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    GLI ARTICOLI DI ERIDANOSCHOOL
- Astrologia e dintorni

GIOVANNA LA PAZZA
     a cura di Marina Maino
 
Giovanna la Pazza

PARTE STORICA

 



Giovanna di Castiglia è una delle figure femminili più misteriose e la sua vicenda è senz'altro una delle più drammatiche ed oscure dell'epoca medievale. Conosciuta in patria come Juana la Loca (Giovanna la Pazza), è passata alla storia per la sua malattia mentale, non per il suo operato e le sue idee. Nonostante la presenza di numerosi scritti degli storici coevi ed alcune testimonianze giunte sino a noi da personaggi di corte che gravitarono intorno a lei, unitamente ad una pletora di leggende ed aneddoti “fuori controllo”, che tuttora aleggiano su questa Regina e che alimentarono l'immagine di “pazza”, ancora oggi gli storici moderni non sono in grado di rispondere, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, al principale quesito che questo personaggio da sempre solleva: “Juana la Loca” fu davvero una donna folle, resa pazza per amore? Oppure fu in realtà una donna emancipata ed intelligente schiacciata dal dovere di stato e da regole morali e sociali che non riuscì a tollerare? O fu forse il contrario? Ossia che le idee di Giovanna non furono tollerate dal sistema e dalla corte, lenta e pachiderma, che fece di tutto per soffocare il suo anticonformismo e le sue idee aperte che avrebbero potuto sobillare un popolo schiacciato e oppresso?

Tale controversia divide gli storici da sempre ed i suoi stessi biografi diedero spesso versioni diverse e contrastanti riguardo i suoi comportamenti ma il percorso esistenziale di Giovanna va senz'altro inserito sia nella sua epoca sia, soprattutto, nel corpus di norme e regole di Stato e negli scopi politici famigliari.

Gli storici moderni rivalutano questa figura storica, che fu anzitutto vittima della sua famiglia e del suo tempo: le testimonianze contro di lei sembrano inattendibili e ciò che appare certo ed evidente dalle letture dei documenti dell'epoca è che parecchi famigliari avessero interesse a farla passare per pazza e demente, allo scopo di esautorarla dal suo potere politico e di strapparle la sovranità sui regni, cui aveva diritto per nascita.

Consapevole dell’impossibilità di eliminare dubbi in un senso o nell'altro e tantomeno di poter sciogliere l'enigma della presunta pazzia di Giovanna, che quindi resterà un mistero a causa del tempo trascorso, della documentazione frammentaria, della marginalità storica della questione, vorrei comunque in questa sede, senza alcuna pretesa di fornire risposte, analizzare il tema di questa sfortunata Regina, fiduciosa del fatto che l’astrologia umanistica potrebbe forse fornire piccoli elementi utili a rischiarare qualche tenebra… Giovanna di Trastamara, detta anche Giovanna di Aragona e Castiglia, nasce in Spagna, a Toledo, il 6 novembre 1479, discendente dal Casato di Trastamara, figlia terzogenita del re di Sicilia e della corona d'Aragona e futuro re dell'Alta Navarra, Ferdinando II (unico figlio maschio nato dal duca di Peñafiel, re di Navarra e re della corona d'Aragona, Giovanni II e dalla sua seconda moglie Giovanna Enríquez, figlia dell'ammiraglio di Castiglia, signore di Medina de Rioseco e Conte di Melgar, Federico Enriquez) e della regina di Castiglia e León, Isabella I detta “La Cattolica”, figlia del re di Castiglia e León, Giovanni II, e di Isabella del Portogallo, figlia di don Giovanni d'Aviz (figlio del re del Portogallo, Giovanni I del Portogallo e di sua moglie, Filippa di Lancaster), e di Isabella di Braganza, figlia del duca di Braganza, Alfonso, e di Beatriz Pereira de Alvim, l'unica figlia di Nuno Álvares Pereira, conestabile del regno e Conte di Arraiolos, Barcelos e Ourém. Giovanna fu Duchessa consorte di Borgogna e delle Fiandre dal 1496 al 1506, principessa delle Asturie dal 1498 al 1504 e principessa di Girona dal 1498 al 1516, regina di Castiglia e León dal 1504 al 1555, poi regina dell'Alta Navarra dal 1515 al 1555 ed, infine, regina di Aragona, Valencia, Sardegna, Maiorca, Sicilia e Napoli e Contessa di Barcellona e delle contee catalane dal 1516 al 1555. 



Fu la madre di Carlo di Gand, futuro imperatore del Sacro Romano Impero che salì al trono col nome di Carlo V. Sua sorella fu Caterina di Aragona, la (sventurata) prima moglie del sovrano inglese Enrico VIII. La madre Isabella fu l’ultima grande sovrana medievale e, insieme, la prima grande sovrana dell’età moderna e di queste due epoche portò in sé e nel suo regno le luci e le ombre. Sposando Ferdinando d’Aragona e con la presa di Granada (ancora sotto il controllo musulmano) portò a termine il processo di riunificazione della Penisola Iberica; creò lo Stato spagnolo, che sotto di lei arrivò a costituire un vastissimo impero che andava dall’America al Mediterraneo. E’ nel clima della riconquista che Isabella decise di finanziare il tentativo di Cristoforo Colombo di scoprire la via marittima per le Indie. Il risultato andò ogni oltre aspettativa e le colonie americane, con le loro ricchezze, finanziarono per oltre un secolo la politica di potenza della Spagna. Fu lei che nel 1478, per controllare la Chiesa, introdusse nel Regno l’Inquisizione Spagnola, alle dirette dipendenze della Corona, che operò con estrema decisione contro ogni espressione di dissenso religioso (Fonte: Enciclopedia Treccani – www.treccani.it). 

Le radici del male Il 6 febbraio 1481, quando Giovanna aveva poco più di un anno, sul sagrato della cattedrale di Siviglia aveva avuto luogo la prima esecuzione delle sentenze emesse dal sacro Tribunale dell'Inquisizione. Isabella e Ferdinando ne avevano fatto uno strumento personale. Persuasi di servire la volontà di Dio, ripulendo la Spagna da ogni forma di credo che non fosse quello Cristiano, nel 1478 avevano ottenuto dal Papa il consenso di nominare tre inquisitori spagnoli, obbligati a non perdonare marranos (gli ebrei) e moriscos (i mori), colpevoli di praticare segretamente i loro culti. A costoro facevano seguito i fornicatori, gli ossessi, gli indemoniati ed i visionari. L'occasione forniva la possibilità di denunciare anonimamente, e per ragioni del tutto personali, uomini innocenti. Ogni volta che gli ufficiali arrestavano un individuo, questi veniva accompagnato da un notaio il quale compilava l'inventario dei beni che passavano automaticamente alla Chiesa.

Se non condannato direttamente a morte, l'inquisito avrebbe subito la spoliazione di ogni avere, l'esilio o la prigionia e la sua casa sarebbe stata distrutta. Oggetto della persecuzione erano soprattutto i nobili e i ricchi, la cui confisca delle proprietà era sempre conveniente e, dal momento che solo le classi agiate avevano la possibilità di istruirsi e viaggiare, in questo modo venivano estirpati il nuovo pensiero, le filosofie rivoluzionarie e le pericolose agitazioni proprie del mondo moderno che si stavano “schiudendo” agli occhi dei contemporanei, grazie all’Umanesimo di Erasmo da Rotterdam, dei libri stampati e diffusi da Gutenberg, e che di lì a poco avrebbero assistito alla scoperta di un nuovo continente e alla rottura luterana dell'unità cristiana d'Europa. L'istigatore principale di Isabella e Ferdinando nel controllo del pensiero e della coscienza era il priore del convento di Santa Cruz in Segovia, Tomas de Torquemada, un uomo senza limiti né scrupoli di sorta, che aveva proibito alla regina di avere pietà. Autorizzato alla massima severità dalla stessa Isabella, il Tribunale dell'Inquisizione indagava, processava e condannava senza possibilità di difesa. Nell'esecuzione delle pene si era ricorsi trionfalmente al rogo come espressione più alta. Trasformare la piazza in un teatro lugubre comportava il lavoro di intere settimane e alle 6:00 del mattino tutte le campane delle chiese cominciavano a suonare e all'alba la folla accorreva curiosa.

Quando tutti si erano ben sistemati aveva inizio la processione degli inquisiti al canto lugubre del Miserere: avanzavano in fila, una corda al collo, un alto cappello di cartone dipinto a lingue di fuoco e orrendi insetti, una lunga candela verde fra le mani. I prigionieri arrancavano fra due cordoni di uomini Incappucciati, le spie dell'Inquisizione. Erano stati torturati precedentemente coi ferri, la fune, la ruota, la sete, la fame, lo stillicidio dell'acqua e dell'olio bollente. La maggior parte di loro veniva trascinata con la forza. Alcuni erano già morti. Ai prigionieri che non volevano confessare le proprie colpe, veniva tappata la bocca con un cuneo fissato da un filo di ferro dietro la nuca. Chiudeva il macabro corteo un carretto contenente le ossa di coloro che, suicidandosi, avevano tradito l'inquisizione. Legati poi ai fasci di legna inumidita per prolungare il tormento, tra la folla che urlava, i morituri assistevano con gli occhi sbarrati al rito del tizzone benedetto che veniva scagliato ai loro piedi da un prelato solerte. Al momento della predica, anziché il sermone, venivano letti i nomi dei giustiziati che stavano morendo atrocemente, che comprensibilmente quasi sempre bestemmiavano e lanciavano urla dal suono disumano che faceva accapponare la pelle. Quando Giovanna di Castiglia era bambina già 3000 eretici erano stati bruciati nella Spagna di Isabella e Ferdinando: non è provato che i figli dei Re cattolici vi assistettero ma, dal momento che veniva loro insegnata come materia scolastica, certamente Giovanna non ignorava l'opera dell'Inquisizione, oltre al fatto che il fanatico Torquemada aveva libero accesso alle stanze più intime di Isabella e che senz'altro parlava anche in presenza dei bambini di questo “altissimo e nobilissimo compito”. Se non aveva presenziato materialmente all’autodafé, ossia il solenne atto d’abiura pronunciato da un eretico processato e pentito, sicuramente Giovanna era stata costretta a respirare il puzzo acre della carne umana bruciata, risvegliandosi ed addormentandosi al tocco delle campane a morto, giocando con le bambole di pezza all’eco straziante dei giuramenti di innocenza, alle implorazioni di madri, figli, fratelli che invocavano la pietà delle vedove e degli orfani, all'urlo dei moribondi.

Nell'anno 1492 la madre ed il padre di Giovanna conclusero anche la lunga, appassionata e sistematica azione di pulizia nei confronti degli ebrei: il piano era di eliminare queste antichissime comunità colpevoli di aver creato una grande potenza economica. Le numerose comunità ebraiche disseminate in ogni luogo della penisola iberica erano quasi sempre composte da persone colte e potenti. La loro soppressione paralizzava e minava letteralmente la scienza, la cultura, gli ospedali, le università, i mercati, le banche ed i commerci.

Era seguito un esodo spaventoso verso l'Italia, il Portogallo, il Marocco, costretti a svendere l’oro che, per ordine reale, non potevano portare con sé: avevano lasciato la Spagna con i vestiti che avevano indosso per non rinnegare la religione, la storia e la cultura gelosamente conservate e trasmesse da innumerevoli generazioni. Gli ebrei avevano abbandonato sinagoghe, case, beni, terreni. Avvinghiati alla croce, all'ombra inquieta degli angeli funebri, il re di Spagna e la sua devota consorte erano diventati un coagulo nero, vago e informe. Questo fu il grembo che nutrì fin dal primo istante di vita Giovanna di Castiglia, è da questa insanguinata placenta che bisogna partire nel tentativo di svelare l'enigma per il quale Giovanna fu consegnata alla storia come “la pazza”.

Al seguito di una madre battagliera Isabella di Castiglia era detta sia a corte che dal popolo: “La reina errante” e lo era, di fatto, una regina errante. Incessantemente viaggiava da una città all'altra del regno con tutta la corte: i bambini, i documenti, i corredi, le scorte, fermandosi il tempo necessario per consumare i tributi del grano che le era dovuto, consapevole dell'importanza della presenza fisica del sovrano fra il popolo. Isabella trasformava ogni suo spostamento in un ordito utile al grandioso arazzo che stava tessendo assieme al marito Ferdinando: l'unificazione della Spagna! Ed anche i suoi figli servivano a questo ambizioso disegno; con tenacia ed impressionante pazienza andava infatti a partorire in ogni luogo dove riteneva fosse necessario lasciare un segno, un'impronta. Giungeva gravida alle ultime settimane in groppa ad una mula. Oggigiorno Isabella verrebbe definita “una stratega della comunicazione” o un personaggio femminile in grado di valorizzare fortemente la propria immagine a scopi politici, ma Isabella semplicemente sapeva che farsi vedere dai sudditi nel particolare momento del preparto dei futuri principi, avrebbe rafforzato la nuova monarchia.

Raffinata stratega nel combinare matrimoni politicamente ed economicamente vantaggiosi alla monarchia spagnola, Isabella allevò le figlie femmine con una religiosità estremamente rigida e severa, impartendo un'educazione dura ed autoritaria, nell'ottica strategica di futura “merce di scambio e di patteggio” per giochi politici e mire espansionistiche coordinate a tavolino. Per partorire Giovanna, Isabella aveva scelto Toledo, in una stanza calda e raccolta all’interno della casa messa a disposizione dal conte di Fuentes: il 6 novembre 1479 era nata Giovanna, così chiamata a ricordo dei nonni paterni. Aveva capelli scuri, fini labbra tumide, fronte ampia e un nasino rotondo. Il leggero strabismo divergente all'occhio sinistro era un’eredità di suo padre. Somigliava alla nonna paterna Giovanna Enriquez, una donna risoluta e battagliera che non aveva esitato ad usare il veleno per conservare a Ferdinando la Corona dell'Aragona. Ferdinando chiamava “mamma” sua figlia Giovanna mentre Isabella, parlando scherzosamente di lei, quasi sempre la chiamava “mia suocera”.

Dicevano che Giovanna fin da bambina fosse affezionata più al padre che alla madre. Isabella e Giovanna rimasero a Toledo fino alla primavera del 1480 e in quel periodo la regina presiedette le Cortes per ristabilire le regole sulle sue rendite e discutere sugli interessi dei regni di Castiglia e d'Aragona. In estate tutti i bambini furono trasferiti a Valladolid. La nascita di una femmina aveva deluso i genitori e meglio per tutti sarebbe stato se Isabella avesse partorito un altro maschio.

L'infante Giovanni aveva il labbro leporino che gli impediva di parlare correttamente, era balbuziente e rachitico, mangiava pochissimo e si nutriva quasi esclusivamente di ali di pollo. Vomitava ad ogni piccola contrarietà. Sveniva di continuo.

Giovanna invece era una bambina impertinente che si esprimeva con fermezza e chiarezza. Testarda ed indocile, era ritenuta dai maestri la più intelligente dei figli di Isabella e Ferdinando. Era stata istruita con cura: a dieci anni conosceva la grammatica castigliana, la storia spagnola e straniera, la Bibbia, l'araldica, la filosofia, il canto e la musica. Aveva una felice propensione per il latino e parlava correntemente il castigliano e il francese. Assieme al fratello suonava ogni giorno il flauto, il clavicordio e il monocordo. Ma non era una bambina vivace, spesso veniva sorpresa mentre dalla finestra di una delle sue innumerevoli e provvisorie dimore contemplava le nubi erranti nel cielo sconfinato delle meseta: “si estrania facilmente!” riferivano preoccupate le sue educatrici e per questo sua madre la rimbrottava aspramente: “Juanita! Questo è un lusso che non possiamo permetterci!” Crescendo Giovanna si era irrigidita: rifiutava di partecipare alle pubbliche cerimonie al seguito del padre e della madre, ricopriva di sberleffi le petulanti dame di corte, prediligendo quasi morbosamente la compagnia delle moresche convertite al cristianesimo e decadute al rango di ancelle.

Le nobili arabe avevano conservato intatta la loro cultura e alimentavano le fantasie della principessina con storie d'avventura e d'amore fra dame e cavalieri, insegnandole a decifrare la cabala, immergendola in bagni tiepidi e profumati, massaggiandola con unguenti. Nei pomeriggi d'inverno, di nascosto dalla severa regina, le more estraevano dai loro bauli di cuoio i tessuti provenienti dal Regno di Granada e drappeggiavano sete fruscianti sul cilicio di Giovanna.



Verso i 14 anni Giovanna si era fatta ancora più taciturna. Stava di preferenza da sola e aveva interrotto quasi del tutto i rapporti con la madre ed altrettanto bruscamente le attenzioni delle moresche. Aveva orientato le sue letture verso la vita delle mistiche. I suoi modelli erano le Sante di Fiandra, le cui tormentate vicende erano narrate a quel tempo in tutta la Spagna. Leggeva i libri che illustravano il ruolo delle donne predicatrici.

Dai mistici, Giovanna aveva assorbito la convinzione che mentre il sesso era orrendo (Santa Francesca Romana, morta nel 1440, vomitava e sputava sangue non appena il marito la sfiorava), il matrimonio doveva poggiare sui sentimenti. Aspirava a una vita perfetta. Più di una volta le dame di compagnia l'avevano trovata di notte, d'inverno, prostrata sul nudo pavimento a piedi scalzi e in camicia.

Si sottoponeva a lunghi digiuni, meditazioni, atti di carità mortificanti. Assetata di assoluto, sotto i ruvidi abiti che la madre aveva imposto per legge a se stessa e agli altri, portava cilici, croci scapolari, reliquie. La infastidivano però, fino a sfuggire loro con modi ostentati e provocatori, i monaci, i frati, i prelati che costantemente circondavano sua madre. Odiava le messe, le preghiere, i pellegrinaggi e la futile certezza che bastasse confessarsi e comunicarsi per avere l'anima salva. Così Giovanna si sfogava con il suo precettore: “Non posso sopportare che mi siano vietati i balli, che si indaghi sulla profondità delle mie scollature, sullo sfavillio dei miei gioielli, mentre i peccati più terribili vengono lavati via con una semplice confessione…”. La madre ogni tanto la mandava a chiamare e, fissandola pacatamente negli occhi, le diceva: “Juanita così non va!

Tu devi eseguire quello che ti viene ordinato! Non ti è concesso prendere iniziative di testa tua, avere pensieri che non siano controllabili!” Isabella era venerata per la saggezza, l'equilibrio e la capacità di mediare. Il contrario di Giovanna descritta come umorale, ombrosa, passionale.

