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a cura di Lidia Fassio 
QUANDO NON SI RIESCE AD AVERE UN FIGLIO
 
Quando non si riesce ad avere un figlio Non sempre una coppia riesce a coronare il sogno di avere un figlio in quanto, molte volte, ci sono difficoltà sia fisiche che psicologiche che possono insidiare questo desiderio. Per contro, viviamo in un’epoca in cui si vogliono fare figli a 40-50 anni e, volendo, con l’aiuto della medicina e della tecnica diventa possibile.
Che cosa sta accadendo e perché, questi problemi sembrano appartenere solamente al mondo occidentale?

Molte coppie occidentali si trovano oggi con il problema della sterilità. Volere un figlio e non riuscire ad averlo è una sofferenza e lo dimostrano i molti tentativi che le coppie fanno, le prove, le difficoltà e le terapie a cui si sottomettono quando la loro psiche ha deciso e il loro corpo sembra non accondiscendere.
Ovviamente i motivi per cui la cosa più naturale al mondo, possa essere diventata un problema possono essere molteplici e possono spaziare dal piano ambientale a quello sociale e da quello psicologico a quello somatico.. e, spesso li troviamo tutti concomitanti a bloccare il desiderio di riproduzione che mette in luce il potenziale creativo che condividiamo con il Divino.

La prima causa è “trasversale” e apparentemente poco centrale rispetto al problema individuale, tuttavia rappresenta un rischio derivante dal nostro modo di vivere in cui non vi è un’attenzione verso la maternità e verso i bambini piccoli - almeno non in senso vero e corretto - per cui, molte donne si trovano a dover fare delle scelte che prolungano di molto il momento in cui impegnarsi per avere figli, in un’età in cui magari non sono più estremamente feconde. Questo perché l’attenzione sociale e lavorativa è spostata sul rendimento e sulla competitività e, dunque, scegliere di avere e di crescere un bambino rappresenta qualcosa di molto distante da questi concetti poiché richiede un rallentamento e un restare “inattivi” prima, ed in fase di amore e di accudimento dopo la nascita del bambino. Le donne molto ambiziose che tengono alla loro autorealizzazione, sono quelle che finiscono spesso con il posporre il momento della scelta e.. magari la operano quando hanno già quasi 40 anni e.. a quel punto, magari possono avere delle sorprese che sono di difficile superamento.
I ritmi lavorativi di oggi richiederebbero che le donne fossero operative pressochè subito dopo il parto.. per cui, con i problemi di competitività presenti, poche donne possono essere sicure di mantenere il loro posto dopo la maternità, soprattutto se vogliono seguire il loro bambino per un discreto tempo; per questo molte di esse desistono.
Oggi è molto difficile conciliare una vita lavorativa gratificante con l’idea di volere seguire dei figli.. così, sempre più donne, finiscono con il rinunciare alla maternità.

Un’altra delle cause può essere ricondotta all’inquinamento terrestre ed ambientale che, insieme ai ritmi di vita forsennati ed innaturali a cui ci sottoponiamo, ledono fortemente il rapporto con l’energia riproduttiva che, sembra ritirarsi e negarsi creando i problemi che oggi sono sotto gli occhi di tutti: sterilità che si spalma indiscriminatamente tra gli uomini e le donne.
A questa situazione si aggiunge lo stress che riduce al minimo molte delle potenzialità umane unitamente al fattore alimentazione che oggi è spesso carica di ormoni e del tutto inadeguata alle esigenze energetiche.

Una statistica fatta nel 2002 negli Stati Uniti stabilisce che il 42% dei giovani maschi è incapace di procreare e questa percentuale è destinata ad aumentare per cui si ipotizza che nel 2020 saranno ben 60 su 100 gli uomini improduttivi.

Ci sono studi che prevedono scenari impressionanti in cui i pochi “maschi fecondi” saranno impiegati come “stalloni” che offriranno il loro seme a chi vorrà avere dei figli. Il sessuologo Bornemann ha previsto addirittura la fine dell’eterosessualità: possiamo anche vedere un’esagerazione in tutto ciò, ma, di fatto, i consultori tendono a confermare una tendenza verso l’improduttività e verso l’impotenza maschile ed una fortemente diminuita fecondità femminile.
Il successo del “Viagra” e delle “fecondazioni assistite” ha messo in risalto un sottobosco a lungo rimasto nascosto poiché in qualche modo “tabuizzato”.

