che l'essenza o la centralità della cosa si trova oltre, al di sopra o comunque al di fuori della cosa stessa.

Ma il credere nel fatto che dei principi universali diano forma a questo mondo (principi formulati in modo più sottile rispetto alla rozza formulazione platonica sopra esposta) non implica necessariamente una dicotomia inconciliabile. Che un principio sia trascendente (Platone) non preclude il fatto che possa essere anche immanente (Aristotele).

Quel che deve veramente essere messo in discussione è se l'essenza di un qualcosa sia solo e semplicemente un concetto soggettivo sovrapposto alla cosa stessa e non appartenente al mondo fisico, oppure se la mente che produce tali concetti in relazione al regno sensoriale è di per se stessa ad un livello ontologico equivalente oppure superiore al regno fisico/sensoriale.
Se il mondo o la realtà comprende sia la mente sia la materia (e non è una condizione in cui sia compresa solamente la materia, mentre la mente è considerata solo un epifenomeno di essa), allora la mente è costituita di simboli di significati, ed i simboli - esattamente come la materia - sono costituiti da particelle e campi energetici.
Anche in un mondo perennialista in cui vige la divisione tra principi trascendenti e principi immanenti, il tentativo di separare l'essenza dalla cosa è fallace: non si può neanche parlare o pensare ad una cosa senza coinvolgere la sua essenza, così - ovviamente - come può accadere che l'essenza sia divisa dalla cosa a cui appartiene?
Un perennialismo formulato appropriatamente - e specialmente un perennialismo adeguato alla comprensione dell'essenza dell'Astrologia - non può essere tanto ingenuo da effettuare questa separazione!

Ma il fatto che l'essenza della cosa e la cosa in sé non possano logicamente essere separate non implica né che il nominalismo abbia ragione né che il concetto di principio archetipico sia insostenibile.
Per esempio, un martello può essere percepito come un semplice oggetto e può anche essere percepito in virtù dell'uso convenzionale che se ne può fare, ma questo non è altro che percepire la stessa cosa da due diversi punti di vista o da due diverse dimensioni. In altre parole, la sensazione della cosa ed il concetto della cosa stessa.
Inoltre, quando l'una percezione non è riducibile all'altra in nessun modo epistemologico, noi tendiamo a costruire principi metafisici - piuttosto che leggi naturali - per spiegare comunque la relazione intercorrente!

Parimenti di può ragionare in quel che riguarda la pretesa separazione tra quel che si può osservare e quel che non si può osservare: chi è che può garantire che i livelli più alti non possano essere raggiunti dall'esperienza?
Al contrario, questi sono i regni che diventano accessibili oppure vengono realizzati grazie a particolari alterazioni dello stato di consapevolezza; in particolare, attraverso la meditazione, la contemplazione e la concentrazione intensa.
Inoltre, l'individuale è quel che l'individuale medesimo è a qualsiasi livello, anche se i più alti livelli a cui giunge si iniziano a manifestare quando si trascende il comune livello egoico separativo.

Sul piano psicologico ed esistenzialista, comprendo bene la contestazione di Harding nei confronti dei principi universali: è un modo di pensare che risale alla contestazione kierkegaardiana delle posizioni hegeliane. In modo del tutto legittimo, Kierkegaard ha visto - in tale astratto e disumanizzato sistema idealistico - una perdita del sé ed una vera e propria alienazione dalla realtà umana nella sua totalità.
Per svilupparci e crescere come esseri umani, dobbiamo essere capaci di integrare tutte le facoltà in nostro possesso - ragione, intuizione, immaginazione, amore, capacità di percepire visioni - piuttosto che tentare di comprimere artificiosamente l'immediatezza delle nostre percezioni ad un qualsiasi livello in un qualsiasi schema priori artificiosamente costruito: tuttavia la legittimità della metafisica ed il ricorso a principi metafisici per spiegare le dimensioni più ampie non implica necessariamente che dobbiamo farci invischiare in una condizione logocentrica. I più grandi sistemi metafisici o perenniali non si sono prodotti da soli da una Ragione a priori, ma derivano da stati di contemplazione e da percezioni mistiche nelle quali la ragione ed il linguaggio servono più da veicolo per la descrizione di tali esperienze che da fonte delle condizioni stesse.

