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Astrologia
   
  ARTICOLO DI LIDIA FASSIO SU PLUTONE
discussione inserita da arabello
 
Come sempre Lidia Fassio è insuperabile,una vera "maestra" quando si tratta di esporre le tematiche di Plutone in versione psichè .Per i Cancro toccati dal transito di Plutone in opposizione le argomentazioni poste da Lidia risultano ancora piu' velate,difficili da percepire in maniera consapevole per via del trigono di Nettuno che "idealizza" quelle situazioni di vita che Plutone metterà in atto

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PLUTONE SI STA AVVICINANDO AL SOLE: RIFLESSIONE ASTROLOGICA E INTROSPETTIVA DI LIDIA FASSIO

Riflessioni sul transito di Plutone Sole

Di Lidia Fassio

Ho spesso parlato del transito di Plutone come di un percorso di grande trasformazione in cui l’adepto (il soggetto che vive il transito) dovrà affrontare una vera e propria morte seguita da una inevitabile iniziazione peraltro non procrastinabile. Spesso si parla a proposito e a sproposito della parola “trasformazione” così come tanto si parla di “evoluzione”, tuttavia, si tratta in entrambi i casi di processi che richiedono tempo, passaggi particolari e abbandono di sicurezze il che risulta altamente destabilizzante e disorganizzante anche se, senza ombra di dubbio, salutare per gli individui. Tratterò qui essenzialmente del transito di Plutone al Sole.

Plutone si avvicina al nostro Sole, ovvero al simbolo della nostra identità, con modalità precise che sono particolarmente complesse: sensazione di fallimento interiore percepito però anche nella vita esteriore accompagnato da senso di inutilità, perdita di significato e di centralità che fanno avvertire in modo inequivocabile il limite, il senso di piccolezza e di impotenza della condizione umana: un vero e proprio senso di depressione.

Il transito prende vita attraverso una situazione oggettiva che il “viaggiatore solitario” sta vivendo nella sua realtà; si tratta di una situazione critica in cui si perdono delle certezze e, insieme, si avvertono ambivalenza, annientamento e scarsa chiarezza; il transito si presenta con immagini ossessive che generano sofferenza e che accompagnano l’inevitabile perdita/morte di qualcosa che, per il soggetto in quel momento, è importante, anzi, vitale.

E’ una sorta di annunciazione che però non suona affatto bene; qualcosa che preannuncia difficoltà, dolore e lutto; qualcosa a cui l’Io cercherà di opporsi con tutte le sue forze giacchè non lo comprende ma lo avverte come pericoloso per la sua sopravvivenza anche se, un lato dell’Io stesso, sa che non potrà sfuggire e che non ci saranno scorciatoie da prendere. Si tratta della così detta “passione” che, nel caso di Plutone, porta con sé amore e morte.

La lotta in genere avviene tra i sentimenti che si provano che sono: ingiustizia, tradimento, umiliazione, impotenza e senso di abbandono da un lato e desiderio di opporsi e di lottare con tutte le energie possibili dall’altro in modo da padroneggiare il momento ed aver potere sulla situazione; in pratica l’Io si batterà per non arrendersi e non soccombere. E’ una sfida all’ultimo sangue, un ‘esperienza di vera e propria ossessione in cui il senso di sé si smarrisce nell’altalena continua tra desiderio di vincere e terrore di perdere, battaglia che simboleggia l’eterna lotta tra il vivere e il morire e tra la luce a l’ombra; vincere in quel momento significa vivere, mantenere contatto con ciò che si è e con ciò che è stato fondamentale nel percorso fino a quel momento; perdere significa arrendersi, ammettere l’impotenza, consegnarsi ad Ade e alla sua tragedia che sa di chiusura e di annientamento, condizioni con cui l’eroe di turno è chiamato a fare i conti suo malgrado.

La perdita è un’esperienza inumana riservata tuttavia, solo ai mortali; la divinità non si confronta con la limitatezza e quindi non deve passare attraverso abbandoni e tradimenti per accettarla: l’uomo invece è costretto di tanto in tanto ad abbandonare la vecchia forma e così la perdita è lì a testimoniare che siamo umani e quindi, mortali e miseri, anche se, proprio dall’apparente perdita, possiamo imparare molto di noi e di come dobbiamo raggiungere l’inevitabile senso di “impermanenza” richiesto dal grande Dio degli Inferi.