Giovanilmente e caratterialmente trasgressiva ed ingovernabile, suscitava scandalo nella corte reale della madre che, per reazione, la sottoponeva a una disciplina ancora più rigida e controllante. Durante la prima fase adolescenziale, in Giovanna cominciarono inoltre a manifestarsi i segnali di ciò che oggi i moderni denominano disturbo alimentare, definito più precisamente bulimia/anoressia, confermato in più testi, che ciclicamente l’accompagnerà per l'intera esistenza. Il suo processo di crescita da infante a donna fu marchiato a vita dal pesante conflitto con la figura materna, anche a causa degli scopi utilitaristici intrecciati con la politica e lo Stato. Tale atteggiamento le aveva dunque inimicato non solo la Regina Madre, che rappresentava la parte più conservatrice della gerarchia cattolica, ma anche il padre, Ferdinando II d'Aragona il quale, con la moglie, ne faceva lo strumento di costruzione di una recente unità nazionale e di consenso alla propria politica. Da tempo ormai Giovanna aveva smesso del tutto di esprimere le proprie opinioni, rimanendo muta alla presenza di Isabella. Al suo cospetto non alzava mai gli occhi, quasi non volesse vederla. Il fatto è che ne era terrorizzata. “Una ragazzina antipatica!” dicevano a corte.

Non dava confidenza a nessuno e non riusciva ad avere buoni rapporti con le sorelle. Con la sorella Isabella, umile e ubbidiente, la differenza di età era parecchia (era nata nel 1470). Inoltre non tollerava il suo temperamento bigotto ma sua madre gliela proponeva come modello: “non è come te!” l’accusava “che vuoi sempre fare di testa tua!”. Invece, le era stata sottratta la compagnia di Giovanni che, a 4 anni, già viveva in una piccola corte isolata ma di cui lei amava i gesti garbati e la passione per l'arte, la musica, la poesia ed il suo sorriso dolce.

Maria e Caterina furono principessine a lei sconosciute, affidate ad altre balie ed altri maestri. Nel marzo del 1482 nell'amato palazzo di Medina del Campo mentre era in viaggio fra l'Aragona e l'Andalusia, Isabella si era accorta di essere nuovamente incinta e si era convinta che avrebbe dato alla luce più di un bambino e non era tranquilla perché si diceva che i parti gemellari fossero portatori di immense disgrazie, ma i suoi disturbi l'avevano tratta in inganno e il 29 giugno del 1482 a Cordoba nacque Maria, durante la guerra di riconquista del regno di Granada. Giovanna avrebbe visto sua madre sofferente, quasi moribonda. In seguito a innumerevoli aborti infine, il 15 dicembre 1485 nel palazzo dell'arcivescovo di Toledo, sarebbe nata la sorella Caterina. Tutti quei parti, quei misteriosi malesseri, interminabili viaggi al seguito della madre regina che si spostava su di una mula bianca, mentre i bambini attraversavano sierras e meseta, dentro lettighe portate a spalla dai servi mori avevano oltremodo inquietato Giovanna, cresciuta senza radici, senza una fissa dimora, nessun riferimento né luoghi familiari in cui giocare. Il cavallo era l'unico modo per godersi un po' di libertà.

Coraggiosa e disinvolta come un maschio, provava un piacere selvaggio quando riusciva a lasciarsi alle spalle il seguito di dame e cavalieri. L’altipiano ondulato e deserto della Castiglia era il suo naturale elemento. Galoppare per le brulle campagne la illudeva di non dover più tornare indietro, di non ritrovarsi più intorno la cupa e severa corte materna e di non sentirsi soffocata dai bisbigli dei monaci e poi tutte quelle dame bruttissime che Giovanna chiamava “meste oche spennate” e che Isabella aveva scelto per gelosia nei confronti del marito Ferdinando ed affinché i suoi Cavalieri non cadessero in tentazione. Senza mai separarsi dai fratelli, Giovanna era al seguito della madre anche quando la regina andava a controllare e incitare le truppe sui campi di battaglia, tra fuochi, orrore, morte e cadaveri. D’altro canto Isabella portava sempre i bambini con sé e dormiva con loro quando il marito era lontano. Era un'abitudine che le aveva trasmesso la madre poiché nella loro casata molte erano state le regine imprigionate, allontanate, avvelenate e strangolate perché sospettate di adulterio. Tenere i figli nel letto nuziale l’avrebbe liberata da ogni sospetto di tradimento.

Di sua madre, Giovanna temeva la forza interiore, l'indiscussa autorevolezza, il successo; mentre la regina parlava lei muoveva affannosamente le labbra, invocando la misericordia di Dio. Subiva castighi corporali e molti, prevenendola, se li infliggeva da sé. Si era costruita di lei un'immagine fortissima, era ossessionata da quella donna risoluta e Invincibile, ovunque nel regno effigiata con una lunga spada fra le mani, l'elmo e la corazza. La politica matrimoniale e la successione al trono spagnolo Con il matrimonio tra i genitori di Giovanna, l'Aragona e la Castiglia non si fusero in uno stato unitario (nel senso moderno del termine), ma per patto matrimoniale mantennero poteri uguali e divisi nei rispettivi regni: Castiglia ed Aragona. Potremmo definire questo fatto una sorta di “divisione dei beni” ante litteram.

Rimasero due Corone autonome, sottoposte alle proprie leggi, pur unificando la Spagna in un unico regno. Benché fu un avvenimento assai raro per quei tempi, Isabella rimase dunque la sovrana di Castiglia. La conseguenza fu che gli affari relativi alle due Corone vennero in seguito sempre trattati “come se fossero l'uno un problema esclusivamente castigliano e l'altro un problema aragonese”, e cioè li si affrontò come se l'unione fra le due corone non fosse mai avvenuta. Ferdinando aveva acquisito con il matrimonio la Corona di Castiglia, ma con poteri più limitati di quelli della moglie Isabella, che rimaneva la Reina propietaria. Nel 1504 Isabella confermò questo principio stabilendo, nel testamento, che alla propria morte Ferdinando avrebbe dovuto restituire la Corona di Castiglia alla figlia Giovanna, propria erede diretta. In una situazione normale Giovanna sarebbe diventata di diritto Reina propietaria di Castiglia, vanificando così le ambizioni del padre e del suo disegno politico. Ma è proprio in questo contesto che si svolse la tragedia di Giovanna. La politica matrimoniale di Ferdinando e Isabella, i “Reyes Catolicos” Re Cattolici, (come li aveva titolati nel 1494 Papa Alessandro VI Borgia), era da sempre attenta ad intrecciare matrimoni utili agli interessi della casata sul piano internazionale.

Per Giovanna, terzogenita di cinque figli - tutti destinati dalla nascita a ricoprire posti strategici e prestigiosi negli stati dell'Europa ed a diventare re e regine - la nascita nella città di Toledo è già premonitrice di un excursus legato ad un ineluttabile percorso politico. Il matrimonio di Giovanna di Castiglia con Filippo I d’Asburgo Mentitore sfrontato, abile negoziatore, anziché servirsi di spie in ogni parte d'Europa, Ferdinando d'Aragona aveva creato una vera e propria scuola di diplomazia instaurando, per primo, l'usanza di nominare Ambasciatori ufficialmente accreditati presso le corti straniere. Avarissimo, quando si trattava di ottenere favori, non conosceva né pudori nei limiti: insegnava ai suoi uomini l'uso della corruzione e del ricatto. 

Dopo i primi accordi con Massimiliano, padre di Filippo nonché suo futuro consuocero, si era infatti affrettato ad inviare in Fiandra i suoi emissari, incaricandoli di pagare la nobiltà perché appoggiasse le nozze dei suoi figli coi principini fiamminghi. Nel 1488 a Valladolid, Massimiliano e Ferdinando combinavano i matrimoni di Filippo e Margherita di Borgogna rispettivamente con Giovanna e Giovanni di Castiglia. I ragazzi avevano tutti all'incirca dieci anni. Giovanna fu dunque data in sposa ufficialmente, nel 1496 all'età di diciassette anni, a Filippo I d’Asburgo detto Filippo il Bello, diciotto anni, erede al trono del Sacro Romano Impero, dei Paesi Bassi e della Borgogna, secondo figlio dell’imperatore Massimiliano I. Il legame parentale con questa importante casata fu doppio, in quanto l’unione fra Giovanna e Filippo il Bello fu considerata una delle decisioni di politica matrimoniale meglio riuscite nella storia europea, perché l’erede della coppia sarebbe diventato possessore di un territorio vastissimo, oltre che legittimo pretendente alla Corona imperiale.

Il matrimonio inoltre avrebbe dovuto evitare l'isolamento politico della Spagna e cementare un sistema di alleanze contro la Francia. Si racconta che il viaggio di Giovanna per giungere alla nuova corte del marito fu lungo e travagliato. Si separò infatti dalla sua terra nell'agosto del 1496, quando il mare che bagna la costa cantabrica lo permise perché via terra attraversando la nemica Francia sarebbe stato impensabile. Dopo quasi un mese di navigazione, le navi spagnole entrarono nel porto di Anversa. Giovanna era attesa con ansia dal popolo ma il primo impatto con lei non fu affatto buono. Si scrive di Giovanna, all’epoca del suo approdo: “E’ inaudito! Una principessa, una futura regina vestita come una contadina, con quegli abiti orribili così pesanti, così antiquati! Manca di ogni grazia, sembra una dama di compagnia, addirittura una sguattera!” “La sposa non è certo adatta al nostro Filippo, così un bel giovane prestante con meravigliosi capelli biondi e occhi celesti. E con la fama di essere un grande amatore!” Queste le parole di Vincenzo Quercini, Ambasciatore di Venezia, che ancora scrive dello sposo: “Filippo non è soltanto bello! E’ svelto e vigoroso, ha un carattere brillante con modi disinvolti! Anche se a volte può sembrare altezzoso, nei suoi begli occhi vivi e curiosi si legge un futuro radioso di sovrano…” Il primo incontro fra Giovanna e Filippo avvenne il 18 ottobre 1496, a soli tre giorni dalle nozze, già decise da tempo per procura. La giovane sposa, che del bel Filippo possedeva soltanto un ritratto, era nervosa e preoccupata ma quando Filippo le si avvicinò e le prese la mano, si dice che lei se ne innamorò immediatamente.

Anche di Filippo è scritto che era rimasto talmente affascinato dalla bellezza e dalla forza di carattere di Giovanna da volerla sposare, e consumare il matrimonio, addirittura nel giorno stesso dell'arrivo di lei nelle Fiandre. Il 21 ottobre 1496 furono celebrate le nozze a Lier, in Belgio, in veste ufficiale e per Giovanna inizia una nuova vita come Arciduchessa d’Austria. Comunque, al di là di ogni ragionevole dubbio, pare che l’unione sia partita sotto i migliori auspici e che amore trionfò. Se sotto l'aspetto politico il matrimonio era stato un successo diplomatico, lo era stato anche sotto l'aspetto coniugale.

Dopo il matrimonio, Giovanna e Filippo si insediarono nel Palazzo di Corte a Bruxelles. Intanto la madre Isabella, dalla lontana Spagna, pensava alla figlia e confidava al marito: “I nostri ambasciatori hanno riportato sui comportamenti libertini e frivoli della corte di Borgogna. Temo che Giovanna possa rimanerne traviata o peggio che possa incorrere in qualche terribile guaio!

Dio posso vegliare su di lei!” Infatti Giovanna quando si trasferì ad Anversa, trovò che la corte fiamminga, estremamente raffinata, vivesse in un’atmosfera di sfarzo e dissolutezza sconcertanti per lei che, al contrario, era stata allevata in un ambiente cupo, bigotto ed austero. Aveva infatti vissuto il periodo della “Reconquista”, vale a dire il periodo storico della riappropriazione, da parte dei monarchi spagnoli, dell’ultimo regno islamico nella penisola iberica, seguita dalla cacciata di tutti gli ebrei, ossia il trionfo della religione cattolica, che per questa ragione aveva assunto un valore estremamente importante in Spagna e determinava uno stile di vita castigato e contenuto. Effettivamente, alcuni testi riportano che Giovanna non accettò mai questa “strana” nobiltà, né – tantomeno – questa “strana” nobiltà accettò lei.

La severità dell'educazione ricevuta nell'infanzia si fece sempre sentire e la neo-sposa ne subì il potente effetto per tutta la vita. Infatti, benché lo amasse perdutamente, Giovanna spesso rifiutava di concedersi al bel marito. Filippo, che voleva a tutti i costi un erede, diventava furioso ed un giorno decise di isolare la moglie rispedendo in Spagna la maggior parte del suo seguito. I nuovi consiglieri messi al suo fianco finirono ben presto per plagiare Giovanna che, nonostante questo lavorio psicologico “ai fianchi”, ancora vacillava: “Non starò contravvenendo agli insegnamenti di mia madre? Non incorrerò nel peccato?”

Ma i consiglieri risuonavano: “Peccato sarebbe ritirarvi, sottrarvi ai vostri doveri, alle fantasie del sovrano vostro marito e signore! Se dovesse cercare altrove la sua soddisfazione, allora sì che sareste colpevole, sareste voi la responsabile dei suoi peccati!”



Fra lusinghe e minacce, Giovanna si decise a soddisfare il desiderio di paternità di Filippo e, nel giro di tre anni, diede alla luce ben tre figli: Eleonora, Carlo ed Isabella. Per questa ragione, in segno di scherno, la corte ed il popolo la soprannominarono “LA GIOVENCA”.

Mentre era incinta di Carlo, il futuro Imperatore, fu colta dalle doglie nel bel mezzo di un ricevimento e il piccolo venne alla luce in un lavatoio. Filippo, sprezzante, commentò: “Non c'è che dire! Una donna che partorisce in un gabinetto un futuro re imperatore è capace di tutto!” La prematura morte del fratello Giovanni, a distanza di un anno da quella della sorella Isabella, regina del Portogallo, e del suo erede Miguel, avvenuta nel 1500, pochi mesi dopo la nascita di Carlo, secondo figlio di Giovanna, fecero sì che Giovanna divenisse l'erede al trono di Castiglia. Mentre Giovanna si adattava alla sua nuova patria, anche in terra straniera manifestò subito un forte temperamento poco ortodosso verso la religione e per questo la madre Isabella, dalla lontana Spagna, non mancò occasione per ricordarle la sua missione in favore del suo casato, rimproverandola costantemente per quelle che riteneva le “trasgressioni” della figlia rispetto ai costumi castigliani ed alla tradizione cattolica (si ritiene a causa di un certo interessamento di Giovanna per le moderne correnti religiose dissenzienti che già circolavano prima della Riforma Protestante del 1517).

Questi comportamenti alimentarono sempre più il disappunto della Regina madre, costantemente informata da frate Tommaso di Matienzo, inviato per controllare la figlia e recuperarla alla religione. Agli occhi di Isabella, Giovanna appariva un’eretica e pertanto la giudicava non in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Questa situazione conflittuale faceva il gioco del padre, Ferdinando, che non voleva perdere la Corona di Castiglia a favore della figlia ma soprattutto del genero. Filippo, d'altra parte, voleva gestire da solo il regno che la moglie avrebbe ereditato e che un'opportuna demenza della stessa gli avrebbe consegnato senza colpo ferire. In ragione di ciò, Isabella nominò nel suo testamento il marito Ferdinando reggente incondizionato della Corona di Castiglia. Con l'inizio del problema della successione, ebbero inizio anche i problemi coniugali. Reso folle dall'ambizione e dalla sete di potere, Filippo voleva a tutti i costi impossessarsi del trono che spettava legittimamente alla consorte. Ma ciò nonostante, la loro relazione si mantenne appassionata e salda anche nei periodi di odio, grazie alla personalità forte di Giovanna ed all'affetto cieco ed esagerato che Filippo nutriva per lei. La madre Isabella, che nel frattempo si era gravemente ammalata di cancro all'utero, aveva designato Giovanna come erede della Castiglia. Dunque fu allora che i Reali invitarono la giovane coppia in Spagna, con il solo fine politico di conoscere i reali possedimenti e di consolidare tra il popolo la propria immagine di reggenti. Ma esiste una seconda versione sulle motivazioni alla base di questo invito: mormorii pericolosi sulla follia d'amore di Giovanna cominciavano a risuonare per l'Europa, giungendo fino alla rigida e severa Corte spagnola, preoccupando i genitori, non certo per le sorti di ordine fisico e psicologico della figlia, ma perché già preavvertivano in tutto ciò una destabilizzazione a nocumento del loro ambizioso disegno politico.

Certo non vi è conferma storica alle molteplici narrazioni su vari aneddoti che circondano la figura di Giovanna ma tra queste vi sono molte voci di visitatori di corte del tempo (1501), i quali ebbero a dire che Giovanna (ventiduenne all’epoca), trascorreva giorni senza toccare cibo, comportandosi in modo strano, come se vivesse in un mondo che non riconosceva e nel quale lei stessa non si rispecchiava, senza sapere bene cosa fare. Si dice che l’amore di Giovanna per Filippo rimase eterno ma che non fu altrettanto per Filippo. Il giovane principe consorte, che le cronache descrivono come degno del soprannome che portava, in quanto “fisicamente attraente e virile”, biondo e con gli occhi azzurri, orgoglioso e sicuro di sé (solo un po’ più basso della sposa), comincia presto ad avere innumerevoli amanti, a frequentare osterie da solo o con amici ed a dedicarsi ad ogni piacere, carnale e non.

Ed è qui, in questi dieci anni di vita coniugale, che la leggenda s’intreccia con la storia e non si riesce a cogliere il filo rosso della trama che porta a verità o a fantasia. Comunque, tornando all’invito di Isabella di raggiungerla in Spagna, qualunque fu il motivo, Giovanna accettò a malincuore, temendo un tranello per non farla ritornare in Fiandra. Al contrario Filippo, spinto da ambizione, potere ed ingordigia, vide nel viaggio – e soprattutto nelle stranezze di Giovanna che ormai erano sulla bocca di tutti - l'opportunità di diventare unico Re di Spagna e allora approfittò della permanenza in terra iberica per manovrare abilmente in seno all’aristocrazia castigliana, alla ricerca di sostenitori.

Ma la Regina Isabella venne parecchio infastidita da queste manovre nemmeno troppo diplomatiche del genero e gli tenne testa, nonostante fosse molto malata, comunicandogli che non poteva prenderlo in considerazione: “né come uomo, né come marito, né come governante”. Nel marzo del 1503, partorito alla Corte di Spagna il suo quarto figlio, Ferdinando, Giovanna si risolse a partire, per raggiungere Filippo tornato nel frattempo nelle Fiandre per motivi politici. Ma i genitori non erano d’accordo, perché pretendevano che il piccolo fosse allevato in Spagna e, per non permetterle di partire, le tolsero i cavalieri della scorta e le fecero trovare sbarrato il portone della fortezza di Medina del Campo, in cui era stata rinchiusa. Si dice allora che Giovanna cominciò a digiunare e ad inveire contro la madre per essere stata reclusa.

La madre, malgrado lo stato di salute sempre più compromesso, decise di farle visita, per convincerla dell’opportunità delle decisioni prese, ma la figlia sembra l’abbia accolta “con epiteti oltremodo oltraggiosi e lontanissimi da ciò che una figlia deve dire a sua madre”, come avrebbe scritto in seguito la stessa Isabella! Dunque i Re Cattolici si convinsero a lasciarla partire, a patto che il figlioletto Ferdinando venisse lasciato in Spagna. E così fu. Nel 1505, quando Giovanna e Filippo si riunirono, la loro relazione si complicò poiché, nell'anno in cui Giovanna aveva vissuto in Spagna presso la madre, Filippo si dice che l’avesse tradita con una donna francese. Sembra che la moglie tradita abbia tagliato la treccia a colei che riteneva essere la rivale in amore (alcuni testi parlano di “ferite inferte a forbiciate ad una dama di corte”).