La riluttanza di Harding nei confronti dell'archetipo junghiano non ha a che fare con il concetto che gli archetipi siano una struttura profonda della coscienza in perenne evoluzione che affonda le radici nell'inconscio collettivo, ma nella pretesa che si tratti di un principio universale a livello ontologico.
Come Ken Wilber (1995, 247) ha sottolineato, gli archetipi di Jung - che sono risonanze dell'arcaico, e non di componenti trascendentali - potrebbero più correttamente essere definiti con il nome di prototipi, ed a mio parere questa osservazione è in perfetta assonanza al pensiero di Harding (però, come ripete Tarnas, Wilber qui non è a conoscenza della definizione che Jung ha dato dell'archetipo in un secondo tempo).

Ma in questo caso Richard Tarnas non proclama a chiare lettere l'esistenza di una entità divina che interviene tra la prima definizione junghiana dell'archetipo (cioè la forma degli istinti) ed i principi metafisici.
Tarnas non ha bisogno che gli archetipi junghiani siano principi universali neppure per dimostrare che le configurazioni astrologiche indicano o esprimono dei principi trascendenti: di fatto Tarnas sostiene che gli archetipi junghiani, i miti omerici e le Idee platoniche non sono altro che modi diversi di immaginare i principi trascendentali.
Che Jung avesse o non avesse in mente Dio, ora non ha importanza: le sue strutture archetipiche - cioè le profonde strutture prototipiche dell'inconscio, se così preferiamo dire - possono essere definite altrettanto bene come strutture evolutive tramite la storia e l'esperienza, in un modo probabilmente molto simile a quel che Harding definisce ipotizzando il suo Zodiaco primordiale.
Ma - in entrambi i casi - tale evoluzione può essere intesa solo come interrelazione di principi metafisici con contingenze concrete.

La confutazione di Harding a proposito del fatto che il pensiero di Tarnas non offre una convincente dimostrazione all'esistenza degli archetipi (a prescindere dal fatto che - se ho ben capito - Tarnas non aveva alcuna intenzione di farlo, ma voleva soltanto dimostrare che la storia mitica di Prometeo si adatta meglio al pianeta astrologico Urano della storia mitica di Ouranos) si basa sul concetto che i modelli "possono costantemente ricrearsi al di fuori delle loro parti componenti istintuali", che il fatto che "gli individui esprimano temi simili in molte diverse circostanze possono fare ciò perché stanno attivando un'esperienza inconscia comune, non un'ipotetica energia archetipica esterna" e che "se vi sono temi astrologici simili con simili modelli, allora si dovrebbero manifestare in modi simili proprio grazie alla somiglianza dei modelli".
In altre parole, il paradigma archetipico - compreso il modo in cui lo definisce Tarnas - non è necessario per spiegare i dati rivelati dall'Astrologia, dal momento che tali dati si possono adeguatamente spiegare grazie al più naturalistico modello istintuale storico, come definito da Harding.

Tuttavia il riferimento agli istinti ed a simili cause non spiega né descrive la connessione astrologica pianeta-significato in sé e per sé, ad esclusione di un vago riferimento alla possibilità che si tratti di una connessione fisica. Il definire i principi planetari come istinti restringe di fatto la loro sfera operativa al livello biofisico, cosa che - ovviamente - non è affatto un problema per coloro che credono che sia legittimo ricondurre il livello concettuale della mente (significati, valori e simboli) alla sfera degli eventi biofisica.

Anche se è ovvio che - da una parte - dei simili temi astrologici si possano considerare come grafici di simili manifestazioni, d'altra parte oggi si ritiene che detti temi astrologici si possano manifestare anche in modi molto diversi, variabili da individuo ad individuo: la più comune spiegazione a tale disomogeneità attualmente fornita ha a che fare con la complessa natura olistica del tema e con l'insieme delle situazioni (soggetto, storia e circostanze): è proprio questo che rende tanto difficile determinare scientificamente o statisticamente tale rapporto tra i modelli astrologici contenuti nei grafici e loro manifestazioni.