Le donne soffrono di sterilità molto più di un tempo: forse, l’uso massiccio di anticoncezionali può aver inciso sulle effettive potenzialità riproduttive femminili: il bisogno di controllare qualcosa che “non vuole essere controllato” potrebbe essere una spiegazione poco razionale ma, sicuramente, contenente un pezzo di verità. Un ultimo fattore sembra essere quello dell’eccessiva mascolinizzazione del mondo femminile che si sta trasferendo dal piano psicologico simbolico a quello fisico che, a fronte di un aumento di sessualità risponde con una minor riproduttività.

Ovviamente a noi interessano più che altro le cause psicologiche che, sembrano essere molto palesi: una vita sempre più impegnata alla ricerca di edonismo e di gratificazioni a cui si affianca uno scarso desiderio di impegno vero, duraturo e a lungo termine: oggi, da noi, i figli vengono considerati quasi un “lusso” perché richiedono molte risorse sul piano economico, ma anche investimento sul piano della disponibilità e dell’affettività – fattori essenziali che però pochi vogliono mettere veramente in gioco.

Le donne però, a differenza degli uomini, soffrono molto di più per la condizione di “sterilità” e, forse per il retaggio del passato accettano con difficoltà la negazione dell’evento soprattutto quando lo hanno deciso e preso in considerazione: in quel momento sentono venir meno un diritto naturale e vivono una sorta di punizione che arriva per una “colpa inconscia” che assume la stessa dimensione del passato quando una donna era considerata una “inetta” se non riusciva a dare eredi al proprio uomo e casato.
Molte donne sterili ritengono di “essere state punite” di una colpa immaginaria e questo produce molta frustrazione.
Forse ciò che è vero oggi è che nella donna manca quella disponibilità ad “accogliere l’ignoto”, quell’affidarsi a qualcosa di più grande di sé che non tiene in alcun conto la programmazione umana, quel “fidarsi” che la vita fluirà da sola, quasi per intervento divino.
Questo è tipico del mondo femminile e della psicologia “femminile”; Nettuno, grande signore del concepimento e della gestazione.. sembra richiedere un atto di obbedienza e di assenso a questo “ignoto misterico” che ha un non so che di “sacro” a cui la mente non può accedere per assoluta incapacità di comprensione.
Forse, è questa la dimensione ancora totalmente sconosciuta nel nostro corpo e nella nostra vita: ho detto spesso che il simbolismo di Nettuno è stato totalmente rimosso nelle società altamente tecnologiche per cui sembra vendicarsi con modalità paradossali: oggi non c’è spazio per nessuna “attesa”, tutto deve essere veloce e programmato; non ce posto per lo spirituale e l’animico ma solo per il razionale e lo scientifico; non esiste più quel sapersi “affidare” certi che funzionerà e che tutto andrà per il meglio, vogliamo controllare e investigare; in compenso però siamo attanagliati da mille paure: lo dimostrano le tante visite e i tanti test che si fanno durante la gravidanza.. neanche fosse diventata una patologia! Ed è in questo “accertare, controllare, non fidarsi che Nettuno non trova più spazio e, di conseguenza, non trova spazio la vita. La paura è quanto di più lontano dall’attesa fiduciosa: quando si ha paura si è vigili, concentrati, si vuole ma, al tempo stesso, si teme ciò che si desidera. In un certo senso la sterilità femminile oggi potrebbe essere letta come la contraddizione esistente tra l’inconscio e il desiderio cosciente: il corpo.. molto collegato all’inconscio, non accetta, non accoglie la vita perché è in contraddizione con altri desideri della persona.

Per una donna il timore della sterilità è molto forte ed è pari a quello della “castrazione e dell’impotenza” per gli uomini. La donna infatti può scegliere di “non avere figli” ma sopporta con molta difficoltà la sterilità che viene vista come una sua “personale incapacità e mancanza” che, collettivamente , può corrispondere ad un mancato contributo alla specie e, individualmente, a quel fallito tentativo di mettere al mondo “il proprio figlio, quello immaginato e fantasticato da sempre”.

Forse, per tornare ad una maggior relazione con il proprio corpo e con le propria potenzialità riproduttiva le donne devono ritrovare quella dimensione da Grande Madre oggi fortemente rinnegata, quel rapporto con sé stesse, con quell’esperienza di completezza che è la sola a compensare veramente il “vuoto e l’assenza”; una dimensione che in qualche modo ci ricollega al sogno, al naturale, all’immaginario e a quella ciclicità di cui si è perduta traccia e che ci ricollegherebbe al mondo lunare, a quello del flusso e del riflusso.. a quello del “farsi vuoti per poter accogliere e contenere”.

 
 
 
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