L'ira di Giovanna fu però presto sostituita dalla fredda indifferenza: in molti testi si legge che utilizzava spesso questo metodo di “algida fermezza” per respingere il marito ogniqualvolta quest’ultimo aveva colmato di attenzioni altre dame, allontanandolo carnalmente per mesi, rifiutandosi di giacere nel suo letto, fino a farlo cadere in profonda depressione, mentre lui scatenava patetiche scene di gelosia.



La morte di Isabella: la successione al trono Il 26 novembre 1504, dopo la lunga malattia che la consumò, morì la Regina Isabella di Castiglia e Ferdinando assunse immediatamente la reggenza, acclamato dalle Cortes a Toro. Fu immediata la protesta del genero Filippo che non voleva perdere la Castiglia e per questo si dichiarò pronto allo scontro armato. Infatti il padre di Giovanna, subito dopo la scomparsa della moglie, aveva inviato nei Paesi Bassi un emissario per tentare di strappare con l’inganno una firma alla figlia, onde ottenere l’abdicazione al trono della Castiglia. Quando Filippo lo seppe, rinchiuse la povera Giovanna nel Palazzo Reale, impedendo l’ingresso a tutti gli spagnoli residenti a Bruxelles. Tuttavia, nonostante la manovra sleale di Ferdinando, grazie alle sue abili arti diplomatiche, lo scontro venne evitato.

Si arrivò così all’Accordo di Villafàfila, in base al quale Ferdinando cedeva la Castiglia a Filippo, convenendo con un secondo trattato l'esclusione di Giovanna dal governo, a causa del suo presunto stato mentale alienato. Ma, subito dopo, dichiarò di avere subìto un'estorsione da parte del genero che, anzi, accusò di tenere prigioniera la figlia e smentì il trattato appena firmato, affermando che Giovanna doveva mantenere i propri diritti di Reina propietaria della Castiglia.

In questa controversia appare evidente la contraddizione tra la prima dichiarazione di incapacità della figlia e la successiva affermazione dei diritti regali della stessa: una volta folle, una volta savia...

Dopo la scomparsa della Regina madre, nonostante Giovanna e Filippo non rinunciassero mai alla passione (nacque infatti Maria, nel settembre del 1505, la quinta figlia), la situazione di coppia peggiorò ulteriormente. Alcune cronache riportano che Filippo alla morte di Isabella, abbia addirittura tentato di avvelenare la moglie, descritta come “assai sovente stordita ed inebetita da erbe e pozioni velenose”. Va detto che sia il padre che il marito avevano chiaramente il comune interesse di farla passare per pazza. Ma anche queste sono supposizioni senza fondamento. Si susseguono menzioni di costanti tradimenti, cosicché le scenate si ripetono violente e volgari anche in occasioni ufficiali: “Giovanna urla, lancia ogni sorta di oggetti e suppellettile, si butta per terra colpendosi il petto e strappandosi i capelli, e poi si rifiuta di mangiare per giorni”.

Filippo sempre più trascura ed emargina la moglie dalla vita di corte, perché determinato in progetti espansionistici che riguardano i regni che Giovanna ha ereditato. Le cronache coeve riportano che la situazione psicologica di Giovanna precipita. Per questo si racconta di reiterati digiuni seguiti da abbuffate notturne che si moltiplicano in alternanza costante, inframmezzata da vicende in cui si rende protagonista di imbarazzanti esplosioni di rabbia, specialmente a seguito dei continui tradimenti del marito, noti ormai a tutti. Giovanna ora è conclamata “La Loca”.



La morte di Filippo I d’Asburgo nel settembre 1506, in occasione di un secondo viaggio che la coppia fece in Spagna, Filippo - all’età di 28 anni - improvvisamente muore a Burgos, dopo soli due mesi dagli accordi di Villafàfila, con cui a Ferdinando era rimasto il governo dell’Aragona e, alla coppia, quello della Castiglia. Furono forse complicanze virali, come riportano i documenti, ma si mormorò che il padre di Giovanna probabilmente non fosse del tutto estraneo a questa morte... E ancora una volta, le cronache e le storiografie dell'epoca, in un intreccio aggrovigliato tra fatti e leggenda, opportunamente esaltata e diffusa, raccontano che lo stato psichico di Giovanna subì il trauma definitivo e fu il colpo di grazia! Ecco tornare il leitmotiv dei comportamenti strambi di Giovanna, vedova inconsolabile, verso il feretro del marito, comportamenti di cui non vi è documentazione o testimonianza che non provenga dagli ambienti di corte.



Un cronista del tempo scrisse: “In nessuna epoca si è mai visto un cadavere, estratto dalla tomba, portato da un tiro di quattro cavalli, in una processione funebre così solenne, circondato da una torma di sacerdoti che intonano la preghiera dei defunti”. Si racconta che Giovanna avesse deciso di portare le spoglie funebri del marito a Granada, all’interno di un mausoleo a suo tempo fatto erigere dalla madre Isabella, accompagnando lei stessa il feretro, a piedi, come forma di pellegrinaggio, circondata da sacerdoti in preghiera. Però si rifiutò di farlo tumulare ed il cadavere, su suo volere, venne inumato nella Certosa di Miraflores, poco distante da Burgos, imbalsamato e conservato onde poterlo tenere vicino: Giovanna passava molte ore accanto al marito e spesso si faceva aprire la tomba per baciare e per toccare il suo corpo imbalsamato con la speranza che un giorno si risvegliasse, gli parlava e lo faceva estrarre ogni sera dal luogo di tumulazione per potere riposare nella notte al suo fianco (!).

Quando, a causa di un'epidemia di peste, è costretta ad abbandonare Burgos per Arcos, ove si trovava prigioniera del padre, costrinse il suo seguito a portarsi dietro il cadavere di Filippo, attraversando la Castiglia nottetempo a lume di candela perché “una vedova che ha perduto il sole della sua anima non deve vedere la luce del giorno”. Si dice che la sua morbosa gelosia continuò anche dopo la morte dell’uomo perché impediva a qualsiasi donna di accostarsi al feretro.

Nel 1507, poco dopo la scomparsa di Filippo e solamente per pochi mesi, Giovanna regnò ed in realtà, in quel breve seppur intenso arco temporale, i suoi atti di governo non inducono affatto a ritenerla una persona poco stabile mentalmente, anzi! Ciò nonostante, nel 1509 le condizioni mentali di Giovanna sembrarono a suo padre (e solo a lui) così gravi che decise di farla rinchiudere nella torre del Castello di Tordesillas, nei pressi di Valladolid, da dove Giovanna poteva vedere il sepolcro di Filippo, deposto nella vicina chiesa di Santa Chiara, completamente isolata dal mondo esterno, insieme a Caterina, l’unica figlia che le era rimasta accanto. Giovanna trascorse nel castello quarantasei anni, mentre suo figlio, Carlo d’Asburgo, avrebbe raggiunto i vertici della sua gloria diventando Imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Carlo V, a seguito della cerimonia di incoronazione del 24 febbraio 1530, nella Basilica di San Petronio a Bologna, per mano di Clemente VII.

I testi in nostro possesso sembrano assolvere Ferdinando e, difatti, così recitano: “stanco di cotanta follia e consapevole del pericolo che rappresentava questa sovrana per l'unità spagnola, inviò messaggeri a cavallo per tutte le Corti europee, lamentando la demenza della figlia causata dall’improvvisa morte dell’amato sposo”. La Torre della prigionia, nel Castello di Tordesillas La morte di Ferdinando d’Aragona: Si apre il regno di Carlo V Il 23 gennaio 1516 muore anche il padre Ferdinando, cosicché il figlio di Giovanna e Filippo, Carlo d’Asburgo, diventa re di Castiglia e di Aragona, cioè di tutta la Spagna, sotto il nome di Imperatore Carlo V. Il 4 novembre 1517 Carlo, che non vedeva la madre da dieci anni essendo stato allevato nelle Fiandre dalla zia Margherita, le fece visita. Non ne ricordava nemmeno le sembianze e ciò di cui aveva sentito mormorare era questa sua strana follia. Anche Carlo, come il padre ed il nonno, non aveva alcun interesse a riabilitare la madre per due motivi principali: Innanzitutto perché Giovanna avrebbe potuto escludere lui e l'entourage fiammingo, di cui era circondato e che si stava arricchendo enormemente alle sue spalle, dalla gestione della corona, in quanto ne aveva piena e legittima facoltà. Difatti l'incontro era dettato dalla necessità di ottenere la legittimazione all'assunzione del potere, non certo dall’amore filiale. Inoltre Carlo temeva le idee poco convenzionali e progressiste della madre, specie per quanto riguardava la religione: un governo della madre avrebbe avuto effetti dirompenti su quegli interessi del clero e della nobiltà che si erano consolidati negli anni sotto la reggenza di Re Ferdinando. L’ipotetica infermità mentale di Giovanna faceva comodo a molti.

Pertanto Carlo mantenne la politica del nonno lasciando la madre nella stessa condizione in cui l'aveva trovata, ossia prigioniera nella Torre del palazzo di Tordesillas. Carlo pose a custodia di Giovanna il Marchese di Dénia, Don Bernardino de Sandoval y Royas, che si dimostrò un feroce aguzzino, al pari del suo predecessore Luis Ferrer che, peraltro, dichiarava di non avere mai sottoposto la regina alla tortura della cuerda se non per ordine del padre Ferdinando. La prigionia a Tordesillas, fu estremamente dura, per quanto coerente con i tempi, resa ancora più dura sia dal rigoroso isolamento a cui fu sottoposta, sia dai tentativi di costringerla a pratiche religiose, come la confessione, che ostinatamente rifiutò fino alla fine della sua vita. Il Marchese di Denia manifestò uno zelo esemplare nella sua funzione di carceriere-aguzzino, come dimostra la corrispondenza intrattenuta con Carlo V, nella quale spesso il Marchese gli ricordava che ai sentimenti filiali dovevano essere anteposti gli interessi politici: a volte suggeriva di applicare alla regina la tortura perché questa sarebbe stata utile alla salvezza della sua anima e certamente avrebbe reso un servizio a Dio, mentre gli ricordava che egli agiva nell’esclusivo interesse del re. Il Marchese allontanava quei frati che, messi vicino alla regina nel tentativo di convertirla, ne divenivano, invece, amici e difensori, come accadde per il futuro San Giovanni d'Avila, sacerdote e profondo conoscitore delle Sacre Scritture (beatificato nel 1894 e canonizzato nel 1970, Papa Benedetto XVI lo proclamò “Dottore della Chiesa” il 7 ottobre 2012). Di tutto veniva sempre informato il figlio Carlo, il quale temeva in sua madre quell’energia di donna libera e attiva, caparbia, in grado di infiammare il serpeggiante sentimento popolare anti-fiammingo, mettendo in serio pericolo il suo potere e minacciando lo status-quo così faticosamente conquistato ed ancor più difficile da mantenere (il suo regno era giunto ad estendersi per oltre 4 milioni di Km quadrati! E’ di Carlo infatti la celebre affermazione: “sul mio regno non tramonta mai il sole”).



La rivolta dei “Comuneros” Da tempo covava in Castiglia un forte risentimento contro Carlo e i fiamminghi del suo seguito, per la rapacità con cui esercitavano il potere attraverso onerose richieste finanziarie e per averne monopolizzato quasi tutte le leve. A ciò si aggiungeva il fatto che Carlo si sarebbe dovuto allontanare per cingere la corona imperiale, cui era pervenuto dopo la morte del nonno paterno Massimiliano, in seguito a una confusa serie di intrighi e immense somme di danaro spese per comprare i voti necessari all'elezione. Così Carlo partì il 20 maggio 1520 lasciando come suo reggente l'odiato fiammingo Adriano di Utrecht, futuro Papa Adriano VI. Alla fine del maggio 1520 scoppiò la cosiddetta rivolta dei Comuneros, con carattere prevalentemente anti-fiammingo. Nell'agosto dello stesso anno i rivoltosi occuparono Tordesillas, allontanarono il Marchese di Denia e liberarono Giovanna, cercando di farla passare dalla loro parte. Giovanna ricevette diverse volte i rappresentanti degli insorti ma non accettò mai di porsi in contrasto con il figlio Carlo né mai di schierarsi dalla loro parte, anche se l'avevano liberata. Rifiutò sempre di firmare qualsiasi documento che legittimasse la loro azione. È in questa situazione che dimostrò con il suo comportamento di non essere affatto folle, preservando gli interessi del figlio. Lo stesso Adriano di Utrecht, diventato vescovo di Tortosa, comunicava a Carlo che tutti testimoniavano della sanità mentale di Giovanna precisandogli anche che: «…Vostra Altezza ha usurpato il titolo reale e ha tenuto prigioniera a forza la regina, che è del tutto assennata, sotto il pretesto che è folle…»



La rivolta venne repressa con la battaglia finale di Villalar, il 23 aprile 1521 e i suoi capi furono giustiziati. Il triste epilogo Dopo il fallimento della rivolta dei Comuneros vi fu una sorta di restaurazione: prevalse la grande nobiltà, trionfò l'ortodossia religiosa più conformista e Giovanna fu ricacciata in una seconda prigionia, ancora più dura e crudele della precedente, sotto la custodia del solito Marchese richiamato per l'occasione, ma diventato più ostile a causa delle vessazioni subite durante la rivolta. Poco prima della morte di Giovanna, il nipote Filippo II seppe che ella non compiva i suoi doveri religiosi e volle inviare due gesuiti a controllare. I sacerdoti la trovarono con una gamba paralizzata ed il corpo piagato per la mancanza di igiene, ma si convinsero che impartire la comunione sarebbe stato un sacrilegio a causa della pazzia che ottenebrava la sua mente. Negli anni, dopo una serie infinita di piccole e grandi angherie, Giovanna fu ridotta ad uno stato bestiale da cui la liberò solo la morte avvenuta il Venerdì Santo del 12 aprile 1555 dopo avere rifiutato per l'ennesima ed ultima volta la confessione. Morì assistita da Francisco de Borja, che testimoniò della sua lucidità. Fu sepolta nella Capilla Real (Cappella Reale) della Cattedrale di Granada, insieme con il marito ed i genitori. Cattedrale di Granada: cripta con i sarcofaghi. 



PARTE ASTROLOGICA



Il Sole congiunto a Mercurio, entrambi in Scorpione, cui si aggiungono Giove dal Cancro e Chirone dai Pesci, mi fanno propendere a considerarla una DOMINANTE ACQUA. Se l’elemento ha dominanza nell’Acqua, il soggetto è reso incline all’utilizzo dei criteri emozionali nella valutazione di situazioni, persone e accadimenti in quanto avverte il mondo attraverso le emozioni. Giovanna ha poi la Luna in Leone, ove abbiamo anche Urano e Nettuno, strettamente congiunti in Sagittario.

Opterei allora per una CO-DOMINANTE FUOCO perché, nonostante i pianeti che occupano il Sagittario siano entrambi collettivi, nella donna la Luna rappresenta la sua identità femminile. Inoltre i restanti elementi (Aria e Terra) non controbilanciano sufficientemente tale co-dominante, sia per numero di pianeti sia per flusso di energia.

Siamo dunque di fronte ad una personalità ACQUA / FUOCO.

L’elemento Fuoco è una funzione psicologica che C.G. Jung definì “funzione intuizione”, pertanto dobbiamo riferirci a concetti di azione, passionalità, impazienza, impulsività, dinamismo ed intuito i quali, d’altro canto, ci parlano di una mancanza di razionalità e capacità di valutazione.

Diciamo che al Fuoco si addice il detto: “Va’ dove ti porta il cuore…”. La personalità risulta dunque eccitabile, istintiva e spontanea. Questo fa supporre che la nostra Regina tendesse ad essere emotiva, impulsiva, eccitabile, spesso instabile perché il Fuoco surriscalda l’Acqua e la rende ipersensibile ed eccessivamente emotiva cosicché viene a mancare il controllo e l’auto-disciplina. Probabilmente le fluttuazioni di umore riportate dagli storici, anche se magari eccessivamente romanzate, non sembrano del tutto leggende o frutto di fantasia.

In Giovanna probabilmente inquietavano l’imprevedibilità e l’ambivalenza date da questa instabilità interna, considerato che il suo mondo interiore era governato principalmente da emozioni e impulsi che, oltretutto, andavano in sensi opposti in quanto l’acqua necessita di sicurezza ed accoglienza, mentre il Fuoco ha bisogno di azione e dinamismo. In altre parole l’Acqua vuole restare mentre il Fuoco vuole andare. In Giovanna convivevano tendenze opposte che la chiamavano verso due direzioni incongrue tra loro. La sfida di un temperamento Acqua/Fuoco è come sempre di riuscire a far dialogare ed integrare tali energie in modo da stemperare con la parte emotiva le pulsioni e l’entusiasmo cieco, mentre il Fuoco deve donare all’Acqua spontaneità ed una chiarezza di espressione, in quanto l’Acqua tende ad essere indiretta e manipolativa. Un’Acqua/Fuoco dunque richiede la capacità intima di dosare le energie fortemente creative, intuitive e fantasiose, sempre impazienti e bisognose di novità. Parte così dunque la nostra piccola Giovanna per il suo viaggio, attraverso una vita che non le risparmierà situazioni limite di dolore e sofferenza.



ANALISI DEL SEGNO SOLARE: SCORPIONE 



Il primo compito è di vedere e poi saper riconoscere la propria ombra e comprendere che la parte pulsionale, dominante perché estremamente potente, sfugge alla parte cosciente. E’ qui che si nasconde alla vista dell’IO il nostro potere personale e generalmente, per uno Scorpione, la prima parte della vita è coinvolta nelle dinamiche di potere e nei suoi giochi. Lo Scorpione deve dunque raggiungere l’indipendenza dalle proprie pulsioni che deve necessariamente imparare a governare e ad agire, sintonizzandosi su di sé per riconoscere ciò che proviene dal dentro e per imparare a controllare il coacervo di acque dense, scure e ribollenti che tormentano. Siccome per schema difensivo, nella prima parte della vita, ha imparato a trattenere le emozioni, al suo esterno non si trova mai accenno di quanto internamente lo affligge.

Altro caposaldo basilare dello Scorpione è legato al concetto di impermanenza. Ciò che lo Scorpione deve apprendere nella vita è che nulla è per sempre e che ogni evento è in perenne coevoluzione con la realtà.