Il percorso è terribile, c’è solo oscurità e l’aria è sempre stagnante oltre che putrida: la sensazione è molto precisa: “anche se si sta andando avanti, si sa perfettamente che in realtà si sta tornando indietro” in quanto si regredisce ed è per questo che le forze diurne non vogliono acconsentire e concedere i loro favori: la coscienza non vuole confrontarsi con gli esseri ctoni che vivono e si nutrono di ombre che creano incertezza. C’è la sensazione di essere posseduti da qualcosa di terribile, qualcosa che cercherà di rapire la nostra “essenza” e che, ammesso che la restituisca, la trasformerà profondamente al punto che si faticherà a riconoscerla.

A lungo si brancola, ci si sente in trappola e senza via di fuga; in effetti non si vede alcuna luce e questo dà la sensazione di soffocamento perché urta contro il desiderio di illuminare, di far emergere, di ritrovare terra e centro, per farcela e non morire.

Certo, l’umanità intera, fin dalla sua origine, ha fatto questo viaggio: i miti ci raccontano di eroi che attraversano il mondo di Ade e che effettuano la discesa agli inferi con coraggio, armati solo della voglia di conoscere e di tanta forza interiore; tuttavia, quando nostro malgrado siamo noi ad essere chiamati al viaggio eroico, fatichiamo a scorgere il lato positivo e a percepire i talismani che ci offrono gli Dei che, al di là del nostro sentire momentaneo, sono al nostro fianco per soprassedere al nostro personale viaggio eroico; così, per un lungo tempo, il viaggio sembra avvenire in perfetta solitudine perché, non ci sono accompagnatori umani e, anche chi sarebbe deputato ad accompagnarci, in genere si guarda bene dal farlo e, almeno inizialmente, si sottrae; così l’eroe sperimenta il destino ineluttabile di ogni creatura che, in ogni tempo ed in ogni luogo, si trova a confrontarsi con la solitudine e la nudità, attraversando il regno dell’inconoscibile e dell’indesiderabile.

In questa fase della vita anche i sogni annunciano senza mezzi termini la desolazione che si prova all’interno. In genere chi sta vivendo un transito di Plutone al Sole oltre a fare sogni di “personaggi ombra”, fa anche sogni di viaggi che, tuttavia, non possono avere accompagnatori e, di certo, non si tratta di viaggi piacevoli. Ci sono spesso treni o altri mezzi di trasporto da prendere e, magari, qualcuno che accompagna alla stazione per poi rimanere a terra congedandosi proprio nel momento in cui il treno parte; a volte, nel sogno appare una figura particolare a ricordare che non c’è posto per nessuno e che, servono pochi ed essenziali bagagli: come a dire che il superfluo non è previsto, anzi, è proprio ciò di cui ci si deve liberare unitamente a ciò che non è vero della propria personalità.

Questo viaggio sembra interminabile (circa tre anni, quelli che impiega il pianeta tra l’avvicinamento al Sole, l’arrivo al grado esatto, la retrogradazione, il nuovo avvicinamento e il nuovo passaggio al grado, fino al superamento di esso); un aiuto si rivelerebbe prezioso, illuminerebbe il cammino e riscalderebbe l’ anima dando sollievo ma, in genere, non si trova nulla anzi, gli appigli che possono presentarsi si rivelano quanto mai inaffidabili ed infidi e, se li si coltiva, frustrano facendo aumentare il dolore e lo smarrimento.

Le domande sono tante e tutte restano senza risposta giacchè, se ce ne sarà qualcuna, sarà alla fine del transito e mai durante; si ha la sensazione di essere preda di un destino inutile e crudele e che niente di buono sortirà da uno stato d’animo così triste. L’uomo fatica a trovare senso nella sofferenza, cerca di allontanarla da sé perché non la vuole come compagna di viaggio anche se, in questo caso, non potrà evitarla.