Ma il contesto olistico del tema - cioè il fatto che il Sole in quadratura a Saturno si verifichi ogni volta nel più ampio contesto di una configurazione globale diversa da ogni altra - è secondario rispetto alla complessa multivalenza del principio archetipico in sé. Marte in Leone in 10^ casa ha molti significati che si possono correlare ad una sorprendente quantità di esperienze psicologiche e di comportamenti diversi, e queste esperienze o comportamenti sono accomunati non da una condizione naturalistica o da ricordi inscritti nel comune inconscio collettivo, ma da principi astratti che di per sé non hanno esistenza in senso concreto ma che rappresentano le condizioni logiche principali per poter parlare in modo astrologico!

Il fatto che Harding stablisca una connessione fisica non prova che ciascun dettaglio dei molteplici compresi nell'insieme di ciascuno dei fenomeni collegati ad una configurazione planetaria sia un dettaglio di natura fisica o riconducibile alla sfera fisica; e l'accesso ad esperienze del passato (un0ipotesi compatibile con la teoria della risonanza morfica di Sheldrake) è una spiegazione altrettanto inadeguata.

Non è infatti chiaro il motivo per cui determinati gruppi di esperienze e di fenomeni - più di altri gruppi - dovrebbero costellarsi intorno ad una determinata configurazione planetaria, ponendosi in evidenza senza che in precedenza si parta dal presupposto che quella configurazione planetaria ha un significato. O, nel caso che non si sia a conoscenza di questo specifico significato, cioè nel caso che manchi una sufficiente informazione sulla connessione tra pianeta ed evento terreno, non è chiaro il modo ed il momento in cui si stabilisce questo tipo di risonanza morfica tra la memoria di esperienze passate e gli astri contenuti nello Zodiaco primordiale.
Se la connessione originaria è di natura fisica, allora è contingente così che i significati dei pianeti sono meri accumuli naturalistici di fenomeni nel corso del tempo, e potrebbero anche essere completamente diversi da quello che sono. Cioè: i significati astrologici diventano il prodotto della casualità storica soggettiva umana/culturale e sono strutturati come epifenomeni sulla base di linee-guida che riconducono ad una struttura causa/effetto, anche se sono stati concepiti all'interno di un sistema cosmico, olistico, biofisico: una sorta di ipotesi Gaia tanto grande da racchiudere l'intero sistema solare.

Io ritengo che sia il pensiero di Tarnas sia l'esperienza astrologica generale dimostrino veramente che le corrispondenze tra fenomeni terreni e configurazioni planetarie, pur comprendendo una componente di corrispondenza fisica tra fatto e fatto ad un livello fisico, esistano e siano riconducibili solamente all'interpretazione di ciascuna configurazione planetaria come una significativa astrazione.
I gruppi di fenomeni terreni che vengono collegati dall'astrazione, logicamente e necessariamente mancano di una connessione naturalistica reciproca: una tale significativa astrazione rimarrebbe semplicemente soggettiva ed esperienziale, senza alcuna pretesa metafisica. Il che significa che non è che noi scopriamo che ogni volta che un certo significato ci si manifesta, si sta verificando una particolare configurazione!

Così abbiamo una correlazione che si manifesta nello spazio/tempo, ma non si tratta semplicemente di una correlazione tra un particolare fatto celeste ed un particolare fatto terreno, quanto della correlazione tra un fatto ed una significativa astrazione!
Questo costituisce la prova che la realtà si può spiegare solo metafisicamente.

Quel che c'è di significativo nell'interpretazione astrologica non consiste nel fatto che si trovi la spiegazione per una specifica corrispondenza tra fatto planetario e fatto terreno, ma nel fatto che si riesca ad individuare un significato abbinato ad un modello astrologico. Questo è esattamente il motivo per cui il valore dell'interpretazione astrologica non è scientificamente testabile.
&Il fatto che ad un qualche livello (fisico, psicologico, spirituale) si possa trovare una corrispondenza tra fatto planetario e fatto terreno non spiega comunque in alcun modo i livelli di significato astrologico più sottili e complessi, a meno che non si possa arrivare a dire che ciascun significato astrologico non è altro che l'osservazione empirica di se stesso - cosa che non ha senso.