E’ il suo primo grande passaggio, chiamato a gestire questo senso di caducità che conduce al finire delle cose, apprendendo la lezione di sopportare la perdita che, tutto sommato, non porta mai a perdere veramente ma a modificare. Ciò che non esiste più, in realtà non si è perso né tantomeno è andato sprecato, ma si è trasformato, concretizzato in una foggia più adatta al tempo, che richiede un personale aggiornamento e che richiede di modificare la propria struttura in forme sempre più evolute, le quali non disconoscono la precedente ma anzi la integrano, in modo che il senso di un’esperienza ed il suo significato non vadano perduti ma compresi nella loro essenza e fatti propri. Perché lo Scorpione, in realtà, più si impegna nel trattenere e più perde e questa sarà una sua costante viziosa finché non imparerà questa dura lezione. Lo Scorpione deve accompagnare la vita come idea delle ciclicità, accettando e facendo proprio il fatto che le cose devono essere lasciate andare quando è arrivato il momento. Deve accettare che tutto è passeggero come “Inevitabile evoluzione della realtà”: in fondo in queste parole c’è tutto l’ardire della vita: un grande teatro che apre i suoi sipari per offrirci il suo prossimo spettacolo.

La lezione dello Scorpione è di comprendere profondamente che il cambiamento è la grande opportunità di vivere più vite in una sola, una per sipario. E ancora: compito dello Scorpione è comprendere, da un punto di vista del sentire emotivo, cosa proviene dalla sua interiorità e cosa invece proviene dall’esterno. Difatti, nella fase di casa ottava, le emozioni si dividono per competenza e provenienza e si impara a riconoscere che molto del nostro sentire è in realtà spostato sull’altro e che quell’atteggiamento psicologico di costante diffidenza verso ciò che proviene dall’esterno, nasconde in realtà una paura ed un’insicurezza causata della propria fragilità, in quanto lo Scorpione nelle prime fasi di vita ha sperimentato il potere del mondo adulto agìto a suo svantaggio, dunque distorto. E quando ciò avviene fa sì che in fase adulta si abdichi a quel potere che, essendo stato subìto, non viene riconosciuto come una parte di sé e dunque proiettato all’esterno. Pertanto, il passaggio dalla diffidenza nei confronti del mondo, che cela una diffidenza verso se stessi e le proprie risorse interiori, è un percorso obbligato, onde acquisire la parte luminosa dell’archetipo ed andare incontro fiducioso verso la propria rinascita psicologica.

Sappiamo infatti che lo Scorpione deve necessariamente attraversare situazioni limite per poter entrare in profondo contatto con le proprie risorse e portarle all’esterno.

Qui s’inserisce l’ultima considerazione doverosa su questo segno che anela all’intimità eppur la teme, poiché la vera intimità nasce quando ci si lascia andare e si calano le difese, raggiungendo quello spazio emotivo ove è possibile incontrare l’altro senza maschere, in modo da permettere di mettersi a nudo senza paura. Il passaggio evolutivo richiesto ad un Sole Scorpione è quello del viaggio alla scoperta di sé, fino a contattare la propria ombra e riconoscere le pulsioni ed i meccanismi inconsci che lo agiscono. Lo Scorpione nella prima parte della sua vita non si conosce nella misura in cui il padre non si è fatto conoscere, non mostrandosi per come era veramente. E’ per questo motivo che lo Scorpione è un decodificatore di energie emotive a vibrazione bassa e densa, in grado di captare a distanza la pletora di incoerenze ed ambivalenze che lo circondano, fiutando nell’etere i segnali paradossali, non chiari e non lineari. Il campo esperienziale di Giovanna si espresse effettivamente nei lati oscuri del potere e della politica, nei tradimenti, gli abbandoni e le morti.

 



ANALISI DEL SOLE 



Il binomio di congiunzione Sole/Mercurio in Scorpione parla di un’energia che imprime al Sole dinamicità, ritmo e vivacità ma – grazie all’esaltazione – Mercurio qui acquisisce spessore e profondità per entrare in relazione con il mondo dell’inconscio e l’accento è spostato su dinamiche interne di pulsioni ed istinti. Mercurio nello Scorpione è costretto al nuoto piuttosto che al congeniale volo, perde razionalità e focalizzazione, ma acquisisce abilità da fine stratega ed, azzarderei, da raffinato vendicatore. Con Sole/Mercurio la figura del padre è quella di “puer”, insofferente a regole ed autorevolezza che per primo non possiede e dunque non può offrire al figlio. La congiunzione di questo binomio Sole/Mercurio con Urano dal Sagittario, che è il pianeta del cambiamento e della grande capacità progettuale, segnala che Giovanna – benché vada contestualizzata nel suo tempo –avvertiva dentro di sé spinte alla ribellione, certa insofferenza alle regole ed alla tradizione, anticonformismo, diversità, desiderio di libertà, interesse per nuove correnti di pensiero, forse più di quanto l’epoca potesse concedere ad una donna e senza dubbio più di quanto lei stessa ne sia stata consapevole.

Questo ci riporta ad un padre le cui caratteristiche psicologiche suggerite con la congiunzione Sole/Mercurio, si conclamano e si accentuano con Sole/Urano come padre eclettico, ma anche insofferente, imprevedibile, incostante e mentre con Mercurio il padre non è stata una effettiva figura di riferimento come “pater”, in quanto carente di struttura, con Urano si aggiunge anche il fatto che il padre, oltre ad aver bypassato il ruolo, fosse fisicamente e/o psicologicamente assente, intento a seguire i propri interessi del momento.

Un Sole/Urano riporta ad un padre che trasmette al figlio un senso di precarietà ed instabilità. Urano inoltre, come pianeta legato al mentale, ha serie difficoltà con la sfera emozionale e trova arduo collaborare con la pletora di stati d’animo ed emozioni che affiorano costantemente da Sole/Mercurio in un segno ricettivo e vibratile (tra l’energia uraniana e quella plutonica sussiste infatti la quadratura VIII/XI).

Il terzetto Sole/Mercurio/Urano presenta un ultimo pianeta collettivo che completa il quadrinomio ed è Nettuno, che rende la sfida terrena di Giovanna ancor più complessa. Nettuno per il Sole rappresenta una contraddizione in termini, in quanto l’IO solare si trova ad entrare in contatto con energie sottili sconosciute ed al di fuori del mondo ordinario, che non competono all’universo dei cinque sensi. Nettuno chiede all’IO la trascendenza, che non può sussistere se l’IO non è solidamente e fortemente strutturato, ma questo diventa pressoché impossibile con Sole/Nettuno.

Difatti Nettuno, in aspetto di congiunzione con Sole/Mercurio (la piccola mente) e Urano (la grande mente), preme affinché questa mente lasci libero accesso al fluire acqueo dei contenuti inconsci all’interno della coscienza ma quest’ultima rischia la psicosi se non porta a termine il processo di identità, attraverso l’identificazione e l’individuazione, la separazione e la divisione. Nettuno con opera lenta ma inesorabile scioglie la mente colpevole di ostacolare il suo compito di dissolvere la struttura ed i suoi confini, affinché l’identità si sgretoli, perdendosi per riunirsi nell’abbraccio finale con il Tutto cosmico, una sorta di infinito IO universale. Affinché le energie nettuniane possano essere vissute nel loro lato luminoso senza perdervi il senno, necessitano una struttura dell’IO che lo permetta oltre ad un Saturno solido e consistente, un Super-IO stabile che abbia permesso di edificare una forma psicologica in grado di solcare i perigliosi oceani dell’inconscio, essendo consapevoli che tali energie vanno sublimate attraverso l’arte, il misticismo, la spiritualità o la relazione d’aiuto. Ripercorrendo i capitoli principali della sua vita, l’aspetto di congiunzione Sole/Nettuno potrebbe essere simbolo di una forma di malattia mentale, come pazzia, disadattamento all’ambiente, ruolo di vittima immolata al potere politico paterno, coniugale, filiale, attraverso tradimenti e manipolazioni, tutte simbologie di stampo scorpionico.

Ma chissà quanto era realmente matta e quanto sospesa tra follia e genialità, tra incomprensibilità ed eccezionalità che per un collettivo impreparato sono facilmente etichettabili come “insana pazzia”, a causa della mancanza di elementi per attribuire un valore o un significato. Non lo sapremo mai… COME PADRE ci troviamo di fronte ad una figura pressoché avvolta dal mistero, perché molto è sfuggito alla comprensione. Un uomo che rimane sconosciuto e dunque minaccioso, incomprensibile, inconsistente, latitante, assente e che si è sottratto al ruolo, all’impegno e responsabilità ma proprio per questo un’immagine di padre vagheggiata e idealizzata. Le radici paterne sono dunque deboli perché non è stato possibile sperimentarne l’energia, tutto rimane legato alla fantasia ed alla vaghezza. Il padre pone il limite (Saturno) che permette al figlio di passare dal principio di piacere al principio di realtà ma qui il padre è latitante, dunque non è stato introiettato cosicché sia il senso del limite, sia la propria identità, sia il progetto personale diventano tre istanze che si presenteranno in fase adulta come iper-struttura.

Questa mancanza di limite (Sole/Nettuno) tra l’altro si amplifica in un Sole Scorpione. L’IO pertanto cresce fragile perché il padre non ha sostenuto l’identità del bambino ed in questo frangente tutto ciò che si può fare è costruirsi all’interno un’immagine falsata, non reale, con ciò che ne conseguirà in termini di recupero dell’ombra ed anche di sofferenza psichica.

 



ANALISI DEL SEGNO LUNARE: LEONE



Questo tema presenta una grossa ferita sui pianeti femminili, a partire dalla Luna in segno molto poco affine, per sua natura, ad un materno accogliente, stabile e costante. In realtà l’energia leonina, vero fuoco divampante, porta in sé creatività, intuito, passionalità, ardore, aspetti affascinanti ma che costituiscono “voltaggi” troppo elevati per curare e nutrire con metodo inalterato e durevole nel tempo, per il tempo necessario. Una Luna Leone ha un’immaginazione potente, vive un mondo fantastico al di sopra della realtà comune ed ordinaria e ha necessità di distinguersi da tutti gli altri, sia con una modalità positiva o negativa, non importa! Deve sussistere qualcosa di eroico nella sua esistenza.

Deve imparare a (ri)crearsi dando sempre nuova vita a sé stessa. Questo suo essere centrale e vitale va portato a livello cosciente, credendo ed avendo fiducia in ciò che è e riflettendo le proprie qualità conquistate sul campo. In tema femminile è necessario che l’IO sia solido e ben sostenuto, altrimenti il tasso di ego-patia sarà molto elevato per compensare la ferita narcisistica solare. Per questo suo lato ombra sempre in agguato, deve possedere un’ottima intelligenza altrimenti tenderà a scadere in alcuni difetti sgradevoli quali il complesso di superiorità, l’auto-celebrazione, l’arroganza e la tirannia che si esprimono come disprezzo per chi sta sotto. Diventa donna protagonista e realizzata se la sua identità è solida e se la generosità che mette in campo nasce da una vera ricchezza interiore. Se il Leone non ha sicurezza e fiducia in se stesso, la generosità diventa un modo per incensarsi e costruirsi un complesso di superiorità, a compensazione di un Ego inflazionato.



ANALISI DELLA LUNA



Questa Luna inserisce una nota fortemente dissonante in un tema natale che presenta un Sole Scorpione L’archetipo del LEONE è per eccellenza quello della Luce, è l’IO che brilla a tal punto e così intensamente da celare psicologicamente ogni ombra ed ha una grande facilità a porsi al centro di qualunque situazione ed attenzione, quando lo Scorpione al contrario le sfugge. Questa Luna Leone è osteggiata da questo Sole Scorpione che mette ombra dove lei chiede luce, che spegne dove lei vuole accendere, che impone trasformazione dove lei contempla l’immutabilità. E’ sfidata nell’ orgoglio, sottoposta all’oscurità di un IO scorpionico e per questo ego-patica, desiderosa per compensazione di essere al centro dell’attenzione.

La difficile quadratura tra casa V e casa VIII si esprime proprio nel Leone con il compito di comprendere il problema che ha col potere e con il fatto che non può pretendere che siano gli altri ad attribuirglielo “honoris causa”. Sole Scorpione con Luna Leone evidenziano un blocco nella formazione della coppia maschio/femmina interna, c’è un ostacolo alla propria integrazione, un ostacolo al dialogo sia tra le funzioni che tra le energie, che impedisce ad esse non solo di cooperare ma addirittura di vedersi. La sensazione interna di questa “spaccatura” si esprime nel non riuscire mai a soddisfare le due parti di sé che vogliono cose completamente diverse, fatto questo di cui il soggetto è consapevole solo a metà.

E’ come se Giovanna non avesse accesso ad una parte di sé, perché il flusso energetico è ostruito così da negare il contatto, come uno sbarramento che isola le due energie ed impedisce la vista dell’una all’altra e viceversa. (E’ curioso notare come questo aspetto psicologico si sia espresso più volte nel reale: Giovanna fu isolata dal marito nei primissimi tempi del matrimonio perché non si concedeva carnalmente; è stata rinchiusa: dai genitori quando voleva rientrare nelle Fiandre con il piccolo nato da poco; mesi dopo fu rinchiusa nel palazzo reale dal marito informato che il suocero voleva far firmare a Giovanna il documento in cui avrebbe dovuto abdicare al trono della Castiglia ed infine con la segregazione a vita venne rinchiusa nella Torre di Tordesillas… Sarà un caso?). Effettivamente la luce del Leone e l’ombra dello Scorpione faticano a trovare le condizioni necessarie per un dialogo proficuo. Il senso di immutabilità e di eternità, concetto leonino applicato ad un IO che si perpetua all’infinito, cozza con il senso di permanenza e di morte / trasformazione scorpionici. Un ulteriore caratteristica che deriva dell’avere questa quadratura è un lungo conflitto che si genera tra la creatività leonina e la distruttività scorpionica, che nel pratico si esprime come una tendenza inconscia a distruggere ciò a cui si dà vita. La creatività non esce fluida e spontanea ma è sofferta, quasi sopraffatta dall’inquietudine e dal tormento interiore, come se il portatore di questa quadratura vivesse con accanto un demone dell’anima che lo obbliga a sfidare la morte, dunque a ricercarla inconsciamente, mettendosi in situazioni di pericolo che per contro fanno sentire intensamente vivi. Si cerca intensità mentre in realtà si è personalità auto-distruttive. Entrambe i segni devono puntare al recupero della fiducia in sé stessi che, nel Leone, si esprime per compensazione come ricerca di plauso dall’esterno e nello Scorpione come sospettosità e diffidenza verso gli altri. Entrambi gli atteggiamenti sono collegati ad una mancanza di fiducia in sé stessi ed entrambe questi segni non usciranno dal loro cono d’ombra fino a quando non avranno conquistato la propria luce interna, come fiducia nel proprio essere (Leone, quadrato alla II) e nelle proprie risorse interiori (Scorpione, opposto alla II). 

Riferendoci direttamente alla biografia di Giovanna, che abbiamo trattato nella parte storica, si riscontra un “demone” che la attanagliava, un’energia inconscia profondamente auto-sabotante ed autodistruttiva che, a qualche livello, ha sincronicamente attivato all’esterno la punizione della segregazione, della reclusione, il blocco del movimento e dell’espansione. In termini psicologici l’energia scorpionica di Sole e Mercurio si è espressa come una difficoltà a porsi dei limiti, fatto questo che si è viziosamente accompagnato ad uno scarsissimo senso di autostima (e meno valore mi attribuisco, più il limite ed il senso di integrità in me si fa carente e quindi facilmente oltrepassabile). L’aspetto Sole/Nettuno tra le molte simbologie segnala la potenzialità ad incarnare il ruolo di vittima masochista. Anche la quadratura Sole/Luna tra Scorpione e Leone evidenzia la possibile presenza in nuce di tendenze fortemente distruttive che il blocco di quadratura Plutone/Giove ha amplificato.

E’ come se Giovanna avesse agito contro sé stessa un flusso di energia di voltaggio elevatissimo, nella sua pulsione di morte. E questo avviene ogni qualvolta viene a mancare l’energia trasformativa necessaria a portare nella materia il lato luce di un archetipo.

Oltretutto, le forti lesioni su Venere e Giove hanno concorso a sabotare lo sviluppo di un sano principio edonistico, per cui in Giovanna era quasi inesistente letteralmente il senso del piacere, del godimento e del soddisfacimento del desiderio. Insomma, una sequenza di “ingredienti” che hanno contribuito a creare un potente mix IMPLOSIVO. Quanto più siamo inconsapevoli delle energie di cui siamo portatori, quanto più siamo complici negli accadimenti che sembrano dominarci. (C.G.J: “Ciò che non viene riconosciuto dalla coscienza ci tornerà indietro come destino”). Giovanna mostra, da un lato, un problema di struttura della propria identità, con Sole/Nettuno, Sole/Urano, la frattura Sole Scorpione/Luna Leone.

Poi questa Luna, che si accompagna ad un IO fragile, pertanto ancor più sospettoso, insicuro, iper-controllante, tende ad inflazionarsi in modo compensativo. Dall’altro lato però esiste una mente potenzialmente molto brillante, lungimirante, ingegnosa, efficiente, progettuale, c’è creatività, sensibilità, fantasia, grande apertura verso il nuovo, verso la musica, gli orizzonti dell’arte e della spiritualità, il misticismo, mentre potremmo contestualmente avere una chiamata al sostegno ed alla cura delle fragilità altrui (avendo prima consapevolizzato e guarito le proprie).

Può essere una mente curiosa che partorisce idee controcorrente, pensieri spiazzanti, forse anche incomprensibili a coloro che ci stanno intorno. Con l’aspetto Sole/Urano e Sole/Nettuno la mentalità travalica il senso comune ed i suoi ingredienti rassicuranti quali le consuetudini, i punti fermi universalmente accettati ed integrati, i credo incrollabili, cosicché l’espressione di sé e del proprio modus ragionandi può apparire disorientante per la massa, frammentante ed oscuro, al punto da destare sospetto ed un certo allarme, tale da risultare pericoloso per l’integrità psichica ed attivare una sorta di panico. Dobbiamo pensare che ci riferiamo a sei secoli fa ma non tanto per la lungimiranza dei pensieri di Giovanna, quanto per la reazione di chi le stava intorno. Oggi come oggi il pensiero “alternativo” non è più visto con il terrore che esprimeva l’epoca medievale. La “follia” o “il maleficio” in tali epoche storiche era la risposta più accreditata e più semplice a molti accadimenti e comportamenti umani che non trovavano riscontro né significato tra i luoghi comuni.