Per chi conosce l’Astrologia psicologica possono esserci degli spiragli: il simbolo aiuta sicuramente perché permette quella creazione di ponti che possono unire le varie parti di sé che, in quella fase si scindono facendo naufragio: la sensazione è quella di andare in frantumi alla ricerca di una via che riconduca all’unità e al senso. In genere ci si sente a pezzi, ed in effetti, la psiche va letteralmente “a pezzi” e per questo ci si sente “morire”.

Forse, l’angoscia, l’ossessione e la paranoia presenti in questi stadi servono come protezione; sono senza dubbio le difese che mette in atto la nostra psiche, sempre intelligente, per limitare il senso di disgregazione che è in atto e che si percepisce come irreversibile.

Indicano bene la chiusura, il blocco e la difficoltà di portare la mente altrove in modo da trovare sollievo.

Non vi è luce, non vi è aria da respirare, si è in un tunnel dove non c’è nulla di vitale e si percorrono solo strade con contenuti stagnanti ed ossessivi; si viaggia nel sottosuolo – come diceva Dostojevskij – alla ricerca dell’edificio di cristallo che, tuttavia, non si vede per un lunghissimo tempo.

In questi momenti non vi sono ideali che sostengono, non amici che prendono per mano anzi, è il momento in cui ci si sente come appestati in quanto gli altri fuggono da noi e quindi, al dolore si aggiungono delusioni, disillusioni e ferite che fanno piangere tutte le lacrime del mondo come a disperdere la linfa più preziosa.

La sensazione più evidente è quella di non avere energia, di essere spossati e, di certo, questo non è dovuto allo sforzo fisico, anche se il corpo avverte lo stress; chi sta veramente male è il cuore che sembra essere spezzato e non in grado di sopportare. La perdita è inevitabile e spesso è affettiva dato che Plutone si occupa quasi sempre del bisogno di riagganciare il potere che si era delegato a qualcuno; tutto viene vissuto come ingiusto, come una punizione ed un’espiazione inflitta, totale, senza possibilità di risanazione e, perciò, annientante.

Certo la psiche possiede le necessarie forze compensatorie e rigeneratrici ma in questi momenti non ci sono, non si riesce a contattarle e lo smarrimento è forte, pari solo all’intensità del dolore che sembra non avere fine. E’ in questi momenti che viene in mente la frase: “Dio perché mi hai abbandonato?”.

Quando un essere umano si pone questa domanda è al limite e pensa che la psiche non ce la farà e l’Io, anche se non ha più risorse lotta per non arrendersi e si prepara alla battaglia finale.

Il problema è che nessuno è addestrato per questo: gli esseri umani vengono indirizzati alla lotta, gli si insegna a combattere, ad alimentare la forza, a resistere, a trovare strumenti da opporre al dissolvimento per cui non c’è dimestichezza con l’arrendersi e il morire. L’Io percepisce tutto ciò come l’unica possibile soluzione: tutto il resto è morte.

Però, morte e vita sono legate indissolubilmente e guarda caso Plutone le contiene entrambe, così come la Grande Madre contiene nel suo utero la voglia di creare unitamente a quella di distruggere, ma in questo frangente l’Io non conta, non ci sono gli opposti che lo aiutano e lo sostengono, tutto è uguale e contrario, ogni cosa è nulla e tutto al tempo stesso.

Si vorrebbe agire e reagire ma ogni scelta sembra destinata alla condanna e al fallimento. La sensazione è di non avere strumenti e, soprattutto, di non avere strade perché, tutte quelle conosciute e sperimentate, sono sbarrate e non percorribili e, non appena se ne imbocca una ci si accorge che non è quella giusta e che non porta da nessuna parte, o meglio, non porta dove Plutone vorrebbe.

Ci si interroga sulla colpa; quale è la colpa che si sta espiando e perché? In fondo, forse, non vi è colpa ma semplicemente fatalità ed ineluttabilità; la sofferenza riporta al tema del “bene e del male” a quello della “giustizia e della colpa” che, tuttavia, non danno risposte dal momento in cui cercando, scavando e sondando nel passato, ci si rende conto che se di colpa si tratta, questa è inconscia e come tale difficile da concepire e ancor di più da espiare.