Solamente grazie ad un complesso e non naturalistico postulato di significati si può dire che un evento planetario è correlato ad una situazione terrena.
Per citare un semplice esempio, soltanto grazie ad un astratto universale - sia esso una forza o un potere - si può dare una significativa spiegazione alla connessione tra eventi disparati come un'esplosione improvvisa, una martellata su un dito mentre si sta piantando un chiodo, la vittoria sportiva di un atleta, una gara di pugilato, una prova fisica di coraggio, una dimostrazione di forza morale, un gesto di autoaffermazione sociale, una forte capacità decisionale, un attacco di rabbia, una situazione di potere, un'assolutamente non-egoica ma tuttavia forte e chiara azione di un maestro Zen.
Non c'è alcun modo di dimostrare in modo naturalistico che questi eventi - che sono dichiaratamente fenomenici - siano tutti collegati l'uno all'altro. Dal punto di vista naturalistico, il concetto forza non esiste nella realtà (esistono forze fisiche, forze biofisiche, forze psicologiche e poteri spirituali, ma non si può isolare una vera e propria forza concreta all'essenza di ciascuna di esse): tale concetto non è altro che un presupposto universale, una semplice invenzione della mente che riconosce o che crea modelli per i quali non si può riconoscere un principio universale esistente né in queste né in alcun'altra dimensione.

Tuttavia questo è esattamente il come ed il quando con cui l'Astrologia arriva a tracciare la propria immagine e dimostra che un tale concetto universale attualmente ha una concreta incidenza, non per mezzo di un fattore concreto che si può dimostrare in termini di connessione fisica (ad esempio con i campi morfici) tra fenomeni che non hanno alcuna connessione l'uno con l'altro, ma grazie al fatto concreto che ciascuno dei fenomeni del gruppo preso in esame fa a sua volta riferimento ad un altro fenomeno solamente grazie la mediazione di un concetto universale!
Questo costituisce l'unica prova possibile del fatto che determinate classi di eventi fisici, come ad esempio le configurazioni planetarie, corrispondono - per quanto misteriosamente - a certi universali astratti.

Il prometeismo è un'idea straordinariamente complessa, un significato sfaccettato, e se anche la dimostrazione di Tarnas si rivela valida solo entro i limiti che Harding gli concede, nondimeno dimostra l'esistenza di astratti universali, vale a dire principi archetipici.
L'uso della parola archetipo in questo contesto va però ristretto, e non comprende né l'Idea di Platone né la definizione esatta che Jung ne ha dato.

L'unica altra alternativa a questo modo di pensare consiste nel presupporre che i significati planetari non siano altro che elementi puramente soggettivi (anche se condivisi all'interno di una dimensione storico-mentale collettiva) e che - in ultima analisi - i significati ed i concetti siano riconducibili in modo naturalistico ai processi cosmici, posizione estremamente difficile da sostenere alla luce delle esperienze transpersonali e mistiche e della stessa esperienza astrologica.

Si potrebbe argomentare che l'idea prometeica sia alla base di una condizione biofisica come un mal di stomaco, o che il significato delle opere di Shakespeare sia frutto di certi neuroni impazziti nella sua mente sommati ai processi fisici coinvolti nella scrittura di ciascuna delle opere, o esperienze soggettive (neuroni compresi) degli spettatori.
In alternativa, si può fare riferimento - alla maniera di Sheldrake - ad un livello di consapevolezza in cui le strutture organiche (il cervello) agiscono da rice-trasmettitori (il suo esempio in cui cita la televisione) e pensare che il concetto delle specifiche concordanze cosmiche possa essere sostituito da una abitudine ed una risonanza morfica delle "leggi universali": questo offrirebbe una spiegazione di nuovo genere e forse più vicina al pensiero di Harding, ma in definitiva implicherebbe comunque una prospettiva perennialista simile a quella accennata nel pensiero di Wilber sopra citato.

Alla fin fine, se so accetta che l'idea prometeica sia la realtà dei personaggi citati come prometeici e non semplicemente una soggettiva invenzione prospettica oppure un fenomeno riconducibile al piano naturalistico, allora il pensiero di Tarnas stabilisce il più stringente caso - cioè la più evidente dimostrazione - degli archetipi.

In linea di massima, se si parte da una prospettiva esistenziale, fenomenologica e linguistica (che - a mio parere - evita di doversi porre il problema del perennialismo), Harding presenta un modello mentale con una forte componente naturalistica, parlando di onde armoniche statiche in cui modelli apparentemente privi di significato acquistano significati apparenti. Allo stesso tempo, Harding evita semplificazioni naturalistiche riduttive, cosa evidente quando del suo modello dice: "Non si tratta della cieca evoluzione della socio-biologia contemporanea, un inesorabile avvolgersi di geni verso un futuro casualmente selezionato: è una relazione interattiva che può indirizzarsi verso direzioni consapevoli".