Probabilmente presso la corte Giovanna appariva spesso con lo sguardo trasognato, inquieta, uranianamente iperattiva, nettunianamente ansiosa (non dimentichiamo tra l’altro la co-dominante Acqua, che rende porosi ed in quanto tali, volubili e mutevoli), come se fosse stata immersa in un mondo imperscrutabile, invisibile ed impalpabile, persa nei sogni ad occhi aperti, intenta a percepire energie sottili che non appartengono al concreto e al quotidiano, cosicché alimentava le sensazioni di coloro che le vivevano intorno di essere “un po’ folle, imperscrutabile, misteriosa” o quantomeno di potersi giocare la possibilità di riuscire a convincere il pubblico che lo fosse in realtà, soprattutto se si cerca a tutti i costi un buon modo per “farla fuori” senza sporcarsi le mani (oltre a quello di provare ad avvelenarla). ANALISI DI VENERE Come la Luna in Leone, anche Venere, secondo pianeta femminile, non trova nel Capricorno un tessuto congeniale all’espressione dell’archetipo e le ferite che riceve attraverso aspetti dinamici da pianeti non compatibili, tracciano un vissuto che indica che Giovanna non ha ricevuto quelle basi di sana cura e protezione, una holding, un contenimento di due braccia amorevoli, grazie alle quali si può stabilire un attaccamento sicuro e procedere all’integrazione delle simbologie venusiane nei significati di amore di sé, affettività, autostima, capacità di scegliere il meglio per sé e di relazione.

Analizziamo questa Venere che riceve un aspetto di quadratura da Plutone, che si estende anche a Marte ed a Saturno. Infatti, benché tecnicamente l’aspetto in sé non ci sia (in quanto siamo oltre i 7° di massima tolleranza), la tripletta Marte/Saturno/Plutone è in stretta congiunzione, quindi ritengo che l’intero “gruppo” agisca su Venere e, tra l’altro, le due quadrature citate con Saturno e con Marte, si inseriscono in modo congruo nel contesto psico-energetico del tema. L’archetipo del Capricorno fornisce indicazioni di un’affettività carente di dolcezza, coccole, calore, conforto, abbracci accoglienti, contatto morbido ed avvolgente, sguardi amorevoli. Direi che niente di tutto ciò è avvenuto.

L’archetipo suggerisce che Giovanna ha percepito di non essere meritevole d’amore e di cura, testimonia un’infanzia resa adulta e responsabilizzata anzitempo, senza stabilire un contatto col cuore ed evitando un coinvolgimento emotivo (ciò non significa che non possa esser stata amata) e queste sensazioni possono essere corresponsabili, in fase adulta, di una percezione di sé sgradita a livello di immagine personale, di mancata accettazione del proprio corpo, fino a non avere contezza del proprio valore che condurrà a bassa autostima. Un senso di mancato valore (Venere lesa) può essere una concausa nel rendere autolesionista una struttura psicologica già potenzialmente in difficoltà a porsi limiti (Sole Scorpione), che mostra latenti elementi di auto-distruzione (Sole Scorpione con Luna Leone), il tutto rafforzato da una predisposizione al masochismo (Sole/Nettuno). Tutto ciò costituisce un mix assai pericoloso. Nel tema di Giovanna l’aspetto di quadratura Venere/Marte accende la passione, la voglia di possesso e conquista dell’altro.

Il lato impulsivo marziale sovrastava il desiderio venusiano di equità ed accettazione del TU, cosicché Venere acquisisce quelle caratteristiche marziane legate all’insicurezza, alla rabbia, all’impulsività, vuole il tutto o niente benché questo carosello di pulsioni siano in realtà l’espressione del desiderio di trovare una direzione per sé. L’altro è temuto in quanto esiste la paura di perdersi in esso, perché Marte è individuazione e si attivano binomi quali: “amore–guerra”, “sesso-rabbia” in un tourbillon di tempeste travolgenti che pervadono i sentimenti e le emozioni. Ciò che ci seduce è ciò che contestualmente ci irrita, ciò che ci piace ci innervosisce.

Marte erode la parte “aria” venusiana in termini di etica e rigore razionale, la velocizza in termini di passaggio da stati di passione a stati di rabbia, dove tutto cresce e si brucia, la rende impulsiva, aggressiva e anche un po’ selvaggia. Da qui si evince la gelosia citata nelle biografie, i continui “tira e molla”, le schermaglie, le rivincite, la freddezza e il riaccendersi della passione per poi adirarsi di nuovo, perché la vicinanza, così come la lontananza, sono alternativamente inaccettabili. Una corrente alternata che la agiva dall’interno la portava a vivere una profonda rabbia nei momenti di coppia che si susseguiva a momenti di profondo anelito all’unione.

Venere/Giove si presentano in opposizione, come se per lei fosse difficile conseguire il piacere e godere della gratificazione di una scelta e, con Venere in Capricorno in aspetto a Saturno, anche vissuti con un senso di colpa. Infatti, Venere e Giove insieme ricreano l’archetipo taurino della casa II di nutrimento e cura e ci parlano del principio edonistico, che agisce per la ricerca e la soddisfazione del piacere, elemento essenziale per un sano sviluppo psichico. Ma nel profondo permane, per la presenza di Giove, una forma di insaziabilità e di insoddisfazione, un’avidità mai sedata che possiamo definire come atteggiamento “bulimico” sia fisico, sia psicologico, che aspira costantemente ad riempimento che però sarà sempre deludente, mai all’altezza delle aspettative cosicché non si scioglierà la tensione interna e ciò comporterà un incolmabile sconforto, nell’assenza di un procurato sollievo, che danno vita ad un circolo vizioso di: “attesa-> aspettativa esagerata->sogni di riempimento->delusione-> svuotamento”.

Essendo Venere un pianeta di relazione, questo meccanismo psicologico perverso è applicato anche nel rapporto amoroso e quando è compresente insieme a Venere/Marte aumenta la compulsione e una sorta di schizofrenia amorosa che alimenta una girandola di picchi e profondità che vanno dal “Ti amo” al “Ti odio” fino al “Sei il migliore” a “Sei il peggiore” che concorrono all’instabilità del rapporto e all’impossibilità di raggiungere un’intimità profonda che permetta di vivere un rapporto maturo. Sempre con l’aspetto Marte/Giove, la conquista amorosa una volta portata a termine si sgonfia dei significati maestosi attribuiti al partner perché la visione nel reale, in carne ed ossa, nel “qui ed ora” non potrà mai competere con il desiderio irraggiungibile gioviano e le immagini interiori che abbiamo alimentato. Venere è ciò che abbiamo erotizzato nelle prime fasi della vita e la conquista della capacità di desiderare passa attraverso il processo di erotizzazione ma, con Venere/Saturno, ciò che abbiamo erotizzato attraverso la relazione di pelle e sguardi con la figura di riferimento è la sensazione di non essere stati all’altezza delle aspettative, inadeguati e immeritevoli d’amore e di cura.

Abbiamo sperimentato la sensazione di freddezza e di non essere piaciuti ma in realtà dobbiamo ricollegarci ad una verità più profonda che riguarda il nostro bisogno di autonomia e di sentirci indipendenti, unitamente al fatto di temere moltissimo di interrompere uno schema che, se modificato, porterebbe a dover dischiudere la propria corazza all’amore ed all’intimità, ad abbassare le difese e le protezioni per prepararsi a ricevere un fiotto caldo di sentimenti, mettendo sul tavolo di “Amore” la propria vulnerabilità e la tenerezza.

Con Venere/Saturno devono cadere le barriere che abbiamo innalzato a protezione del nostro cuore e deve essere integrata la funzione venusiana di “scelta” che conquista di fatto il diritto di non accontentarsi. Negli aspetti sopra citati potremmo effettivamente ravvisare una sorta di conferma degli atteggiamenti di Giovanna descritti dagli storici in cui la folle gelosia la pervadeva senza limiti e subito dopo la freddezza glaciale ne prendeva il posto, in un’alternanza vagamente schizofrenica ma non pazzoide. Venere/Chirone in sestile sostanzialmente conferma una grande insoddisfazione nell’ambito archetipico dell’affettività, per come è stata vissuta, ricevuta ed espressa, perché viene a mancare la sensazione di essere stata amata ed accettata incondizionatamente, proprio come invece dovrebbe fare un materno, che è la fonte (prima ed unica) di amore incondizionato.

Può dunque permanere come una ferita che coinvolge la percezione del proprio valore e della propria autostima che, come sappiamo, conduce ad incontrare relazioni nelle quali o ci accontentiamo o, paradossalmente, non ci accontentiamo mai. Questo aspetto, unito a quelli che presenta Giovanna su Venere, la candidano ad una eterna insoddisfazione, che la rendono prigioniera nell’ambito delle dipendenze affettive perché tanto più il valore di sé è percepito come basso, quanto più si dipenderà dal giudizio del partner, dal suo sguardo accogliente e confermante, ove poter intravedere un pur pallido valore personale che però allontana da sé, nella convinzione che sia l’altro la fonte della nostra accettazione e della consapevolezza di valere.

Consapevolizzare questo processo che ci agisce compulsivamente aiuta automaticamente dall’altra parte a controbilanciare le aspettative che abbiamo sugli altri e sul loro benevolo giudizio, riportando l’ago della bilancia verso un più equilibrato senso dell’IO e dell’importanza del nostro personale giudizio.

Tutto questo “ristagno” delle energie, questo “mancato fluire” armonioso porta sempre ad una grande rabbia che può esplodere od implodere e condurre a vite misere, sacrificate, depotenziate.

La quadratura Venere/Plutone evoca un tratto della personalità di Giovanna che nella relazione d’amore si mostra oscura, manipolativa, seduttiva, torbida e trasgressiva, gelosa e controllante e meno sarà consapevole di queste caratteristiche e più queste caratteristiche la agiranno dall’interno, incontrollate e distruttive.

Dietro ad un TU ambiguo, infedele, seduttivo e misterioso, che agisce da aggancio proiettivo, è possibile intravedere il lato oscuro ed inaccettabile della propria anima nera, di cui Giovanna, in quanto scorpione, è già vittima e carnefice. Insomma, un amore che dà la sensazione di essere stati ammaliati e sedotti ma questo è il potere della seduzione plutonica che conduce l’IO ad un “faccia a faccia” con le pulsioni inconsce e terrifiche però così dev’essere poiché ciò consente di ricontattare le parti rimosse. La simbiosi che Plutone volutamente ricrea nella relazione con questo aspetto, ha lo scopo di espellerci da essa per imparare la lezione che la completezza è solo in noi stessi e con noi stessi. Il marito di Giovanna, Filippo d’Austria, incarnò certamente questo modello di relazione amorosa. In questo tema l’aspetto di quadratura tra Venere, archetipo di energia femminile e Marte, archetipo di energia maschile, conclama la scissione psichica tra il suo maschile ed il suo femminile che Giovanna già presenta con Scorpione/Leone e la dominante Acqua/Fuoco, riproposta anche da Sole in segno femminile e Luna in segno maschile. Negli aspetti di Venere con Marte, con Giove, con Saturno e con Plutone, possiamo evincere alcune caratteristiche di Giovanna come donna conquistatrice, come donna sperimentalista, in senso gioviano, come donna bisognosa di indipendenza ed autonomia, in atteggiamento difensivo ed evitante nei confronti di un coinvolgimento affettivo profondo per l’aspetto con Saturno; infine, come donna che teme istintivamente la relazione e ne ha paura, per la quadratura con Plutone che rappresenta un sovraccarico sia istintivo, sia emozionale, permeato dalla paura dell’intensità dei momenti di intimità che da una parte si desiderano sentitamente ma dall’altra si respingono per paura di una sopraffazione e di un impedimento all’esercizio del proprio potere. Queste considerazioni potrebbero far pensare alla gelosia di Giovanna come una gelosia di tipo proiettivo verso il marito Filippo, sul quale appunto proiettava il proprio desiderio di infedeltà.

Poiché le proprie spinte pulsionali verso un comportamento trasgressivo ed inaccettabile possono essere insopportabili per la coscienza, diventa più semplice, come meccanismo di difesa quale è la proiezione, concentrarsi sull’idea prevalente che sia l’altro il traditore, in modo da contenere la propria angoscia di inadeguatezza rispetto all’immagine luminosa di sé che ha costruito l’IO. In questo modo ci si riconosce nella Venere, come donna che ama e desidera la relazione a due, mentre i contenuti scomodi che propongono Marte, Giove, Saturno e Plutone non vengono vissuti e dunque proiettati sul compagno. Ora questa Venere estremamente lesa e virilizzata, arrabbiata e pronta a chiudere i circuiti come un salvavita, ogniqualvolta il contatto si fa intimo e vicino, deve aver reso la relazione con Filippo estremamente altalenante, ardente e passionale e a momenti fredda e distante.

Non sapremo mai quanto Filippo fosse realmente fedifrago ma è certo che in tutto ciò Giovanna era inconsciamente complice e alla ricerca di pretesti per poter “esplodere” salvo poi “fare pace” in un tiro alla fune estenuante, mostrando lati di sé in netta antitesi. Questo circuito di energie potenti ed apparentemente indomabili ha certamente fornito il pretesto allo stesso marito e ai genitori di considerarla matta.



ANALISI DI GIOVE

 



Giove appare molto leso. In quadratura con Marte, Saturno e Plutone, abbiamo visto che oppone anche Venere ed è in trigono con Chirone. Tanto più Giove sarà leso, quanto più cercherà di andare al recupero, diventando oltremodo avido e bisognoso di possesso, in quanto Giove è un principio di riempimento ed arricchimento. Vuole sempre portare dentro qualunque cosa, dalla cultura, al cibo, agli affetti, al denaro, generico possesso. Quando si trova in aspetto di quadratura con Marte c’è un bisogno di accrescere l’individualità, di possedere maggior fiducia, di affermazione personale attraverso modalità marziane quali aggressività ed intolleranza che, se praticate, rischiano di fare terra bruciata intorno. Poiché Marte è un pianeta personale mentre Giove è un anello di collegamento tra il mondo personale e quello trans-personale, avviene una discontinuità tra l’agire di Marte e la capacità di pensiero di Giove, sostanzialmente le aspirazioni non sono allineate con la capacità di agire e questo genera ulteriori insicurezze.

L’impazienza di entrambe gli archetipi, poiché in quadratura non si vedono e dunque non comunicano, fa sì che Giove non veda i limiti di Marte e dunque non sappia fermarsi sia a livello di espansione mentale, sia a livello di ambizione personale. Quando è leso Giove ha delle intuizioni non correttamente ispirate dal Sé e spinge, mal sorretto da Marte, ad agire assumendosi rischi non calcolati e sempre sfidando limiti che possono essere pericolosi. E questo si inserisce congruamente nel tema di Giovanna che comunque, all’atto pratico, ha vissuto una vita che è andata oltre un limite che si potesse definire umanamente accettabile.

E se nella mia esperienza mortale incontro personaggi-specchio che non hanno limiti nei miei confronti in qualche modo il messaggio è che io non mi pongo limiti o comunque che mi pongo limiti che ledono la mia sopravvivenza fisica e/o psichica. Giove/Saturno ci parlano di un principio di espansione e dilatazione che deve trovare una strada per dialogare proficuamente con un principio di compressione e restringimento.

Prese singolarmente le due funzioni porterebbero alla distruzione, per questo devono cercare di lavorare in armonia senza sopraffarsi l’un l’altra e senza espropriarsi vicendevolmente. L’IO dovrà dosarle entrambe, imparando a non fidarsi ciecamente ma nemmeno ad applicare soltanto continui e costanti meccanismi di difesa. La quadratura riporta ad un vissuto in cui la gratificazione e la delusione sono state consequenziali, pertanto l’IO impara a non dare ascolto alle fantasie, alle aspettative ed ai progetti che vorrebbe attuare perché a livello neuronale è stato registrato che ogni qualvolta si riceve una gratificazione, in un modo o nell’altro si subirà a breve una perdita o una frustrazione. Questo meccanismo insinua nelle pieghe della mente una sorta di stato di ansia che non permette mai di vivere e di agire con fiducia e tranquillità, perché ci si aspetta da una parte o dall’altra una punizione da espiare. Giove/Chirone in aspetto di trigono. Sappiamo che questi due personaggi mitici erano entrambe figli di Crono e grandi amici fedeli. Giove riconobbe nel fratello, amante delle scienze e della cultura, grandi capacità di medico e di fino conoscitore di erbe officinali e per questo volle ricompensarlo dandogli in dono l’immortalità. Siccome Giove è un ponte tra la coscienza e l’inconscio, può certamente aiutare Chirone a portare i contenuti uraniani del suo viaggio all’interno di Saturno, dunque all’interno della coscienza. Giove / Plutone è un aspetto di grande creatività.

Tra i due è Plutone il vero creativo, colui che rende feconda l’intenzione, mentre Giove anche in questo caso ha il compito di portare all’esterno, alla luce della coscienza l’intenzione del sé, alla quale Plutone è direttamente collegato. Si tratta nuovamente di avere un IO connesso con il sé, altrimenti come risultato avremo azioni in contrapposizione con l’intenzione profonda che rischiano di portare nocumento all’IO e creare situazioni disarmoniche.

Entrambi amano il potere che può essere utilizzato nel bene o nel male e, se di quest’ultimo caso, abbiamo una persona tendenzialmente inconsapevole che ricerca il potere come forma compensatoria a vuoti emotivi ed affettivi. Se dietro a questo aspetto non c’è un tessuto psicologico sostenuto dall’etica e dalla morale, l’energia creativa che sgorga fluida da tale combinazione può portare a comportamenti ed azioni grette e meschine, E’ un aspetto che può fomentare, da parte di Plutone su Giove, le tematiche legate al fanatismo gioviano, dunque anche il fanatismo religioso. In questo tema l’aspetto è di quadratura, praticamente al grado, pertanto c’è un blocco sulla creatività ma anche sul riconoscerci un potere personale e, come sappiamo, se il nostro potere non lo utilizziamo personalmente, qualcun altro lo utilizzerà in nostra vece ed a nostro danno. Giove era il Dio dell’Olimpo mentre Plutone era il Dio degli Inferi, il mito quindi ci informa che in presenza di aspetti dinamici può esserci un vero e proprio scollegamento tra questi due archetipi che possono condurre l’IO ad una ricerca spasmodica di potere, costi quel che costi, a paranoie oppure, come nel caso specifico di Giovanna, nel cadere preda del potere altrui. Abbiamo constatato difatti che la Regina aveva un problema di riconoscimento interno, di scollegamento, di visione incompleta di sé che l’hanno portata a proiettare sull’altro il lato oscuro della sua forza, del suo potere, della sua fermezza.

 



LA CONGIUNZIONE MARTE / SATURNO / PLUTONE



E ancora, guardando il tema di Giovanna, davvero sorprende il terzetto Marte/Saturno/Plutone in stretta, reciproca congiunzione. Per una donna potrebbe risultare complesso ancora oggi riconoscersi una tale energia maschile ed esprimerla al meglio, dunque immaginiamoci per una donna vissuta a cavallo tra il XV ed il XVI secolo! Saturno, il guardiano della soglia, è il Super-IO freudiano che sta di vedetta tra la coscienza e l’inconscio, tra la struttura della personalità al di qua composta dai pianeti personali Sole/Luna, Mercurio, Venere e Marte ed i tre pianeti collettivi Urano/Nettuno/Plutone al di là. Saturno stabilisce il limite della nostra coscienza che, più esso avverte come labile ed instabile, più agisce da barriera contro le intrusioni e gli sconfinamenti dei contenuti inconsci, visti come inaccettabili perché alieni, diversi da sé.