L’Io infatti è pronto a pagare per ciò che ha scelto ed agito e quando riconosce di aver creato un danno; è capace di espiare per l’imperfezione evidente ma é sconcertato quando si trova a far la parte di Giobbe che, alla fine, deve ammettere che anche Dio ha una parte di ombra, quella che lo ha portato a scommettere con il Diavolo e che, per un suo capriccio, lo travolge.

In questa situazione non si può agire ma l’inerzia è parimenti difficile anche se serve a capire che, a volte, si paga per colpe indirette, non importa chi le ha commesse: Plutone non è solo “personale” e a volte sembra dire: “ sei parte della tua storia e del tuo collettivo” e questa volta tocca a te pagare qualcosa che risanerà una ferita fatta al Dio, non importa chi l’ha commessa né in quale tempo è stata agita. Come se il nostro Se’ chiedesse di pagare comunque un tributo in quanto imperfetti e piccoli.

Tutto ciò è parte del compito, o meglio – per usare una parola cara a Cesare Pavese – del “mestiere di vivere”. Se non si accetta questo non si accetta la vita e l’alternativa è un destino da zombi, senza alcuna possibilità di crescere. Plutone evidenzia quella parte di noi che si arrovella ossessivamente sul “perché” e sul “cosa” e tutto nel tentativo di avere prima o poi una risposta che dia uno sbocco e che plachi la mancanza di senso che viene vissuto come la perdita e il fallimento più grande.

E’ difficile districarsi in questa selva oscura, sembra un’intricata tessitura fatta da mani abili ma tuttavia inquietanti e prive compassione che hanno come unico scopo quello di far traballare ogni contenuto della psiche ed ogni sicurezza a cui la mente si è aggrappata nel passato: tutto è spettrale ed immerso in una sorta di palude – situata in una specie di terra di mezzo – dove il sole non penetra, non brilla e non scalda, perché non si mostra.

C’è un senso di vuoto e di assoluta solitudine (poiché il deserto sta dentro); c’è un sentire sordo che non porta a nulla, se non al “non senso”, al disagio di vivere, a qualcosa che alberga dentro ma che non si era ancora manifestato e che ha atteso paziente il momento opportuno per tendere il suo agguato agganciandosi ad una situazione esterna per esprimere tutto il suo contenuto depressivo e mortifero.

Si vive come se si fosse contaminati da un virus, da un parassita invasivo e strisciante che trae energia dalle poche forze presenti, appropriandosi di tutto ciò che servirebbe per respirare e continuare a vivere. E non sta a sottilizzare né sulla strada da seguire, né sull’intensità, né sulla possibile resistenza dell’eroe: il virus non si pone il problema anzi, minori sono le difese, maggiore sarà il suo successo.

In questo frangente ci si rende conto che qualcosa del vecchio modo di essere è già morto – per questo si vive la perdita e il lutto – e che le sensazioni che si avvertono sono la logica risposta all’atmosfera interna; simbolicamente si sa che avverrà lo scontro tra il vecchio – che deve lasciare ma che ancora non ce la fa – e il nuovo che vuole affiorare ma è timido, titubante e non può ancora essere incisivo con la sua presenza per dare speranza.

Tutto sembra fermo; immobile, non comprensibile e, soprattutto, interminabile. La matrice originaria su cui la personalità è costituita agonizza perché è contaminata e conta i suoi giorni; l’esterno non esiste, non supporta, non aiuta e non offre soluzioni se non quelle banali che risultano inutili e false. La psiche vuole qualcosa di nuovo e di originale e perciò non può appoggiarsi a strade già percorse e così l’Io brancola in balia di pensieri, di emozioni e di sentimenti che si alternano e si affollano impetuosi, contradditori ma, soprattutto, ambivalenti ed incoerenti.

Ciò che si vuole nel presente non è uguale a ciò che si voleva ieri e non è ciò che si vorrà domani; si è tirati tra rabbia, impotenza, desolazione e speranza che ciò che si desidera più di ogni altra cosa si manifesti in modo che si possa far ritorno ad una condizione accettabile: un attimo dopo però si fa largo il pessimismo più bieco che lascia smarriti e che riporta al dolore e alla disperazione.