La spiegazione hardinghiana di quel che Tarnas definisce fenomeno - che Harding spiega grazie al suo Zodiaco primordiale inconscio, capace di immagazzinare il ricordo storico di esperienze collettive - non fa altro che girare intorno al problema, anche se i concetti di ripetitività storica, di gradi segnati dai precedenti eventi e dalle precedenti esperienze, e la menzione del complesso effetto globale del passato sul presente sono tutte componenti estremamente ragionevoli.
Ken Wilber (1995) offre uno spunto chiarificatore sottolineando che - anche se le ripetizioni del passato stabiliscono un intenso modello "archetipico" che guida i processi formativi delle future esperienze - tuttavia tali ripetizioni non hanno voce in capitolo quando si tratta di affrontare creativamente condizioni del tutto nuove.
Più un holon si ripete, più è forte ed archetipico.
(...)
Perciò, il numero di possibili modelli archetipici materni è enorme, dal momento che ogni essere umano nel corso della propria esistenza ha almeno una madre, e dunque la somma totale di risonanza collettiva di questo archetipo è veramente profonda (...) ma se si confronta al numero di padri e madri reali sommato al numero di padri e madri in senso puramente mistico, allora la somma delle varianti archetipiche è un numero penosamente piccolo.

I mistici del passato hanno senza dubbio tracciato una certa risonanza olonica in ciascuno dei loro discepoli. Ma probabilmente più un'esperienza è rara e meno comune è sul piano umano, più debole e meno comune è l'archetipo che ad essa si riferisce - se per spiegarlo si fa riferimento solo a questa teoria.
(...)
Ma quando lo Spirito reale discende, esplode nell'archetipo materno, in quello paterno ed in qualsiasi altro mediocre archetipo limitato - dal momento che viene da un'altra direzione, con la forza dell'Infinito, e non è una semplice risonanza di un'esperienza del passato che si limita ad una reminiscenza evolutiva.
(...)
Mano a mano che ci si inoltra verso i più alti archetipi trascendentali, che ora sottendono alle strutture potenziali, più facilmente accade che individui successivi a tali mistici si colleghino ad archetipi simili; come hanno fatto i grandi eroi transpersonali del passato. Ma la dimensione a cui questi grandi eroi si sono collegati non era più quella dei tipici e ripetitivi modelli comuni, quanto quella delle future possibilità più alte.
(...)
Sheldrake lo riconobbe quando sottolineò che la risonanza morfica non spiega, e non intende spiegare, l'eccezionalità creativa: (...) l'eccezionalità creativa viene dalle strutture potenziali del livello futuro più alto; la risonanza morfica viene dal passato e si stabilisce solo in seguito all'azione effettuata per una prima volta dalle energie creative.
(p.594)
I fenomeni del tutto nuovi del presente (esperienze, comportamenti, intuizioni, eventi) non sono del tutto dipendenti, condizionati o spiegabili dal passato: è la continuità di significato che collega la diversità di fenomeni che si manifestano in modo del tutto nuovo e che li organizza in schemi significativi chiaramente comprensibili grazie al riferimento astrologico!
Questi schemi di significato sono tanto più efficienti quanto più siano in grado di identificarli in un tessuto globale preesistente, come un fiume o una montagna - in parte una convenzione, in parte una realtà indipendente - nel modo del tutto convenzionale usato comunemente per tracciare i confini delle singole nazioni grazie ad un limite fisico reale. Per quanto questa metafora fisica sia parziale, chiarisce comunque il punto che le cellule semantiche corrispondenti ad una particolare configurazione planetaria sono scoperte che hanno a che fare con la natura della dimensione mentale/simbolica (come la montagna, quando diventa espressione della necessità di fissare un confine a cui si possa poi fare riferimento) più che invenzioni soggettive proiettate nella dimensione fisica.