Protegge la coscienza dall’entrare in contatto con energie destabilizzanti a causa dei quali l’individuo potrebbe scompensarsi, frammentarsi, financo alla perdita del senno. Plutone si trova alla soglia opposta, anch’esso è un limite oltre il quale fronteggiamo vis-à-vis gli istinti primordiali, le nostre pulsioni, che hanno permesso all’umanità la sopravvivenza sulla terra. Contiene l’impulso vitale ma anche l’istinto di morte, Sigmund Freud affermò che ogni essere umano è fatto di un impasto di bene e di male, ossia pulsioni di morte e pulsioni di vita.

Plutone soprassiede al nostro potenziale ed allorquando l’IO vi attinge, sempre dopo una laboriosa trasformazione dei materiali grezzi plutonici, sente di poter essere e di poter fare e vive un’intensa gratificazione perché sperimenta la consapevolezza profonda di avere un potere personale. Questo è il risultato dell’allineamento tra l’IO ed il Sé, a fronte di un proficuo dialogo tra la coscienza e l’inconscio personale. Marte nella dialettica astrologica si lega per ben due volte a Plutone (casa I Ariete e casa VIII Scorpione) ed una volta a Saturno in casa X Capricorno.

Marte è un archetipo che in fase pre-egoica ha un pescaggio diretto con il serbatoio dei contenuti plutonici, le pulsioni, quindi è agito direttamente dall’inconscio, ma nel procedere del percorso evolutivo, quando entriamo in ottava casa, Marte si trova a fare i conti con la presenza di Mercurio e ciò, dal punto di vista psicologico, significa che abbandona la risposta compulsiva ed inserisce una distanza riflessiva (Mercurio) tra la pulsione e la reazione, che dunque si trasforma in azione. Nel prosieguo del percorso evolutivo, Marte di decima casa, per la presenza di Saturno, è in contatto con la coscienza ed è dunque agito da una volontà precisa e funzionale al progetto dell’IO. Marte pertanto si esprimerà come forza, costanza, resistenza e determinazione in maniera flessibile e puntuale alle circostanze.

Nel tema della nostra Regina, i tre archetipi di cui sopra costituiscono un aspetto formidabile, di immensa forza energetica perché questa vigorosità qui scorre intensa e senza impedimenti. Non ci sono quadrature, né opposizioni, qui il flusso è costante, diretto, poderoso, ma devono trovare una modalità per collaborare in sinergia ed armonicamente, senza espropri e senza sopraffazioni.

Sappiamo bene che l’energia è un potenziale al quale solo la coscienza potrà attribuire una connotazione positiva o negativa, solo l’IO potrà scegliere di utilizzare quell’energia verso la direzione luminosa degli archetipi coinvolti oppure verso la loro parte ombra, in accordo alla personale etica ed al grado evolutivo conquistato. Il lato luminoso si esplica sempre a fronte di un lungo processo personale di liberazione dalle esperienze traumatizzanti o dalle situazioni dolorose e conflittuali vissute nella prima parte della vita, affrontando dunque una “catarsi”, una purificazione intesa a “mondare” il subconscio dalle contaminazioni e dalle ferite vissute.

Nell’ottica di quanto sottolineato, possiamo affermare che la tripletta analizzata comporta voltaggi estremamente elevati, si potrebbe definire quasi un’energia a dismisura, che può raggiungere vette di straordinaria bellezza in termini di forza morale, carisma, magnetismo, seduzione, determinazione, tenacia e volontà. Come afferma Lidia Fassio nel suo interessante articolo: “Rabbia, risentimento, colpa, depressione e creatività nelle dinamiche Plutone, Saturno e Marte” (www.eridanoschool.it), “quando questi tre pianeti si trovano legati da un qualche aspetto nel tema natale, possono produrre un’alchimia magica che può portare l’individuo a forme elevatissime di coraggio, determinazione, forza, potere, autorevolezza, a dimostrazione che coscienza ed inconscio possono lavorare di comune accordo in modo assolutamente creativo e per un fine elevato e superiore. Infatti, essere creativi a livello psicologico significa poter contare su una continua elaborazione del potenziale innato, confrontando incessantemente ciò che giunge dall’interno e ciò che arriva dall’esterno sotto forma di conferma o negazione del potenziale stesso.

Accade però che Plutone, Saturno e Marte possono dare vita a strane dinamiche di trattenimento ed implosione molto negative. Questo dipende dagli aspetti, più pesanti in caso di opposizione e/o quadratura, (ma l’aspetto di congiunzione, come nel caso della Regina Giovanna, chiede una collaborazione stretta tra archetipi che inizialmente hanno molto poco in comune).

Pulsioni creative e propulsive plutoniche tendono ad essere bloccate da freni inibitori individuali o, sul piano collettivo, da sistemi sociali che ne impediscono l’espressione spontanea. In effetti quando ci troviamo di fronte ad una educazione fortemente inibitoria, tendente a limitare la volontà personale, le pulsioni possono essere così bloccate ed introvertite da creare veri e propri nuclei in cui sedimentano rabbia, rancore, risentimento e colpa che attivano grandi bisogni di risarcimento e di rivendicazione che rimangono nell’inconscio finché qualcosa all’esterno non li evoca. Quando nella vita si sono accumulati dolori, rinunce, impotenza e frustrazioni, intervengono dei meccanismi censori che agiscono facendo leva su senso di colpa e sulla morale collettiva spesso falsa ma difficile da rielaborare e superare. Cosicché subentra Saturno a bloccare Plutone in ogni sua manifestazione, censurando ed amputando quanto arriva dal profondo Ade, fino a perdere contatto con esso, obbligandolo ad esprimersi nel lato ombra attraverso atti altamente distruttivi che utilizzeranno l’energia marziana per manifestarsi. In questi aspetti si può leggere qualcosa di “denso e stagnante” che può portare a gravi scompensi, poiché anche le pulsioni vitali rimangono imprigionate e sommerse dalla paura di essere travolte da qualcosa di inaccettabile e distruttivo. Dietro questo aspetto giace qualcosa di non accettato, che pertanto non ha preso posto nella coscienza e per questo permane nella sua valenza di vergognoso ed indegno”.

“Se Plutone e Saturno non vengono integrati al proprio interno e rimangono dunque due archetipi che nella psiche si fronteggiano senza cercare di collaborare, la situazione degenererà, in quanto Saturno inibirà Plutone e questo porterà a vivere una qualità di vita molto inferiore alle potenzialità esistenti. Infatti proprio dietro a problematiche di distruttività e depressione è sempre presente la rimozione di contenuti istintivi e creativi considerati biasimevoli e temibili per la propria integrità psichica. Il sacrificio di tutto ciò produce un grande risentimento che origina dalla rabbia trattenuta e da grandi sensi di colpa (che accomunano le due divinità) che finiscono per produrre tassi elevatissimi di tossine che, se non vengono elaborate e smaltite, portano allo scacco totale della psiche. Uno dei tratti di questa configurazione è il sintomo di creatività sofferta, contorta e di difficile espressione, come se non riuscisse a fluire spontaneamente verso l’esterno per via del blocco da parte del Super-IO di contenuti particolari che evocano emozioni devastanti, cariche di distruttività”.

Quindi in Giovanna la potenzialità autodistruttiva, già trattata nelle prime pagine di questa analisi, evidenzia in realtà un tasso di creatività bloccata che conduce a distruttività ed auto-distruttività non facili da portare in superficie.

Con Saturno, Plutone e Marte possiamo avere la creatività maledetta, quella che non trova canali di espressione perché non origina da motivazioni autentiche (abbiamo visto il forte scollamento di Giovanna tra l’IO ed il Sé) ma che contestualmente preme per venire alla luce e che, proprio per questo, produce frustrazione e sofferenza. Questo mix esplosivo si combina anche con Sole/Nettuno e che parla di genialità oppure di follia, oltre a riportarci alla simbologia di vittima masochista che mostra le stigmate e prova piacere nell’ostentazione del dolore, delle carni percosse. Le persone fortemente creative come Giovanna, spinte da un nucleo energetico potente, aspirano a poter trovare un canale ove liberare la tensione che si portano dentro. C’è il contatto con il mondo interiore che vorrebbe esprimere e liberare utilizzando uno strumento che possa estrarre e portare fuori al meglio ciò che ha da comunicare. Con questi aspetti nel tema prima o poi le proprie pulsioni che anelano alla vita e la pretendono devono essere accolte ed indirizzate verso un desiderio di creatività e costruzione, in modo che possano collaborare. Si tratta tristemente di soggetti che fin da piccoli sono stati schiacciati nella loro forma più autentica oppure che hanno rinunciato al proprio desiderio e alla propria volontà per poter sopravvivere in una famiglia disfunzionale.

Sempre da Lidia Fassio: “… Hanno dovuto imparare ad evitare i conflitti e quindi non li sanno affrontare apertamente. Se ad un certo punto della vita si rendono conto che il prezzo che stanno pagando è troppo alto spaziano tra il ribellarsi ed il subire e se non trovano soluzione preferiscono scollegarsi dalla vita, lasciando spazio ad una malattia altamente funzionale, in quanto si serve di un “non agire” o di un “non avere più motivazioni” fino a “non avere più futuro”. Il depresso in fondo è un soggetto che non sa “affermarsi” ma che, tuttavia, urla la sua rabbia attraverso silenzi, resistenza ed impotenza atte ad accusare e a far sentire in colpa colui/coloro che è /sono ritenuto/i colpevole/i.

La colpa avvertita al proprio interno viene dunque proiettata su chi, a personale giudizio, è colpevole di non aver capito, di non aver amato, di non aver protetto, difeso e di non aver compreso e valorizzato il proprio potenziale”.

Giovanna dunque ha inconsciamente portato dentro sé per tutta la vita la sensazione d’esser stata sacrificata a logiche disfunzionali (che possiamo ravvedere a livello genitoriale e familiare, della ragion di Stato) e defraudata del suo potere, di avere subito una grave perdita senza averne colpa. Il passaggio costruttivo per lei poteva essere di comprendere che proprio dall’integrazione degli impulsi più distruttivi di cui era ricca, avrebbe potuto nascere la parte più preziosa di lei: la sua creatività. Il dolore che Giovanna si è portata dentro avrebbe potuto essere superato liberando e trasformando l’energia trattenuta. La creatività è la chiave di volta che aiuta a venire a patti con qualcosa di molto potente ed inconscio, proprio per questo motivo di difficile elaborazione. Certo questa comprensione è il lavoro di una vita ed è quella che fa la differenza in termini di qualità della vita stessa e per questo molto più facile a dirsi che a farsi.



BREVI INDICAZIONI SULL’ASPETTO DI QUINCONCE: IL QUINCONCE LUNA / CHIRONE



Premesso che la Luna impiega circa 2,5 giorni a percorrere un segno zodiacale, l’aspetto Luna/Chirone potrebbe dunque non sussistere nel tema anche con differenze minime rispetto all’ora di nascita che ho presunto. Ma l’ho valutato come un aspetto congruente nel tema, dunque l’ho volutamente inserito e analizzato. Sappiamo innanzitutto che l’aspetto di quinconce (150°) è particolare ed importante, in quanto assume una grande valenza evolutiva e le funzioni psicologiche che entrano in rapporto attraverso tale aspetto, dopo un opportuno processo di auto-conoscenza e consapevolezza personale, quale per esempio il ritiro dell’ombra, possono condurre alla chiave che apre la serratura per la risoluzione del tema nel lato luce. In altre parole, il quinconce implica una grande coscienza ed una revisione specifica, affinché i pianeti coinvolti entrino in una dialettica sinergica ed evolutiva, sapendo che a volte tale aspetto si esprime come un’opposizione ed a volte come un trigono. Esso fornisce la chiara indicazione di una sfida molto alta che, se accolta, presenta appunto potenzialità trasformative. Difatti, mette in relazione due segni o due case che non hanno nulla in comune: né la modalità (cardinale, fisso o mutevole), né l’elemento, quindi unisce due tipi di energia che presentano grosse differenze, slegate e a sé stanti.

Ogni volta che un tema natale presenta un quinconce, sappiamo che in quell’aspetto si giocano un po’ le sorti della nostra evoluzione, essendo il punto in cui ci viene richiesto di riuscire a conciliare lati totalmente diversi, nemmeno complementari (perché questo sarebbe già più semplice) della nostra personalità. L’aspetto può creare nella persona una situazione di stress o di attrito interno, dato dalla forte spinta a dover agire ma, contestualmente, del non sapere COME, poiché si deve trovare un approccio personale ed autentico di far interagire in modo proficuo e sinergico due parti di noi coesistenti ma allo stesso tempo tanto diverse e che, per loro natura, puntano a volere cose diverse.

Abbiamo già parlato della frattura che Giovanna porta in sé tra il suo maschile ed il suo femminile, che pertanto diventa la difficoltà di formare la propria coppia interna, il nucleo centrale della propria individualità. Il quinconce Luna/Chirone parrebbe suggerire che la difficoltà maggiore sta proprio nell’integrazione di questa Luna, ossia del proprio femminile e della propria identità femminile, legati entrambi indissolubilmente al rapporto con la madre vista come poco materna, irruente, non accogliente. Esiste probabilmente una ferita che ha radici ben più profonde, riscontrabili anche nelle precedenti generazioni, di un femminile percepito come inadatto alla sopravvivenza e disadattato, perché contrastato e malvisto. Questo aspetto sembra chiedere a Giovanna di considerare un nuovo punto di vista, attraverso una diversa prospettiva, che la sfidi a rivalutare questo femminile onde risanare questo archetipo, una richiesta confermata anche dal nodo nord in cancro (che vedremo a breve dettagliatamente), perché un maschile ed un femminile portati alla coscienza e dunque dialetticamente integrati ed interagenti in modo proficuo, rafforzano l’IO e salvaguardano la sua struttura interiormente, in quanto Sole e Luna sono due parti di un intero che devono (dopo la necessaria fase iniziale di differenziazione) dialogare senza ostacolarsi a vicenda. L’aspetto di quinconce ci dice che in questa Luna, opportunamente rivisitata e rivalutata, e che porta in sé la ferita chironiana, Giovanna avrebbe trovato anche un’opportunità di guarigione della coppia interna, indispensabile per affrontare il progetto di un Sole/Urano/Nettuno che non può prescindere da una forte integrità.

 



IL QUINCONCE GIOVE / URANO - GIOVE / NETTUNO



Giovanna presenta altri due quinconce: tra Giove dal segno dei Pesci con Urano e con Nettuno in Sagittario, come a illuminare i passi di un doveroso percorso che, in linea con la volontà celeste, lancia a Giovanna la sfida di portare alla luce (Giove) le parti di sé disconosciute e reiette, le potenzialità amputate e nascoste nell’inconscio personale (Urano), supportandola in questo compito con un Sole in Scorpione che, coadiuvato anche da Mercurio, ha il compito di riconoscere ed integrare le proprie parti ombra. Con Giove/Urano abbiamo la possibilità di allargare ed elevare i piani di coscienza entrando in contatto con i contenuti del nostro inconscio. Come sappiamo Giove illumina, espande, fa da ponte di collegamento tra il reale ed il mondo delle energie sottili mentre Urano, oltre a mettere in connessioni le varie parti dei contenuti inconsci, apre nuovi percorsi mentali attraverso i flash, le illuminazioni di tipo mentale, permettendo alla mente di fare dei veri e propri salti quantici.

Giove illumina quanto già è contenuto nella coscienza, mentre Urano porta contenuti nuovi che provengono dall’inconscio, quindi sconosciuti alla coscienza, irrompe da esso ed attraverso Giove traghetta alla coscienza nuove tematiche e preziosi insight da sintetizzare e successivamente integrare. Attraverso questi due archetipi possiamo avere un flusso costante di idee nitide, che vanno ben oltre le convenzionalità ed i territori del pensiero comune, senza limiti di alcun tipo, pescando da un mondo puro, libero, incorrotto, dal quale con questo aspetto possono giungerci idee, visioni, flash, immagini non contemplate dal pensiero ordinario.

Si può essere dei Prometei, degli avanguardisti in campo artistico, teorico o psicologico. Attraverso il quinconce Giove/Nettuno, due pianeti molto simili che condividono la casa IX e XII, riceviamo in dono una sorta di passe-partout per poter aprire la “corsia preferenziale” che porta a Nettuno, inconscio collettivo. Attraverso Giove, collegamento tra il mondo reale con il mondo della trascendenza e della spiritualità, possiamo percepire cosa giunge dal profondo e, siccome Giove è anche vista, lo possiamo considerare come una sorta di “apertura” attraverso cui la non-forma, l’invisibile del mondo nettuniano, può diventare visibile nel mondo reale attraverso simboli ed analogie, attraverso il pensiero deduttivo. Il Giove di IX casa, inserito tra la VI casa del Mercurio virgineo, la realtà dei cinque sensi che classifica e discrimina, e la XII casa nettuniana e spirituale, rende possibile questo accesso, come il sasso su cui si poggia il piede per saltare da una riva all’altra del fiume, portando di qua, attraverso immagini e simboli, le tematiche nettuniane. E’ un grande potenziale, a patto anche qui che venga utilizzato con una intenzione resa cosciente, che può portare alla veggenza, alla visione interiore, alla capacità di sviluppare una “vista” in grado di percepire campi energetici ed energie sottili, ad avere validi presentimenti ed anche a donare una grande fantasia. Ma è un aspetto che nel suo lato ombra può condurre a fanatismo, grandi inquietudini, ansie ed insoddisfazione e può causare difficoltà nell’organizzare i propri pensieri e le facoltà intellettive fino ad arrivare, di conseguenza, ad avvertire i limiti come qualche cosa di castrante ed oltremodo inibente al punto da volerli superare ad ogni costo, come la fuga (esco dal mondo) o la clausura e la segregazione (mi ritiro dal mondo). E’ come se, attraverso i due quinconce, l’intelligenza universale volesse “destinare” Giovanna a contattare i due archetipi, con una maggior capacità di trascendere, proprio perché lei con quel Sole/Nettuno, Sole/Urano era equipaggiata in forma prometeica, chiamata a portare alla collettività dei contenuti di difficile accesso, dotandola di una strumentazione che la sostenesse nel suo ruolo di “faro”, di modello per la collettività, di traduttore di contenuti inconsci, onde portare di qua l’extra-ordinario. Nettuno, attraverso Giove, concede la possibilità (che solo con il libero arbitrio possiamo rendere una capacità) di dilatare la trascendenza, di sentire realmente e dare un senso a ciò che affiora dal profondo. Mercurio in Scorpione congiunto a Urano rappresenta uno strumento di eccezionale capacità di captazione e percezione, un’abilità ed un talento naturali nel sintonizzarsi su onde profonde che giungono da altri regni. Giove costituisce il canale adatto per dare forma a ciò che non ha forma, per rendere visibile ciò che è invisibile nel quotidiano e renderlo così anche fruibile alla collettività. Con Giove e Nettuno si ricostituisce il segno del Sagittario, nel quale avviene l’unione tra lo spirito di Nettuno e la materia di X, grazie a Giove che fa da ponte tra queste due istanze e dunque Giove qui deve garantire la capacità di decodificare i simboli, di decifrare i messaggi criptati del regno di Poseidone e di tradurli in contenuti che la coscienza sia in grado di metabolizzare, di fare propri, attraverso le competenze gioviane di traduttore del linguaggio analogico-simbolico in un linguaggio che sintetizzi l’esperienza e le dia un senso ed un significato applicabile nel reale, onde l’IO sia in grado di integrarla, di “annetterla” al proprio bagaglio esperienziale, di farla carne propria.<br><br>