L’atmosfera è triste e depressa e questi sono i sentimenti più palpabili: si attende, si resta immobili per avvertire qualsiasi nuovo movimento, qualsiasi sussulto che attesti che si è vivi e ci sono germogli nuovi: si spera che qualcosa rimetta in linea “Sé, Persona ed Io” e che si ritrovi un contatto con la fonte originaria in modo che l’anima ritrovi senso e direzione, passando attraverso l’accettazione profonda – e mai mentale – di ciò che si sta vivendo.

Si spera in una nuova tessitura finchè un giorno ci si accorge che si ricomincia a pensare che abili e compassionevoli mani possano, questa volta, rimettere insieme i fili incrociando trama ed ordito fino a permettere la visione di qualcosa di nuovo, ma soprattutto di vitale; si confida nel fatto che siano in grado di ridisegnare un “tessuto” dal disegno visibile o per lo meno intuibile che ridia colore e dissolva quel grigiore che testimonia l’assenza del sole e della vita interiore.

Dopo tanta tristezza si ricomincia così a percepire il Sole, si risente battere il cuore che testimonia il risvegliarsi del centro; si avverte che il dolore ha fatto spazio, ha portato via ed ha dissolto molte cose; si sente che sotto sta riprendendo a pulsare “la vita”; si sentono nuovi sussulti e perché no? Si torna ad avvertire amore per sé stessi e per la vita che, alla fine, torna a manifestarsi vittoriosa e a permettere di scoprire che c’è di nuovo forza, volontà e desiderio di integrare l’esperienza che sta mostrando la nuova forma a dispetto di tutte le perdite e le morti subite.

Così, il transito di Plutone al Sole ha lo scopo di aiutarci a capire che, quando perdiamo fuori forse, abbiamo già perso qualcosa di importante dentro; forse abbiamo concesso ciò che non si poteva e non si doveva concedere a nessuno, se non alla divinità; forse si è amato senza comprendere cosa è l’amore e, forse, si è vissuti senza onorare la vita o, semplicemente, si è stati per troppo tempo nella “terra di mezzo” in cui non si poteva essere autentici.

La rinascita è la nuova possibilità; è il Sole che ritorna a splendere e che, ancora una volta, ci ricorda che noi siamo il nostro centro, quello da cui possiamo partire per un nuovo viaggio e per reincontrare altre parti, altri territori, altre mete, guidati sempre dalla luce, dal Se’ e dal sentire profondo del nostro cuore.

Plutone in quel momento annuncia che il tempo della rinascita è arrivato e che possiamo riappropriarci di qualcosa di importante che è parte della nostra ricchezza interiore e del nostro potere personale, unico che ci ridarà la forza di ricominciare, di sperare e di amare.

Il messaggio che voglio dare è quello di non lasciar mai cadere la speranza anche quando non si comprende ciò che si sta vivendo e non si trova alcun senso; bisogna pensare che l’Io può brancolare ed abbandonare la rotta ma il Se’ reggerà il timone anche nelle condizioni più terribili perché ha ben in mente il preciso risultato che vuole raggiungere.

Il Se’ ci ricorda anche che ciò che vorremmo trattenere in quei passaggi non solo non serve, ma non c’è più perché non ha più senso di esistere anche se ci ha lungo accompagnati; ci ricorda che quando vogliamo trattenere troppo finiamo per perdere “valore e potere” e questo è l’unico e vero peccato di hybris.

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 RISPOSTE A QUESTA DISCUSSIONE 3 - Inserisci una risposta a questa discussione
 
A CURA DI
inserita il 25/07/2013 18:54:12

- Complimenti a Lidia fassio per questo bellissimo articolo e sopratutto alle sue ultime due frasi che invita tutti coloro che sono sotto l'influsso di pkutone a non demordere di fronte agli attacchi di Plutone

:-)

buona continuazione a tutti

Ale

arabello
 
inserita il 26/07/2013 10:44:13

- Buongiorno arabì

sottoscrivo!

Non dirò altro...



Ibiscus
 
inserita il 30/08/2013 09:43:07

- Complimenti Lidia,
ancora una volta la tua professionalità
è ammirevole.

cancro 64
 
 
 
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