Conclusioni
Se gli argomenti che vi ho presentato forniscono adeguate risposte alle obiezioni sollevate da Harding al concetto di un mondo archetipicamente determinato in generale ed alla connessione tra effetto astrologico ed archetipi in particolare, questo non è se non un semplice abbozzo della strada da percorrersi; vale a dire, spiegare logicamente la natura degli archetipi implicati e le loro connessioni a livello concreto, come pure stabilire ermeneuticamente l'adeguatezza dei principi astrologici alla spiegazione delle ontogenetiche e filogenetiche strutture evolutive e promotrici dell'evoluzione e dei processi identificafi in tali correlazioni, piuttosto che diversificare i modelli come hanno fatto Ken Wilber, Michael Washburn, Stanislav Grof, Richard Tarnas ed altri.

Il modo in cui l'intero movimento planetario e la struttura geometrica cosmica sul piano fisico si incarnino nei principi archetipici che manifestano ad ogni livello - da quello biofisico a quello mentale fino a quello transpersonale e spirituale - rimane argomento aperto alla discussione.
Al momento abbiamo a disposizione solo concetti spiegati ancora in modo vago sull'interpenetrazione tra mente e materia, su risonenze ermetiche o olografiche tra sopra e sotto, su organismi olarchici contenuti all'interno di Gaia e Gaia stessa all'interno del sistema solare, e perfino il cospicuo pensiero di Bohm sull'Ordine Implicato in tutte le cose: sono tutti concetti inadeguati e contengono molte incongruenze se si esaminano alla luce del pensiero dell'importante teorico transpersonale Ken Wilber, così come è esposto con implacabile nitidezza nelle sue opere (1980, 1983, 1990), specialmente nella più recente, dal titolo "Sex, Ecology, and Spirituality".

Anche in questo caso l'Astrologia ha un enorme e fondamentale impatto sulla formazione di un nuovo modello paradigmatico, imponendoci di tenere conto di questo per ora inspiegato suo modo di funzionare, in modo da conferire l'importanza che spetta tanto ad esso quanto a qualsiasi altra cosa ancora non chiara (come gli alterati stati di coscienza, il misticismo eccetera).

Sappiamo bene che anche ai più alti livelli di coscienza situati oltre i livelli mentale/sociale e biofisico sensoriale/istintuale (cioè i livelli sia traspersonale sia mistico - forse ad eccezione di quel che Wilber chiama livelli causali definitivi, che vanno oltre la manifestazione) si possono trovare componenti fisiche concomitanti, sotto forma di attività del cervello ed effetti misurabili fisiologicamente i quali, come parte integrante della biosfera, sono in qualche modo interconnessi con i più ampi processi fisici del sistema solare.
Ma le strutture inplicate in tali casi, contenute nell'organismo umano, sono di fatto strutture viventi in evoluzione di grande complessità, mentre la struttura planetaria non sembra avere una complessita che si evolve oltre al livello che ha sempre avuto. Tale struttura planetaria rimane apparebtemente una condizione-base, una struttura rigidamente spazio-temporale che fornisce le basilari premesse a quel che si evolve oltre essa ma che non è propriamente costituita anche dal livello evoluto - neanche per quel che concerne la materia (come accade in un passaggio di livello all'interno di un ordine più complesso come potrebbe essere il passaggio da quello organico a quello mentale ad esso riconducibile.
La geometria dinamica planetaria non presenta condizioni di complessità maggiore oltre al livello fisico, pre-biologico: anzi, è proprio per questo motivo, per questa sua apparente non complessità, che una configurazione planetaria si rivela adatta a fornire le linee-guida per la manifestazione spazio-temporale di tutti gli eventi, sia a livello semplice che a livello più sottile. L'unico modo in cui si potrebbe spiegare ciò consiste nel voler pensare che sia stato formato dallo stesso progetto archetipico, un progetto che comprende la struttura planetaria e qualsiasi altra cosa che si evolva oltre essa.