IL NODO NORD IN CANCRO <br><br>



Il nodo nord in Cancro suggerisce a Giovanna di recuperare la propria parte di potere e forza al femminile. Ma questo è un femminile cancerino, quindi un’energia acqua, passiva e centripeta che prevede dunque proprio per questa sua natura introversa e sottile di ascoltarsi dentro, contattando la parte inconscia per integrarla con la parte cosciente. Un Sole Scorpione richiede necessariamente un viaggio nel profondo di sé, per contattare quella parte ombra che apra la via all’integrazione delle parti disconosciute ed amputate dalla parte cosciente. L’energia Uraniana richiede collaborazione e progettualità su vasta scala, che potrà avvenire soltanto se nel mio percorso evolutivo avrò imparato a tollerare, dopo averle viste, le mie parti misere, perché paradossali ed incongruenti. Nettuno è una sfida per il Sole, che lo potrà accogliere soltanto quando - integro e forte della sua struttura - sarà in grado di trascendere sé stesso. Nell’ottica di questo percorso evolutivo destinico, un dialogo proficuo con il proprio inconscio è condizione fondamentale del progetto di Giovanna. A questo proposito cito Lidia Fassio, da una lezione di Roma sui dodici archetipi, riferita all’energia cancerina: “… Il cancro è il segno in assoluto più vicino all’inconscio, è quello che tra tutti i segni ha Il contatto più potente con la parte inconscia e da questo inconscio il cancro non deve farsi più tiranneggiare …”. Questa infatti è una funzione femminile, l’energia femminile ha un rapporto privilegiato con l’inconscio ed in generale con tutto ciò che non è razionalità ma Eros. Dunque questo nodo chiede a Giovanna di diventare lei per prima indipendente, padrona delle proprie emozioni, in grado di governare il proprio inconscio, poiché il segno del cancro deve crearsi una struttura per uscire dalle sue dinamiche di trattenimento. Il segno del cancro è l’energia femminile che ha forza e potere, è la Luna. Il nodo indica che Giovanna deve andare verso la Luna, ossia verso l’ascolto dei suoi bisogni che, provenendo dal Capricorno, non sente e dunque non prende nemmeno in considerazione, deve cercare di recuperare il rapporto con le proprie emozioni per favorire un sano sviluppo non solo di EROS ma anche di LOGOS. Se la parte attiva maschile e la parte ricettiva femminile lavorano armonicamente, entrambe collaboreranno – attraverso il pensare della coscienza ed il sentire del mondo interiore – per la struttura di un IO indipendente ed autonomo ed in grado di crearsi relazioni gratificanti ed intense senza mai diventarne dipendente. Il nodo nord in cancro mostra la via per accedere alle energie sottili, indica la necessità di fare spazio e di accogliere ciò che proviene dalla parte inconscia, senza esserne agita né schiavizzata. Inoltre è congiunto a Giove, ad indicare che la direzione di questa vita ed i principi da integrare per poter contemplare il proprio progetto solare, si riferiscono alle simbologie gioviane, che sono la fiducia in sé e nelle proprie potenzialità, un tratto fondamentale che – unico - apre le porte alla capacità di fidarsi delle personali intuizioni per giungere a credere ad una realtà extra-saturnina che fornisce la percezione che siamo parte di qualcosa di più grande di noi, un senso di universalità nel quale trovare una guida superiore, un passaggio che a sua volta fornirà la chiave d’accesso all’ultra-sensoriale, al trascendente onde affidarsi ai principi di Nettuno di cui noi umani, da qui, non possiamo immaginare. Giove nel tema di Giovanna è importantissimo perché essendo colui che fa da ponte tra la materia e lo spirito, è la chiave di volta per raggiungere il progetto solare ma siccome qui presenta grandi lesioni, a maggior ragione proprio da questo archetipo Giovanna deve passare per trasformare la sfiducia in fiducia, per poter credere all’invisibile e dunque affidarsi alla “realtà” nettuniana, riportandone poi “di qua” dei contenuti e recuperando la funzione gioviana che mette in collegamento l’IO con il Sé universale. Se poi fosse effettivamente situato in casa VIII sarebbe una ennesima conferma, già più volte sottolineata dal tema, che proprio a causa della frattura Scorpione/Leone, è necessario riunire la parte maschile con la parte femminile, onde creare la coppia interiore, passaggio anch’esso indispensabile per ottemperare alla chiamata di questo Sole. Possiamo anche aggiungere che qui Giove, nella sua simbologia di “vista”, essendo l’archetipo che rende visibile, potrebbe coadiuvare la coscienza ad attuare il recupero dell’ombra, facilitandone la visione psicologica e la consapevolezza. ANALISI DI SATURNO Quando parliamo di energie “sottili” di Nettuno, sappiamo che nel tema sono necessarie delle energie che agiscano da contrappeso, come un’àncora, onde poter restare nel “qui e ora”. Infatti, grazie alla massiccia presenza di Saturno, il tema della nostra Regina mostra che potenzialmente è presente il kit necessario per rispondere adeguatamente a questo pericolo reale. Saturno “tocca” parecchi pianeti, in quanto forma aspetti di sestile con Sole, Mercurio, Nettuno ed Urano. Fa quadrato inoltre con Giove ed, infine, congiunge rispettivamente Marte e Plutone. Saturno in un tema natale si colloca nel punto e nella casa ove ritiene che ci sia una fragilità intrinseca, una debolezza strutturale, onde “puntellare” una forma di coscienza che dovrà percorrere un viaggio evolutivo per abbracciare il proprio progetto, avendo a disposizione talenti naturali, mentre imparerà a gestire le proprie inettitudini. Certamente un Sole/Urano, Sole/Nettuno non sono semplici da esprimere creativamente, soprattutto per una donna del ‘500! Ma questo Saturno, dal segno della concreta e pragmatica Vergine, sembra voler accorrere in soccorso di questo IO, a braccetto tra una realtà ideale uraniana ed una realtà trascendente nettuniana, per fornire la propria energia concreta, pena la perdita di sé, verso altri lidi. Indubbiamente questo Saturno ci parla di un grosso lavoro sui limiti personali che la nostra Regina deve affrontare per vivere al meglio le mille potenzialità espresse nel tema, limiti inizialmente visti all’esterno attraverso il rapporto con un’autorità rigida ed ipercritica che, in seguito, con la crescita fisica, psicologica ed evolutiva si devono trasformare in autorità interna, onde essere in grado di esercitare la pazienza, la costanza, la capacità di attendere, la determinazione e di saper pianificare a lungo termine per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, rispettando la strategia impostata. Ovviamente Saturno deve esprimersi come controllo e non come blocco, in quanto quest’ultimo non permette la realizzazione e l’autodeterminazione.

Abbiamo infatti un sestile Saturno/Nettuno, ad indicare che queste due funzioni archetipiche devono entrare in dialogo costruttivo. Il tema prevede la necessità di far collaborare Saturno, la coscienza, la realtà della ragione e la visione parziale con Nettuno, l’inconscio collettivo, la realtà della psiche, la visione totale. Giovanna deve procedere all’integrazione tra i due sistemi, quello razionale con quello emotivo, creare una nuova apertura (Nettuno) per essere in grado di percepire ciò che non appartiene al mondo della sensazione saturniana (Saturno pianeta di Terra) ma che appartiene al mondo della ricettività (Nettuno pianeta d’Acqua). Saturno è ciò che si vede, si tocca, si sente, Nettuno è ciò che è invisibile ma si sente ad un diverso livello, ossia le emozioni che non si possono vedere con gli occhi ma si possono sentire con l’animo.

Quindi Giovanna deve affidarsi, attraverso la visione di Giove, ed il sostegno concreto di Saturno, a Nettuno, come principio superiore, come realtà assoluta oltre la realtà finita. Il suo progetto non può prescindere dall’incontro con Nettuno, essendo il suo Sole in congiunzione ad esso ed in XII casa. E non può prescindere nemmeno da Urano, che sempre in aspetto di congiunzione con Sole/Mercurio dà una mente molto efficiente, con una forte capacità progettuale ma soprattutto una mente aperta, curiosa, flessibile in grado di accogliere positivamente i cambiamenti ed il richiamo del nuovo, nuove idee, nuove correnti di pensiero, perché c’è un’attrazione per la sperimentazione. Urano nel mito è il primo padre, il primo figlio, il primo marito. Nulla c’era prima di lui, Urano è un prototipo e per questo l’energia uraniana regala a chi la possiede il desiderio di entrare mentalmente in contatto con ciò che è non-convenzionale, con pensieri che portano aria di rinnovamento, di cambiamento e di scoperta. Urano è un pianeta estremamente legato anche al concetto di libertà, indipendenza, autonomia, un Sole Urano è uno spirito libero.

Il sestile Sole/Urano a Saturno chiede a Giovanna di dosare e regolare le energie iconoclaste di Urano, volte a buttare tutto all’aria, con le energie saturniane che danno struttura – grazie ai possibili inserimenti uraniani - a nuove forme, ricreando e rimodellando impianti psichici in modo aperto e funzionale per l’evoluzione personale. Saturno dona a Mercurio determinazione, sequenze di pensiero logiche, capacità di concentrarsi e di riflettere ed essendo un Mercurio in Scorpione è sostenuto nella sua capacità di psicopompo di andare nel profondo. Anche Marte in congiunzione a Saturno indica un potenziale energetico che può esprimersi come estrema determinazione, tenacia, fermezza, caparbietà, implacabilità, volontà ferrea, tutte doti al maschile che aiutano a modulare le energie uraniane e nettuniane, in una danza luminosa. Il fronte Sole in Scorpione/Nettuno è un fronte di energia al femminile, completato da Mercurio ed Urano, che deve dialogare con l’altro fronte di pura energia maschile Marte/Saturno/Plutone, uniti da un sestile, proprio ad indicare che queste funzioni devono collaborare.



DOMIFICAZIONE



La domificazione che ho attribuito al tema vuole ovviamente rispondere e corrispondere ai principali contenuti della biografia di Giovanna: 47 anni di prigionia, di segregazione e solitudine ed il marchio di “Loca” attribuitole, mi hanno fatto immediatamente pensare ad un Sole molto probabilmente in XII casa. Un altro indizio rilevante viene da quanto abbiamo appreso della psicologia della madre, Regina “errante”, sempre in viaggio, mai doma. Finanziò la spedizione di Cristoforo Colombo di circumnavigare la terra per arrivare alle Indie (quando molti regnanti, tra cui Re Giovanni II del Portogallo, avevano rifiutato). Questo gesto è importantissimo perché presentano Isabella come una donna curiosa, fiduciosa, affascinata dall’ignoto ed attratta dalle scoperte. Tutto ciò mi ha indotto a pensare ad una Luna in IX casa.

Cotanta madre mi ha indotto a riflettere anche sulla possibilità di una X abitata da pianeti maschili, senz’altro per questo suo taglio psicologico effettivamente molto maschile, razionale e penetrativo.

Fu una donna focalizzata sugli obiettivi da raggiungere senza porre mediazioni ed incurante di ogni conseguenza (abbiamo visto il suo ruolo chiave nell’istituzione dell’Inquisizione Spagnola). Però, l’eredità psichica proveniente dalla casa X (quindi non solo materna ma anche dalle antenate precedenti) secondo me doveva a qualche livello segnalare nel tema di Giovanna un tipo di energia femminile che aveva lottato con rabbia, angoscia e disperazione per la propria sopravvivenza (prova ne sono le numerose antenate ammazzate, sgozzate, rinchiuse ed avvelenate) proprio perché, paradossalmente, questa energia femminile era stata percepita come estremamente potente, manipolativa e distruttiva. In altre parole, questo DNA psichico passato dalla madre e dalle madri delle generazioni precedenti poteva, in qualche modo, racchiudere concetti di potere, lotta, abusi, sottomissione, tragedia, perché abbiamo visto quale magma psichico, denso e nero, preesistente alla nascita di Giovanna.

Inserendo il Sole in XII ed aggiustando di pochissimo l’orario, effettivamente tutte le ipotesi che avevo fatto sono confermate. Un ascendente Sagittario in termini funzionali è plausibile perché confermerebbe la necessità, già segnalata nel tema, di stabilire una dialettica costruttiva tra Giove e Nettuno ed anche un dialogo tra Luna e Sole, perché la Luna, con il tema così domificato, si colloca in IX. In termini psicologici si allineerebbe con la Luna in IX casa ed andrebbe a confermare la natura inquieta di Giovanna, oltre a sostenere ancora una volta la tesi, già osservata, del suo desiderio di voler superare i limiti che, attraverso questa energia sagittariana, si potrebbe dettagliare in termini di troppa superficialità data dall’assenza della capacità di valutare correttamente.

Anche fisicamente, nei ritratti Giovanna appare sempre con dominanza nettuniana, vale a dire magra, con il viso allungato, di statura alta e con dita e gambe lunghe. A mio parere è come se questo tema natale, per come è strutturato, ponesse l’accento sul fatto che è assolutamente necessario occuparsi di quelle energie sottili, quel nucleo di energia fortemente inconscia rappresentati simbolicamente da Sole/Urano/Nettuno (che io ho collocato in XII casa e che quindi aumenta il peso della dimensione inconscia). Ovviamente si tratta di prendere coscienza di ciò che agisce da dentro e dunque di dare vita ad un processo trasformativo del potenziale energetico veramente elevato di cui questa donna disponeva. Come afferma Lidia Fassio, sia nel Libro delle XII case, sia a più riprese in questi anni durante i seminari e gli incontri: “La XII casa tanto può essere sublime, quanto può trascinarti nell’alienazione e nella follia”. Ed è un rischio di fatto che si amplifica con Sole/Nettuno.

Il tema di Giovanna conferma, attraverso il Nodo Nord in Cancro, la direzione da seguire per abbracciare il progetto del suo Sole. Innanzitutto un Sole XII deve trascendere le barriere consce, deve andare oltre Saturno, essendo forte di Saturno, strutturato psichicamente in maniera solida perché è possibile trascendere solo ciò che abbiamo acquisito fin nelle carni, lasciando alle spalle i riferimenti mercuriale, in quanto l’IO in questa casa deve (dovrebbe) essere in grado di contattare le energie nettuniane che prevedono di portare di qua contenuti dell’inconscio collettivo e restituirli al collettivo sotto una forma cosciente, lavorata, dunque fruibile.

Il segno del Nodo Nord è in Cancro che è, tra tutti i segni, quello che ha un potente contatto con la parte inconscia, quindi anche qui il tema afferma la necessità di scandagliare oltre il visibile per poter vivere la parte luminosa del suo Sole.

Ed ecco il motivo della presenza di Giove/Urano e Giove/Nettuno in quinconce: di tradurre, attraverso le capacità gioviane analogico-simboliche, in un linguaggio comprensibile contenuti uraniani e nettuniani che si celano oltre le porte che si affacciano sul sublime. Il segno del Sole, e lo stesso Mercurio, in Scorpione, fanno parte della dotazione funzionale all’ambizioso progetto, in fondo l’VIII è trigona alla XII proprio perché la “conditio sine qua non” per affrontare al meglio le tematiche di XII è proprio quella di abbandonare necessariamente i fardelli psichici ed emotivi che non servono più, vetuste strutture mentali e materiali che impediscono il processo di evoluzione personale e che non permettono il ritiro della propria ombra.

Anche Saturno nel tema, in sestile al Sole, congiunto a Marte ed a Plutone, costituisce come dicevamo, un potenziale nucleo di forza e fermezza, di tenacia, di perseveranza e di caparbietà e soprattutto di ancoraggio alla realtà della VI che per affrontare questo progetto sono davvero necessarie. Anche Giove/Chirone in aspetto di trigono, partecipano al progetto solare poiché, come già affermato, essendo Giove il tramite tra la coscienza e l’inconscio, può certamente aiutare Chirone, nella sua orbita tra Saturno fino a sfiorare l’orbita di Urano, a portare i contenuti di quest’ultimo all’interno del dominio di Saturno, dunque all’interno della coscienza. Il rovescio della medaglia di questo tema, se le sue sfide non vengono raccolte e se non si segue un percorso evolutivo, dunque se viene esperito nel lato ombra, certamente può essere legato a follia, vittimismo, emarginazione o isolamento subìti. Il tema offre una configurazione di energie davvero potenti e di alto voltaggio alle quali bisogna mettere mano perché le energie non hanno connotazione né positiva né negativa, hanno un voltaggio che può essere minimo fino ad essere elevatissimo. La direzione è attribuita dalla coscienza ma se non c’è consapevolezza e se non sussiste un allineamento con il proprio Sé, si rischia di utilizzare un potenziale enorme nella sua valenza distruttiva che, in ultima analisi, è sempre e soprattutto anche auto-distruttiva, e più il voltaggio è elevato e più l’utilizzo inconsapevole e compulsivo dell’energia porterà ad esiti devastanti.

La Regina Giovanna si trova per nascita in una posizione privilegiata per poter divenire un modello, un esempio per molte persone, un Prometeo che, attraverso sé, poteva portare un fuoco alla collettività basato su contenuti uraniani e nettuniani quali, per fare un esempio, solidarietà e sostegno per il popolo più povero, progetti per migliorare le condizioni di vita dei suoi sudditi, erano mille le combinazioni Sole/Urano/Nettuno che poteva esprimere. Godeva infatti di una visibilità e di una fama che potevano avvantaggiarla nell’operare nel bene per il prossimo, come vogliono entrambe questi archetipi.

L’energia di cui disponeva si è dissipata in ultima analisi nell’auto-distruzione che, in quanto Scorpione, non le mancava, anche se quel veleno avrebbe dovuto/potuto essere impiegato nella distruzione di vecchie forme psicologiche di pensiero e nella loro trasformazione in nuova linfa rigenerativa.

Alla luce della domificazione che ho attribuito, risulta congruente anche una casa IV in Pesci, che richiama assai un Sole/Nettuno come radici paterne deboli, non ben ancorate a terra, forti a livello psichico ma non altrettanto forti a livello di struttura. Per contro ad una IV in Pesci, troviamo una X, l’eredità materna e del femminile, in Vergine. Ed è altrettanto plausibile a mio parere: già con Luna/Chirone abbiamo parlato della percezione di un femminile inadatto, disadattato, come se nelle precedenti generazioni il maschile fosse sempre stato ritenuto superiore, migliore, vincente, più funzionale alla sopravvivenza personale e famigliare e proprio per questo motivo relegato ad un ruolo circoscritto e subordinato (Vergine), come se essere donna fosse un minusvalore rispetto al plusvalore dell’essere maschio.