Che questo stesso tema (ad esempio il tema di contrazione/espansione che si incentra in Saturno/Giove) sembri manifestarsi a tutti i livelli o in tutte le dimensioni non è cosa significativa di per sé; ma che i temi archetipicamente collegati siano uniti nella dimensione spazio-temporale in virtù di alcuni importanti principi fisici a livello planetario è cosa che ha enormi implicazioni per qualsiasi modello perennialistico del cosmo.
Tuttavia noi non possiamo ridurre i temi alle principali strutture fisiche né possiamo ricondurre i fenomeni di un determinato livello a fenomeni analoghi di un livello precedente tracciando in modo empirico delle linee di sviluppo attraverso livelli successivi di complessità come si fa - ad esempio - quando si tracciano le linee-guida dell'evoluzione delle strutture cerebrali o quando si segue l'evoluzione delle funzioni cognitive del Piaget.
Per poter fare quanto appena detto, sarebbe necessario poter disporre di un modello all'interno del quale si possa tracciare una linea verticale, come solitamente si fa, per collegare fenomeni analoghi sugli svariati livelli, collegandoli da una dimensione spazio-tenporale al livello fisico di base di una configurazione planetaria fino alla dimensione spazio-temporale in cui l'evento planetario viene a manifestarsi a livello transpersonale, mentale o fisico. Sulla base di questo modello, allora, il concreto evento planetario Giove/Saturno si potrebbe immaginare come la base, il livello più basso del principio archetipico o della linea che prosegue poi in punti nodali a ciascun livello della Grande Catena Gerarchica dell'Esistenza.

Dalla struttura planetaria in sé e per sé - dunque - noi non possiamo trarre alcun contenuto: possiamo soltanto osservare - grazie alle nostre strutture di significato - che cosa accade a ciascun livello. Osservare significa annotare i fatti empitici su un certo livello, la fenomenologia e l'ermeneutica ad un altro livello, le dirette esperienze meditative ad un altro ancora.
Tuttavia vediamo che qualsiasi cosa si manifesti, a qualsiasi livello, è conforme alla struttura fondamentale - come la disposizione degli organi del corpo umano intorno allo scheletro - quello stesso scheletro che costituisce la parte fondamentale e terapeuticamente rilevante nella chiropratica.
Così noi ci troviamo a leggere all'interno di queste strutture, il che - dopo tutto - è quel che sostiene Wilber (che al momento è tutt'altro che in sintonia con l'Astrologia, ed anzi è paradossalmente del tutto chiuso ad essa). Però noi facciamo ciò solamente in modi che sono - per così dire - provocati, o concessi dalle strutture stesse, identificando quel che si evolve teleologicamente anche oltre questi gruppi di strutture fisiche planetarie, pur essendo conforme agli stessi principi trascendente/immanente che troviamo alla base delle linee-guida secondo le quali sono state formate le figure planetarie stesse!

Così, le configurazioni planetarie non possono essere semplicisticamente equiparate agli archetipi. È possibile che si cerchi di comprendere le configurazioni considerandole caratteristiche integranti quasi magiche di un favoloso intreccio, un modo eterarchico (orizzontale) piuttosto che gerarchico (o olarchico) di interpretare il cosmo. O, cosa molto allettante, è possibile che deduciamo dall'effetto astrologico un modello olografico in cui l'intero (il sistema solare) ai riflette nell'elemento parziale (l'individuo sulla terra).
Ma queste sembrerebbero posizioni incoerenti e sono state duramente contestate da Ken Wilber (esp. 1995). Inoltre la prospettiva astrologica, adeguatamente articolata in termini di Grande Catena Olarchica dell'Esistenza, impone alcune importanti modifiche alla posizione spesso incompleta di Wilber, allineandola maggiormente alle idee di Tarnas, Grof, Washburn ed altri.
In ultima analisi, l'Astrologia può arricchirsi molto dall'approfondimento di questi argomenti, guadagnando una più profonda comprensione dei principi secondo i quali funziona.

Io penso che abbiamo il peno diritto di sostenere che le configurazioni astrologiche funzionano come condizione base spazio-temporale di catene verticali di analoghi fenomeni a tutti i livelli della coscienza emergente e dei significati solo perché viviamo e cerchiamo le nostre spiegazioni in un universo archetipicamente formato - dove il termine universo comprende la dimensione fisica e qualsiasi cosa si trovi al d sopra di essa. Se riusciamo ad articolare il modo in cui i principi astrologici generano le strutture profonde della coscienza/mondo all'interno del paradigma evolutivo, allora siamo nel pieno diritto di dire che - dal momento che essi possono giungere a spiegare fino ai più sottili livelli della nostra comprensione - veramente i principi astrologici sono principi universali che informano il cosmo dalla condizione di inconsapevolezza della materia fino alla divina consapevolezza dello Spirito.


Bibliografia

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