Ma come ruolo genitoriale, dunque come madre, nella X casa qui abbiamo Marte, Saturno, Plutone, i tre archetipi maschili per eccellenza, come se il messaggio psichico che è stato trasmesso dalle precedenti generazioni femminili fosse: “Sei femmina nel corpo, ma puoi agire e pensare come maschio, utilizza e disponi della tua energia maschile”.

Quindi sotto questa ottica acquisisce un senso più ampio la ferita che presenta Giovanna tra Sole / Luna che potrebbe risultare un’eredità famigliare (dando per curiosità un’occhiata al tema natale della madre, abbiamo un quinconce tra Sole in Toro e Luna in Bilancia congiunta a Saturno, con un sestile Venere/Marte ed un Giove congiunto al Nodo Nord in Capricorno, certamente una donna che ha adottato un’iper-struttura, di connotazione energetica maschile).

Questa X in Vergine mi riporta ancora ad una madre che ha meticolosamente portato avanti con fredda razionalità un lavoro (orrido, se pensiamo alle sue conseguenze) di epurazione religiosa, una vera e propria “pulizia” tanto cara all’energia virginea.

Questa Luna IX è congruente con l’interesse che mostrava per la cabala, i balli moreschi, le nuove correnti religiose circolanti, ossia per tutto ciò che non apparteneva al suo circostante, in linea con l’aver vissuto in un Paese straniero (nel quale non si sentì mai a proprio agio e dove era lei stessa considerata “una straniera” e infatti la Luna è lesa) e con l’aver sposato uno straniero.

Una madre molto religiosa che, tra l’altro, ha voluto che le figlie imparassero le lingue straniere, la musica, la danza.

La presenza di Chirone in III, casa di comunicazione che simboleggia i processi di socializzazione e di scambio e dunque, in ultima analisi, dà indicazioni sulle fasi di inserimento nel tessuto sociale del nostro circostante (fratelli/sorelle, zie, cugini, ambito famigliare), segnala che Giovanna, nei primi scambi mercuriali ha subito la ferita della non-accettazione. La cuspide in acquario parla di una bambina vista come diversa e/o che si è sentita diversa.

Comunque abbiamo una conferma alla sua prima infanzia infelice, solitaria e silenziosa. Oltre a suggerirmi che essendo l’asse III/IX l’asse del movimento, la presenza di Chirone su quest’asse evoca una problematica legata al movimento che in Giovanna era problematico già a livello psichico e poi si è tradotto anche a livello spaziale come reclusione e segregazione. L’opposizione Venere/Giove sull’asse II/VIII potrebbe confermare i suoi disturbi alimentari di anoressia / bulimia che gli storici menzionano.



CONCLUSIONI E CITAZIONE TESTI



Quando assistiamo a vite malvissute, a progetti solari che si sono espressi nel lato ombra della psiche, soprattutto a fronte di temi natali particolarmente ricchi e potenzialmente preziosi, viene sempre da domandarsi perché sia andata a finire così male. In un tema natale nessun “ingrediente” è lì per distruggere, ogni energia è funzionale al progetto di ognuno e fornisce il supporto necessario affinché tale progetto possa essere abbracciato, benché l’impresa titanica che ci attende sia la fatica di un’intera esistenza. Ma sappiamo che un potenziale è solo un potenziale, quindi dipende da come saremo in grado di utilizzarlo e quale livello evolutivo potremo raggiungere. Quali ulteriori elementi possiamo quindi riportare sulla personalità di Giovanna, grazie all’analisi astrologica e dunque anche alla sua vicenda personale?

Intanto ritengo doverosa la prima, importante considerazione sul fatto che, in epoca medievale, i tre pianeti collettivi non erano ancora stati scoperti. Il primo avvistamento sarà di Urano, che avverrà da parte di William Herschel ben 3 secoli dopo, ossia nel 1781.

Da un punto di vista psicologico questo ci segnala che le energie di Urano, Nettuno e Plutone non erano ancora disponibili nella psiche collettiva. Quindi il potenziale di Giovanna non aveva per un essere umano di allora le possibilità espressive che può avere oggigiorno per noi moderni, che siamo stati arricchiti dall’esperienza dell’umanità che ci ha preceduti su questa terra. Man mano che l’umanità evolve, anche la simbologia archetipica evolve in concomitanza, inserendosi su scale di significati sempre più elevati.

La configurazione planetaria che Giovanna scelse per la sua esperienza terrena fu davvero una sfida per una donna del suo tempo. Comunque Giovanna vantava un enorme potenziale ora come allora, possedeva energie straordinarie e ritengo che ci fossero i presupposti per portare una sorta di risveglio collettivo. Avrebbe potuto incarnare la chiamata a sperimentare, ribellarsi, deviare da un tracciato sicuro ma logoro, condividendo la lotta, gli interessi illuminati e prospettive moderne per la sua epoca. Aveva mentalmente la stoffa per mettere in crisi il sistema e psicologicamente il coraggio e le energie per sostenerne ed affrontarne gli effetti. Disponeva di forza, tenacia e fermezza.

Portava in sé infallibili i semi psichici che avrebbero potuto tradursi in segnali di rinnovamento su come progettare, agire, inventare modelli di vita all’insegna di un nuovo concetto di libertà. Era una giovane che contestava la religiosità morbosa ed esagerata del tempo, essendo però religiosa a modo suo e per questo la sua chiamata poteva essere legata al tentativo di contrapporre la sua visione libertaria ed aperta in netta opposizione a quelle “radici del male” da cui proveniva.

Questa potente chiamata che il tema segnala si completa anche attraverso la lettura di Sole/Nettuno: un’energia da conquistare tutta in salita, certo, ma che offre la possibilità di portarsi alle vette più alte dell’umanità, fatte di sensibilità, idealismo, capacità di comprensione profonda, aiuto e sostegno psicologico, arte, musica e creatività che parlino agli animi, infondendo quelle emozioni che sono il vero, unico, reale linguaggio universale, che unisce tutti i cuori, al di là di sesso, razza, credo, colore della pelle, provenienza e cultura, un DNA psichico che ci rende diversi nell’essere speciali e medesimi alla luce dell’amore universale. Ciò fa di lei una figura con grandi numeri per portare nel mondo, grazie anche all’eccezionale visibilità di cui godeva, una rottura col passato, un cambio di rotta nella mentalità, un’apertura all’interno delle menti che illuminasse nuovi percorsi. Giovanna mostra caratteristiche prometeiche e qualcuno scrisse che i ribelli sono i salvatori dell’umanità. Ma convive anche il rischio di andare alla deriva verso percorsi di dipendenza e sofferenza psichica se non si è in grado di costruire un’identità solida al proprio interno.

Nettuno infatti è in assoluto il pianeta più difficile da integrare perché per l’IO è di difficile comprensione. L’archetipo di Sole/Nettuno è nel mito di Dioniso, in cui c’è genio e sregolatezza, follia, caos, perdita di contezza di sé. Rimane ora la fatidica domanda: Giovanna mostrava nel tema quelle potenzialità che avrebbero potuto esprimersi in follia? L'astrologia è un sistema complesso, articolato e per questo rigoroso e molto preciso quando ci riferiamo alle potenzialità presenti in un tema natale e quindi, compresenti nella psiche del soggetto. L’astrologia ci mostra gli "ingredienti" di cui siamo composti ed evidenzia le dinamiche sottostanti al tipo di esperienze che incontriamo nella quotidianità.

Tuttavia resta un sistema simbolico di lettura della realtà, non reale, dunque non fornisce indicazioni onde comprendere l'intensità con cui una potenzialità si manifesterà ed inoltre, poiché siamo inseriti in una realtà polarizzata e per questo la nostra natura è duplice, non ci è dato sapere aprioristicamente la direzione che prenderà l’archetipo, se verso la luce o verso l’ombra. La magia della nostra esistenza sta proprio al nostro interno, ove è custodito il nostro centro intelligente, che possiede un ventaglio di risposte e reazioni che sono personali e non prevedibili. E’ l’uomo dunque, e solo lui, con le sue capacità, attraverso l’applicazione del libero arbitrio, secondo l’applicazione della propria morale, che determinerà come vorrà utilizzare le potenzialità di cui è stato dotato. In pratica, l'astrologia dimostra ogni giorno, attraverso millenni di esperienza umana, che l'uomo non è così determinato come crede di essere (fatto questo comodo perché lo solleverebbe dalle sue responsabilità) ma, anzi, dispone di ampi spazi di manovra personale, di libertà di scelta, istanze queste che vanno cercate e coltivate, perché più siamo liberi, più diventiamo padroni del nostro destino, ossia in grado di rispondere a dinamiche pulsionali distruttive e compulsive, attraverso la costruzione al nostro interno di una struttura psichica solida, che le renda costruttive e sane, a favore del mondo, di noi stessi e della vita che ci circonda in tutte le sue forme.

Per questo motivo non si può prevedere se le potenzialità potranno dare origine ad una persona creativa e consapevole o se, per quelle stesse potenzialità, vittima di una patologia mentale che non le darà scampo. Certo è che questo tema, tra le molteplici potenzialità, esprime anche il rischio di follia. Chissà se davvero fu così oppure se, come alcuni storici sostengono, Giovanna sia stata volutamente eliminata dalla scena politica europea, adducendo la scusa della malattia mentale. Forse la vera ragione della sua reclusione si cela dietro al fatto che una donna così anticonformista e controcorrente fosse scomoda ed inaccettabile per le coscienze del tempo e per questo i famigliari più stretti: padre, marito e figlio, la temessero, così come le corti del tempo, che rappresentavano lo status quo, mentre Giovanna rappresentava il mistero e le terre sconosciute oltre “le Colonne d’Ercole”.

Le caratteristiche espresse in potenza qui parlano di tempra e determinazione, di una donna portatrice di energie psichiche “avanguardiste” in grado di mettere in discussione e persino minacciare l’ordine costituito e che inquietava gli animi con la sua diversità. Insomma, una donna/regina dotata di una personalità che poteva sovvertire la struttura vigente. Mi chiedo allora se il suo spirito ribelle, contrario ai modelli imposti ed alle tradizioni, non preoccupasse più della sua pazzia, addotta come scusa per “farla fuori”, senza sporcarsi la coscienza agli occhi del mondo (e quindi ai propri occhi)? Chissà quanto quella sua probabile aria di sfida, quel suo atteggiamento determinato e testardo non danneggiasse monarchi esasperati?

Sono solo supposizioni ma ora sappiamo che quell’energia c’era e dato che c’era a qualche livello si percepiva e spaventava. Karl Hillebrand, storico e saggista tedesco del XIX secolo, che scrisse un libro sulla presunta pazzia di Giovanna di Castiglia dal titolo: “Un enigma della storia”, si discosta dalla versione ufficiale che dipinge Giovanna come una malata di mente, allineandosi alle conclusioni di un secondo storico e studioso della figura della regina, Gustav Adolf Bergenroth, che esaminò per anni i documenti dell’Archivio di Simancas in Spagna (peraltro non disponibili al pubblico) dimostrando la sanità mentale di Giovanna. Difatti, entrambi affermano che il disturbo mentale fosse stato deliberatamente esagerato per renderla inaccettabile come sovrana e per giustificare la sua (comoda) uscita dalle scene.

Giovanna I di Castiglia ricorda una sorta di Rosemary Kennedy ante-litteram, “l’imperfetta” sorella lobotomizzata del Presidente J.F.Kennedy. Bergenroth tra l’altro scrisse: “Egli (Carlo V, il figlio) sacrificò risolutamente la madre alla sua missione, come Filippo (il marito) aveva sacrificato la moglie alla sua avarizia, come Ferdinando (il padre) aveva immolato la figlia ai suoi piani politici”.

E questa affermazione ci riporta ad un Nettuno/XII casa vissuto nel lato ombra, come vittima masochista. Ogni considerazione rimane nel campo delle ipotesi. Certo molto strana, e per questo anche antipatica ai più, deve esserlo apparsa agli occhi di tutti, dalla madre al marito, dai figli al padre, ai dignitari, agli uomini e donne di corte, tutti scambiando in cuor loro la diversità, l’eccentricità e la sua sregolatezza per follia. In più, probabilmente Giovanna faticava moltissimo ed esprimere la propria interiorità ed a portarla fuori, la sua mente ricettiva decifrava il mondo vibratile delle emozioni e degli stati d’animo e riceveva pensieri provenienti dal profondo e dai regni dell’inconscio con i quali, per sua natura (scorpionica), era costretta a confrontarsi, mentre era spesso vittima di pulsioni (la sua natura fuoco). Aveva un pensiero basato sulle emozioni innescate dal pescaggio diretto con il mondo inconscio che si presentava nella mente come difficilmente verbalizzabile e che lei aveva certamente difficoltà ad inserire nei binari ordinati della logica e della razionalità. Ritenerla pazza poteva essere politicamente utile oltreché comodo dal punto di vista del collettivo. Più facile attribuire un significato di follia, di eresia, di malattia mentale ai contenuti sovvertitori e destrutturanti di cui Giovanna era portatrice, piuttosto che mettere in discussione il conosciuto ed aprire squarci su un mondo appassionatamente ignoto e per questo orrido e spaventoso. L’attribuzione della colpa, il contenuto psichico “scomodo” è proiettato sull’altro dunque l’IO è redento ed il capro espiatorio è individuato, a salvezza del collettivo.

Michael Prawdin, uno scrittore storico russo-germanico del secolo scorso, nel suo libro: “Johanna die Wahnsinnige” ha visto in questo il segreto di Tordesillas: “La ragion di Stato sarebbe stata la causa della prigionia di Giovanna, con il pretesto della sua follia, e ciò l'avrebbe resa veramente tale”. Secondo Gioconda Belli, giornalista, poetessa e scrittrice nicaraguense, ancora oggi vivente, nel suo libro: “La pergamena della seduzione” afferma che: “la nostra Giovanna, Reina propietaria, non era pazza bensì vittima delle circostanze politiche dell'epoca. Le ultime lettere stilate durante il finire della sua reclusione, denunciano un pensiero chiaro e consapevole, oltreché profondamente addolorato, di una donna particolare, forte ma sensibile, vissuta per sua disgrazia in un'epoca troppo distante dalla sua tenacia, dalla sua delicatezza e dalle sue potenzialità intellettive”. Fino all'ultimo dimostrò la sua fermezza e una forza morale che nemmeno la dura e spietata prigionia, condotta senza alcun privilegio per la sua posizione regale, riuscì a domare.” Ad onore del vero, se vero è che Giovanna divenne realmente preda di follia, probabilmente si trattava di male ereditario, dal momento che la nonna materna, Isabella di Portogallo, aveva vissuto per quarantadue anni rinchiusa nel castello di Arévalo, avvolta (ed un “forse” a mio parere va anche a lei) dalle tenebre della follia e, sei mesi dopo la morte di Giovanna, Carlo V abdicò in favore del figlio Filippo II, a sua volta padre di un bimbo affetto da demenza, di nome Carlo... Ma chissà… Forse è a causa di quella caratteristica tipica della coscienza umana di voler negare la propria natura duale e paradossale, fondata sulla coesistenza in sé non solo di un “polo positivo” ma anche di un “polo negativo” rappresentato da energie ritenute scomode e percepite come destabilizzanti, frammentanti e minacciose per la propria integrità psichica, che Giovanna è stata vista e considerata come folle, caricata di contenuti inaccettabili e paurosi per la coscienza collettiva, di cui lei stessa si è fatta carico, in un aggancio proiettivo distruttivo per entrambi: per lei stessa, che in sé portava i semi di energie autodistruttive e masochiste che avrebbero potuto essere portate alla luce della coscienza, ma anche per l’umanità la quale, ogniqualvolta si rende colpevole a livello collettivo di un’uccisione che va a spegnere la nuda vita, perde un pezzo di intelligenza collettiva cosicché una parte di cervello sociale radicale si sconnette: così, vigliaccamente, ci si esonera dal compiere un faticoso passo verso la nostra consapevolezza di uomini. Tali contenuti e tali energie necessitano di un lungo, doloroso e faticoso percorso interiore, molto intimo e personale per poter essere accolte con amore e per questo riconosciute, come un padre il figlio, onde diventare la parte creativa di noi. Il mago Merlino un giorno disse a Re Artù: “Una metà non può odiare ciò che la rende intera”. E questo è, di questo si tratta nella triste vicenda di Giovanna, inserita in un contesto storico, culturale, famigliare e psicologico molto più grande di lei, troppo impreparato per accoglierla e troppo potente nella sua inconsapevolezza distruttiva… Perché le energie nettuniane sfidano l’IO ad abbandonare la sua ego-patia e la sua centralità, richiedendogli di dissolversi per ricostituirsi in un tutto che probabilmente sarà sperimentabile nella sua completezza e complessità solo dopo la morte terrena. E ancora oggi, dopo 600 anni trascorsi da quel ricco, autoritario, ambizioso ed influente Regno di Aragona e Castiglia, il pianeta più difficile da portare nella vita umana è sempre lui, Nettuno e, proprio per questo, esso grida ancor più a gran voce il suo diritto di essere onorato in questa dimensione terrena come avviene per tutti gli altri Dei. “Solo un saggio può comprendere un altro saggio, gli altri invece lo scambiano per un folle. Questo è ancora, ma solo per il momento e per molti individui, ma non tutti e sempre meno, il destino di Nettuno” e –aggiungo io - dei nettuniani e degli uraniani...” - o -



TESTI PER LA PARTE BIOGRAFICA



Giovanna La Pazza, una regina ribelle nella Spagna dell’Inquisizione Edgarda Ferri Edizioni Feltrinelli Juana la Pazza: Giovanna di Castiglia e d'Aragona Bascetta Arturo Cillo A. (cur.) Edizioni ABE, collana “Le regine di Napoli” anno 2008

The other Juana di Linda Carlino Amazon Paperbacks Johanna die Wahnsinnige Habsburgs Weg zum Weltreich, 1937. Tradotto da Eden and Cedar Paul con il titolo: “The mad queen of Spain” London: G. Allen and Unwin, di Michael Prawdin Un enigma della storia Di Karl Hillebrand - Jole Calapso (cur.) Sellerio Editore Palermo Collana: Quaderni biblioteca siciliana di storia e letteratura. Anno edizione: 1986 La pergamena della seduzione Di Gioconda Belli - traduzione di Margherita D'Amico Milano - Superpocket, a. 2008.



TESTI PER LA PARTE ASTROLOGICA



Le case astrologiche – l’evoluzione dell’IO: esistere, essere, divenire Lidia Fassio Lanterne Edizioni

Simbologia di Saturno – Come venire a patti con il Grande Vecchio Lidia Fassio Ed. Spazio Interiore

Breve trattato di astrologia evolutiva sui nodi lunari Corrado Aguggini Ed. Psiche 2

Brani tratti dalle dispense di Eridanoschool, Scuola di Astrologia Umanistica, di Lidia Fassio, su Luna, Marte, Saturno, Plutone, Nettuno/Sole, Nettuno/Giove, e da articoli scritti da Lidia Fassio, attraverso il sito: www.eridanoschool.it


 

 
 
 
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